Archivi in movimento tra arte legge e nuove tecnologie
A partire dai temi affrontati da Cristina Baldacci nel suo recente volume Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea edito da Johan & Levi, la conversazione intende approfondire il tema degli archivi come opere d’arte e come enti d’artista o per artisti, con uno sguardo alle attuali possibilità di archiviazione offerte dalle nuove tecnologie.
Comunicato stampa
A partire dai temi affrontati da Cristina Baldacci nel suo recente volume Archivi impossibili. Un'ossessione dell'arte contemporanea edito da Johan & Levi, la conversazione intende approfondire il tema degli archivi come opere d’arte e come enti d’artista o per artisti, con uno sguardo alle attuali possibilità di archiviazione offerte dalle nuove tecnologie.
Introduce Anna Maria Montaldo, direttore Area Polo Arte Moderna e Contemporanea, Comune di Milano
Modera Iolanda Ratti, conservatrice Museo del Novecento di Milano
Insieme all'autrice intervengono:
Alessandra Donati, avvocato e docente Università Milano-Bicocca e NABA di Milano
Simone Frangi, ricercatore, curatore e docente Ecole Supérieure d'Art et de Design di Grenoble e Accademia di Belle Arti di Brera
Francesco Martelli, direttore Cittadella degli Archivi di Milano
Alice Pedroletti, artista e fotografa
IL VOLUME
Ben prima che la diffusione dei social network e dei mezzi di registrazione ci rendesse tutti potenziali archivisti, gli artisti contemporanei hanno ripensato le forme di catalogazione usando linguaggi e media a loro disposizione, spesso ispirandosi a compendi visivi e “musei portatili” di illustri antecedenti novecenteschi, come il Bilderatlas di Warburg e il museo immaginario di Malraux. Dall’atlante di Gerhard Richter, una collezione di migliaia di immagini utilizzate come fonti iconografiche per la pittura, all’album di Hanne Darboven, una monumentale cosmologia che condensa storia personale e memoria collettiva, al museo di Marcel Broodthaers, un sagace strumento di critica istituzionale, allo schedario di Hans Haacke, un mezzo di indagine e di impegno sociopolitico, il furore archivistico si è ormai impossessato della pratica artistica.
Che dietro ogni slancio tassonomico ci sia desiderio di ordine, ricerca identitaria, insofferenza verso la tradizionale organizzazione della conoscenza e del potere o un mero horror vacui che spinge i disposofobici a realizzare dei veri santuari della banalità, alla base c’è sempre il bisogno di restituire una logica più profonda a relitti e tracce: prelevati, assemblati e reimmessi in un nuovo contesto, si caricano di un valore inatteso. Ecco allora che l’archivio non è più solo un cumulo inerte di documenti da cui scaturisce quel turbamento che Derrida associa al processo mnestico, ma diventa, in senso foucaultiano, un dispositivo critico capace di rigenerare le consuete logiche di salvaguardia, utilizzo e diffusione del sapere, di riattivare la memoria e la coscienza politica. In quest’ottica, l’artista diventa attore primario del cambiamento sociale e culturale.
Cristina Baldacci ripercorre in questo volume la lunga e articolata storia dell’interesse per la pratica archivistica ricomponendo il ricco mosaico dei ruoli e dei significati che l’archivio ha assunto nel corso del tempo e la sua rilevanza come opera d’arte, quindi come sistema classificatorio atipico e, per certi versi, impossibile.