An ego of her own
kaufmann repetto è lieta di presentare an ego of her own, una mostra collettiva curata da Amanda Schmitt, sviluppata nei due spazi di Milano e New York.
Comunicato stampa
kaufmann repetto is pleased to present an ego of her own, a group exhibition curated by Amanda Schmitt, taking place in both our Milan and New York galleries, featuring the work of Emma Amos, Mamma Andersson, Maximiliane Baumgartner, Ann Craven, Aria Dean, Elisa Filomena, Anthea Hamilton, Brook Hsu, Hayv Kahraman, Jordan Kasey, Marie Laurencin, Alissa McKendrick, Birgit Megerle, Jeanette Mundt, Aliza Nisenbaum, Paulina Olowska, Silke Otto-Knapp, Marcia Schvartz, Katja Seib, and Issy Wood. The exhibition continues a series of group shows at kaufmann repetto that draw attention to themes of femininity and gender-related issues, topics that have been fundamental in the gallery’s navigation since its establishment in 2000.
"La femme est le contraire du Dandy. Donc elle doit faire horreur. La femme a faim, et elle veut manger; soif, et elle veut boire. Elle est en rut, et elle veut être foutue... Le beau merite! La femme est naturelle, c'est-a- dire abominable”.*
This exhibition reclaims the position of the dandy for women. The title derives from a recently translated version of Viennese theoretician Oswald Wiener’s 1982 text, Eine Art Einzige**, which was elected for re-publication in the Fall 2019 issue of the October*** journal. Though literally meaning (in translation) “A sort of unique one” or “A sort of singular being”, the translation here has surmised the meaning to be “An Ego of Her Own,” attributing a female clause to a genderless preposition. While the task here isn’t necessarily to analyze the translator’s decision to insert the “ego” into the title, nor Wiener’s absence in discussing gender in relation to the dandy, the re-publishing of this essay in English catalyzed an opportunity to postulate the existence of a female dandy, a sort of antithesis to the traditional [male] dandy. The timing of this translation happened to coincide with a developing aesthetic trend, a particularly romantic, sincere, and feminine approach to painting and other media whose stylistic ubiquity has become increasingly palpable in the last decade, representing a distinct re-routing from the cool, mechanical, and dandy-ist approach which rose to popularity in Europe and the US at the turn of the millenium.
The dandy-ist philosophy is originally a Eurocentric one: Charles Baudelaire is perhaps the most recognized to have written frequently and prolifically on the concept of the dandy, a (mostly) male figure who occupied certain social and cultural milieus at turn of the 18th and 19th centuries, notably in cosmopolitan cities like London or Paris. Among many characteristics, be it in terms of class, behavior, aesthetics, and lifestyle —or a melange of these— Baudelaire claims that a dandy must “live and sleep in front of a mirror”. This here highlights the cybernetic tools necessary for a dandy to thrive: a dandy must receive constant feedback, for a dandy’s subjectivity is defined by what they observe and what is reflected back to them. It is here that Wiener elaborates upon the dandy as a cybernetic organism; if the dandy doesn’t like what they see around them, or it doesn’t befit their perceived reflection, they escape a situation by manipulating one’s own perception of it. The dandy is highly in touch with their ego, which is responsible for reality-testing. In the translator Jakob Schillinger’s introduction to the Wiener text****, he remarks that in “observing how the other observes, the dandy renders observation reflexive”. In other words, the act of gaining information about the other is what in fact defines the observer. This cybernetic cycle is the core behavioristic tool of the dandy.
The point here however is not to commend the dandy as a male phenom of the 18th and 19th centuries, but to attempt to shape a new definition of la dandie and the space she occupies in the 21st century (and in this exhibition, the emerging depictions of this female figure as depicted by women artists). The female dandy co-opts the strategy of the male dandy who in turn co-opts the female strategy of being observed, being seen. This is a double reversal, and essentially, a parasitic strategy OF liberation. It is a double-mirror situation. A dandy defines themselves based on the reflection of those around them, whereas the female dandy defines themselves not solely via the gaze of others, but from within. Baudelaire was then right in saying “woman is the opposite of the dandy” (if only that), but for the wrong reasons.
The women portrayed in the paintings of this exhibition together depict the image of the female dandy: a 21st century woman who -unlike a “traditional” male dandy (who is made in the image of those whom he observes)- is made in their own sovereign image, resistant to the cybernetic feedback of the others’ gaze be it male, media, or societal.
* Baudelaire, Charles (1821-1867): Mon coeur mis à nu: journal intime, 1887.
** Oswald Wiener: Eine Art Einzige (1982). In: Verena von der Heyden-Rynsch (Hg.): Riten der Selbstauflösung. München: Matthes & Seitz 1982: pp. 35–78.
*** October, Fall 2019, issue 170, Oswald Wiener, An Ego of Her Own: pp. 69–94.
**** October, Fall 2019, issue 170, Jakob Schillinger: Oswald Wiener on Dandyism: pp. 31–50.
kaufmann repetto è lieta di presentare an ego of her own, una mostra collettiva curata da Amanda Schmitt, sviluppata nei due spazi di Milano e New York, che include opere di Emma Amos, Mamma Andersson, Maximiliane Baumgartner, Ann Craven, Aria Dean, Elisa Filomena, Anthea Hamilton, Brook Hsu, Hayv Kahraman, Jordan Kasey, Marie Laurencin, Alissa McKendrick, Birgit Megerle, Jeanette Mundt, Aliza Nisenbaum, Paulina Olowska, Silke Otto-Knapp, Marcia Schvartz, Katja Seib e Issy Wood. an ego of her own è la prosecuzione di una serie di mostre collettive incentrate su tematiche come la ricerca al femminile e le questioni legate al genere, temi che sono stati fondamentali per la galleria fin dai suoi inizi nel 2000.
"La femme est le contraire du Dandy. Donc elle doit faire horreur. La femme a faim, et elle veut manger; soif, et elle veut boire. Elle est en rut, et elle veut être foutue... Le beau merite! La femme est naturelle, c'est-a- dire abominable”.*
La mostra intende rivendicare alle donne la figura del Dandy. Il titolo siriferisce a una recente traduzione di un testo scritto dal teorico vienneseOswald Wiener nel 1982, Eine Art Einzige**, ripubblicato sulla rivista October*** nel 2019. Sebbene il titolo originale significhi letteralmente “unica nel suo genere” o meglio, “una sorta di essere unico”, la traduzione viene risolta con “An Ego of Her Own”, attribuendo il genere femminile ad una preposizione neutra. Nonostante l’obiettivo non sia di analizzare le ragioni del traduttore nell’inserire la parola “ego”, né l’intento di Wiener di discutere la figura del dandy in relazione al genere, la ripubblicazione di questo saggio in inglese ha piuttosto suscitato l’idea dell’esistenza di una figura femminile di dandy, una sorta di antitesi alla convenzionale figura (maschile) a noi universalmente nota. La traduzione è coincisa con lo svilupparsi di una determinata sensibilità estetica, un approccio romantico, sincero e di stampo femminile, sempre più tangibile in pittura e in altri media nel corso dell'ultimo decennio, un cambio di rotta rispetto all’approccio algido, meccanico e dandista diffuso in Europa e negli Stati Uniti alla fine del millennio.
La filosofia del dandismo è eurocentrica: Charles Baudelaire è forse la figura di maggior rilievo ad avere scritto in modo frequente e prolifico sulla fenomenologia del dandy, una figura (perlopiù) maschile che ha dominato certi milieu sociali tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, specialmente in città cosmopolite come Londra o Parigi. Tra le diverse caratteristiche, in termini di classe, comportamento, estetica e stile di vita, Baudelaire affermava che un dandy dovesse “vivere e dormire di fronte ad uno specchio”. Da qui si evidenzia la necessità di strumenti cibernetici per svilupparsi: il dandy ha bisogno di ricevere feedback costanti, poiché la sua soggettività è dettata dall’osservazione dell’altro e da come si riflette su di esso. Ed è qui che Wiener elabora il concetto di dandy come un organismo cibernetico; se non apprezza ciò che lo circonda o non si addice alla percezione di se stesso, allora fugge da una situazione manipolandone la propria percezione. Il dandy è in stretta correlazione con il proprio ego, dal quale deriva la sua percezione della realtà.
Nella prefazione al testo di Wiener, il traduttore Jakob Schillinger**** sostiene che “nell’osservare come l’altro osserva, il dandy rende l’osservazione riflessiva”. In altre parole, l’atto di acquisire informazioni sull’altro definisce l’osservatore stesso. Questo ciclo cibernetico è alla base del comportamento del dandy.
Il punto non è comunque di definire il dandy come fenomeno maschile del diciottesimo e diciannovesimo secolo, ma di tentare di dare una nuova definizione alla figura della Dandy, e lo spazio che occupa nel ventunesimo secolo (e, in questa mostra, le raffigurazioni di questa figura femminile sono eseguite da artiste donne). La Dandy assume la strategia del dandy che a sua volta coopta la strategia femminile dell’essere osservato, visto. Questo doppio capovolgimento è, essenzialmente, una strategia parassita di liberazione. E’ un doppio specchio. Il dandy definisce se stesso in base al riflesso in coloro che lo circondano, di contro la Dandy si auto definisce non soltanto attraverso lo sguardo degli altri, ma anche del proprio. Aveva ragione Baudelaire nel dire che “la donna è l’opposto del dandy” (fosse solo questo), ma per le ragioni sbagliate.
Le donne raffigurate nei lavori in mostra compongono insieme la figura della Dandy: una donna del ventunesimo secolo che, a differenza della figura “tradizionale” del dandy (che è l’immagine di chi l’osserva), si forma nellapropria individualità, indifferente ai feedback cibernetici dati dallo sguardo altrui sia esso maschile, mediatico o sociale.
* Baudelaire, Charles (1821-1867): Mon coeur mis à nu: journal intime, 1887.
** Oswald Wiener: Eine Art Einzige (1982). In: Verena von der Heyden-Rynsch (Hg.): Riten der Selbstauflösung. München: Matthes & Seitz 1982: pp. 35–78.
*** October, Fall 2019, issue 170, Oswald Wiener, An Ego of Her Own: pp. 69–94.
**** October, Fall 2019, issue 170, Jakob Schillinger: Oswald Wiener on Dandyism: pp. 31–50.