Alexis Graman – dodekàtheon
Seconda personale napoletana di Alexis Graman (*1989, Helena, Montana, USA) che raccoglie una selezione di dipinti ad olio su lino e tela.
Comunicato stampa
Lacatena Fine Arts è lieta di presentare la seconda personale napoletana di Alexis Graman (*1989, Helena, Montana, USA) che
raccoglie, a partire da Martedì 11 Novembre, una selezione di dipinti ad olio su lino e tela, realizzati dall’artista nel corso dell’anno
corrente. A chiusura di mostra, il 20 Dicembre 2025, si concluderà anche il ciclo espositivo inaugurato nell’Ottobre del 2022 e svolto
negli ultimi tre anni presso la sede di Via Toledo 292.
Le opere scelte da Graman per questa mostra di ritorno costituiscono un corpus coeso di nove lavori di piccolo e medio formato
realizzati all’aperto in siti diversi. Siti che, come al solito, sono stati scelti dall’artista per ragioni meramente formali, escludendo
connotazioni e riferimenti autobiografici di rilievo.
L’installazione questa volta si articola attraverso le due stanze seguendo un ordine volutamente cronologico.
Si parte quindi dal primo dipinto della serie, l’olio su lino che dà il titolo alla mostra, dodekàtheon, cm 35 x 25, realizzato a Salonicco
nel Maggio del 2025 en‐plein‐air. La montagna ritratta da Graman è il Monte Olimpo visto dalla sponda al di là del Golfo Termaico.
Da una gamma scarna ed essenziale ‐ tre toni di blue e tre toni di grigio ‐ Graman sviluppa una dimensione luministica di
sorprendente finezza tutta concentrata sul ceruleo. Il monte occupa l’intera estensione orizzontale del telaio. Le verticali vengono
completamente annullate dalle linee sovrapposte di mare, monte e cielo. La compressione è tale da conferire piena centralità alla
montagna, che sembra galleggiare sulle acque del golfo. Dodekàtheon, 2025, è un dipinto sostanzialmente misterioso, che esalta la
contraddittorietà e l’adiacenza dei tre stati della materia (aria, roccia, mare) riportati ad olio fino al raggiungimento di una fusione
in(con)divisibile degli elementi.
Fra le opere in mostra, la montagna ritorna nello schema compositivo di un altro lavoro, questa volta però essa domina l’immagine
nei suoi contorni netti e remoti, posta sullo sfondo di una spiaggia di periferia. Si tratta di Peraia, 2025, cm 36 x 41 – dipinto eseguito
in più sessioni ed in pieno sole nella stessa primavera, in una località balneare suburbana a Sud di Salonicco. Graman adopera il
monte Chortiatis come delimitazione violenta di una verticalità che si dipana a partire dalla barchetta di legno in primo piano. Si
tratta anche qui di una tela enigmatica, dall’assetto prospettico improbabile, all’interno della quale il monte subentra come
demarcazione di un confine pittorico. Forse questo lavoro possiede anche un leggero richiamo allegorico, dal momento che il
Chortiatis costituisce di fatto uno dei punti di demarcazione fra la Macedonia centrale e la penisola Calcidica.
Altro dipinto di interesse particolare presente in mostra ‐ sempre in riferimento ad un certo moto attualizzante adoperato da
Graman nella sua ricerca ‐ e’ Il cinema, 2025. Si tratta di un dipinto greco, questa volta eseguito di notte, fra le ore 20:00 e le 24:00,
informato da un’impostazione segnica stratificata completamente assente nei lavori precedentemente descritti, che ci apre la strada
verso ulteriori filoni di sperimentazioni attivi nella sua pittura. Mi riferisco alle sperimentazioni legate agli aspetti volumetrici ed
architettonici, e alla resa delle profondità. In quest’opera l’immagine si dipana infatti nei limiti di uno zoom ristretto sulla facciata
inferiore di un vecchio palazzo degli anni ‘30: è l’entrata di un famoso cinema porno di Salonicco chiuso da cinque anni, soggetto dal
fascino quasi archeologico. Graman si concentra sull’individuazione della griglia di luce espressa dal metallo dei battenti, definendo
la profondità del portale nell’oscurità della notte. Tutto questo è reso senza conferire alcuna matericità all’opera. Questo dipinto si
colloca a mio avviso nella storia contemporanea del vedutismo nostrano più sanguigno e sincero. Lo ospito con estrema devozione e
commozione, perché mi ricorda le Demolizioni dei borghi romani di Mafai e di Afro del 1939. Anche i pittori della Scuola Romana
erano crepuscolari, amavano dipingere di notte su tele di piccole dimensioni, come Graman – ossessionati da certe visioni fra mucchi
di pietre insanguinate, tufo e pozzanella di vulcani mangiate dai licheni, bruciate arse dal sole feroce di millenni1
Nel suo ultimo libro 2 Sgarbi sostiene che la montagna nella storia dell’arte rappresenti il tempo dell’attesa e della ricerca. Questa
liminale intuizione del critico italiano è del tutto pertinente alla materia pittorica, anche se il cielo, che lui definisce “più vicino,”
spesso nella pittura contemporanea è un cielo che non partecipa. Si pensi ai poeti del Tevere, alle ore spese a confrontarsi con la luce
che batte sui palazzi, sulle vecchie mura, alla ricerca meticolosa del colore dinanzi alla densità imperscrutabile della roccia – la roccia
come allegoria del divino.
Si pensi allo studio ossessivo sui sassi espletato da Dieter Kopp in Grecia negli anni ‘703 – alcuni suoi lavori di questo periodo sono
transitati negli spazi di Via Toledo 292 nel Novembre del 2023.
L’attesa, dunque, come interstizio conoscitivo intrinseco all’essere umano, che incarnatosi in certe solitarie pratiche – tanto estreme,
quanto anonime ‐ si avvicina alla permeabilità del qui ed ora.
©FL, Novembre 2025.
Alexis Graman vive e lavora a New York.
Ha conseguito un MFA presso la New York Studio School nel 2017 ed una laurea in Studio Arts and American Studies presso il Bard
College nel 2012.
LFA / Via Toledo 292, 80132, Napoli / [email protected] / +39 379 18 44 280
1 Mario Mafai, Demolizione dei Borghi, 1939, olio su tela, cm 50 x 63, Galleria Nazionale d’ Arte Moderna, Roma.
Afro, Demolizioni, 1939 circa, olio su tela, cm 60 x 73, Galleria Comunale d’ Arte Moderna, Roma.
2 Vittorio Sgarbi, Il cielo più vicino. La montagna nell'arte, La Nave di Teseo, 2025.
3 Sono gli anni in cui Dieter Kopp trascorre lunghi soggiorni in Grecia insieme alla figlia Laura, tra Corfú e Paros, dove realizza en‐plein‐air
una serie di opere di grande formato incentrate sull’unico tema di vaste e deserte distese sassose.