Chris Pillot – Indigo

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA NEBBAM
Via de' Castagnoli 5 b , Bologna, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
02/02/2024

ore 17

Artisti
Chris Pillot
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

 

L’indaco, ancora

 

Testo critico di Carmen Lorenzetti

 

 

 

Nata nella vivace Parigi degli anni Sessanta, Chris Pillot, ha compiuto i suoi studi a Bordeaux e poi si è trasferita in Senegal, a Dakar, dove è rimasta per vent’anni fino al 2008 e dove ha contribuito ad animare la scena culturale locale, fino a fare ritorno a Bordeaux, dove vive tutt’ora.

 

L’immersione nella vibrante cultura di Dakar è probabilmente stata di ispirazione per una concezione particolare del ritmo e del tempo, che si riverbera nei suoi dipinti appartenenti ora alla fase dell’ ”Indaco”, dopo avere attraversato altri momenti pittorici.

 

L’artista infatti compone i suoi dipinti con un processo analitico, che necessita una minuziosa attenzione e dei gesti misurati: su una preparazione nera e profonda costruisce la composizione attraverso pennellate parallele che non si sovrappongono, ma lasciano evidente – tra una striscia di colore e l’altra – lo sfondo.

 

Vi è quindi a monte una decisione precisa sull’approccio processuale del medium pittorico. Inoltre, la lunghezza delle pennellate è sempre uguale e ripetitiva e la giuntura tra una pennellata e l’altra è assolutamente evidente.

 

Per continuare nella descrizione dell’apprezzabile progettualità iniziale, l’artista compone i suoi quadri astratti con pennellate dritte o a semicerchio, non ci sono altre varianti e le pennellate vengono date tutte con lo stesso pennello a setole piatte di una determinata larghezza, non eccessiva, non minuscola. Perciò le pennellate tra loro parallele e le relative giunture contribuiscono a creare un’infinita vibrazione della materia molto accattivante per l’occhio dello spettatore che, quasi accarezzando la superficie, si perde in questo gioco pittorico.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco così che ritorna il ritmo di cui scrivevo sopra: un ritmo ordinato e ripetitivo che rispecchia – aspetto molto importante – la processualità del farsi pittorico, il tempo dell’esecuzione, gli intervalli delle pennellate, il respiro dell’artista e il battito del suo cuore, la sua concentrazione, il suo evadere dallo scandire monotono e quotidiano del tempo, per entrare in una propria dimensione, quella del farsi della pittura che è un tutt’uno tra mente, corpo e strumenti del mestiere artistico in un’unione inscindibile e magica.

 

L’artista, insomma, opera come in uno stato di grazia e di “jouissance”.

E’ una condizione che gli artisti conoscono bene, in cui progetto ed esecuzione si mescolano, in cui ragione e intuizione si rincorrono, per approdare ad un risultato finale di cui gli artisti, appunto, si rendono conto solo dopo avere dato l’ultima pennellata ed essere ritornati – per così dire – nella dimensione reale e prosaica della vita, fuori dall’incantamento dell’arte. La scelta del colore indaco può avere mille e una ragioni, tanto lunga è la storia e la simbologia di questo colore, che vanno tutte nella direzione dell’immateriale e dello spirituale. Probabilmente, non sono estranee a questa scelta le forti impressioni che possono avere avuto i colori vivaci dei famosi tessuti dell’Africa dell’Ovest o altre infinite suggestioni.

 

Una cosa è certa, che il carattere di questa antica tintura, l’indaco, che va dal blu al violetto, indica nella simbologia materiale del colore – di cui scriveva già Wassily Kandinskij in Lo Spirituale nell’Arte (1912)- la fredda profondità e l’allontanamento incommensurabile. Quindi è inevitabile un rimando al cielo che si scurisce sul fare della notte, per portare con sé il mistero dei sogni e del sonno, ove l’inconscio si apre al desiderio indicibile e imperscrutabile. Il cielo si allontana nel cosmo infinito, diventa l’impalpabile materia del tempo e dello spazio, di cui la scienza dona la spiegazione di un frammento, infittendo solo il mistero della sua sostanza. E allora, laddove la pennellata si fa più chiara, con l’aggiunta del bianco all’indaco, è come se baluginasse il chiarore improvviso della luna, lo screziato variare tra ombra e luce, la sostanza stessa della pittura, il suo senso ultimo.

 

Nelle mani di Chris infine, l’indaco diventa più di un colore, esso si trasforma in linguaggio, in un dispositivo con cui comunicare l’intangibile e il sublime.