Bianco latte un colore per l’eternità
Vasi antichi dalla collezione d’arte del cardinale Giacomo Lercaro.
Comunicato stampa
La Raccolta Lercaro è lieta di presentare quattordici vasi antichi provenienti dalla collezione d’arte del cardinale Giacomo Lercaro che, esposti oggi per la prima volta, entrano a far parte del percorso permanente.
Si tratta di splendidi reperti della Puglia preromana, in ottimo stato di conservazione e verosimilmente derivanti da contesti funerari.
Tre esemplari, in particolare, sono di grande interesse poiché testimoniano la straordinaria raffinatezza figurativa e culturale di quest’area dell’Italia meridionale che, sul finire del IV secolo a.C., si concretizza in una produzione ceramica dai tratti originali.
Il filo conduttore che dà il titolo all’esposizione e che ne restituisce il senso complessivo è rappresentato proprio dal colore bianco-latte presente nelle decorazioni di questi tre crateri apuli – due decorati nella tecnica “a tempera” e uno a figure rosse – collocabili tra la seconda metà del IV e l’inizio del III sec. a.C. e fulcro dell’esposizione. Fragile nella conservazione ma forte nell’impatto visivo, la tonalità bianca assume qui una valenza simbolica legata ai temi escatologici e alla concezione dell’individuo in relazione al passaggio dalla vita alla morte.
Si tratta, infatti, di ceramiche destinate a un uso funerario, concepite fin dalla produzione per la tomba: la loro destinazione è dichiarata in modo esplicito non solo dai soggetti raffigurati ma anche dal fondo aperto, che ne impedisce un impiego pratico. Perduta la funzione di contenitore utile agli usi della vita terrena, il vaso entra quindi a far parte della sfera semantica dell’Aldilà, cui appartengono da un lato gli aspetti simbolici del nutrimento, dall’altro le immagini specifiche dipinte sulla sua superficie, in particolare la rappresentazione del defunto, sia esso uomo (come sul cratere a figure rosse) o donna (come sugli altri due vasi).
Inserita dentro a un tempietto (naiskos), con l’incarnato bianco che rimanda, allo stesso tempo, all’avvenuto cambiamento di status e alla statua realmente collocata nell’edicola funeraria, la persona raffigurata non è colta nel suo vissuto, ma idealizzata, filtrata attraverso i parametri culturali e sociali dell’epoca. L’uomo è allora ritratto come atleta, con lo strigile in mano e il contenitore per l’olio appeso davanti a lui, reso in una nudità possente che è la medesima dell’eroe. La donna invece è ascritta all’archetipo della bellezza, tracciato da pochi segni essenziali: l’acconciatura, una veste raffinata, un oggetto del mondo femminile come lo specchio.
Accanto a questi tre bellissimi vasi sono esposte altre significative ceramiche, appartenenti a periodi e contesti culturali diversi: dalle suggestive olle subgeometriche daunie con decorazione monocroma di colore bruno (VI-V sec. a.C.) agli eleganti skyphoi (coppe per bere) ed epichyses (brocche) nello stile di Gnathia (fine IV-primi III sec. a.C.); da un bel cratere apulo a campana decorato a figure rosse (metà IV sec. a.C.) recante un’iconografia che rimanda a Dioniso, dio del vino, fino a produzioni più di massa rappresentate da una coppa-skyphos per bere e dal coperchio di un contenitore legato al mondo muliebre (seconda metà del IV sec. a.C.).
Questo nucleo espositivo, che si inserisce come novità nel percorso permanente della Raccolta Lercaro, si pone come un’ulteriore occasione di riflessione e di arricchimento culturale offerto dal museo: rappresenta infatti una finestra aperta sul dialogo, sempre attuale, tra la vita e la morte e una testimonianza concreta del profondo bisogno di speranza che da sempre abita il cuore dell’uomo.
Il restauro e l’esposizione sono possibili grazie al contributo del Gruppo Granarolo.
L’intero progetto è frutto di un importante rapporto di collaborazione tra la Fondazione Lercaro, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e molteplici professionalità.