L’antropologia come arte nell’ultimo libro di Fiamma Montezemolo 

Dopo anni di ricerca, la nota antropologa racconta il suo passaggio dall’etnografia all’arte avendo compreso che nulla di ciò che è umano è conoscibile soltanto su base razionale...

Forse perché nulla di umano è veramente conoscibile in astratto, o forse perché si conosce per similitudini, l’umanità non è solo la materia di studio, per definizione, dell’antropologia; è anche una delle qualità dell’osservatore a dover essere impiegate in tale disciplina. A dispetto del positivismo scientifico la conseguenza è che, come ha scritto Donna Haraway, ogni conoscenza è situata e non neutrale. E perciò, ce lo ricorda Fiamma Montezemolo nelle primissime pagine del suo libro Hidden in Plain Sight (NERO Editions, 2024), la conoscenza dell’altro si produce con l’altra persona, non su di essa. 

L’altro da sé è l’elemento fondamentale della “svolta etnografica” dell’arte contemporanea secondo Hal Foster. L’altro è all’incrocio delle questioni culturali, etniche, economiche, sociali e di genere, e possiamo incontrarlo solo nell’esperienza e solo a costo di ridiscutere simboli e rappresentazioni culturali e personali. Un esercizio, in effetti, molto artistico. 

Fiamma Montezemolo, Hidden in Plain Sight
Fiamma Montezemolo, Hidden in Plain Sight

L’antropologia nel libro di Fiamma Montezemolo  

Il libro di Fiamma Montezemolo è appunto un’antologia e una biografia intellettuale che racconta la trasformazione di un’antropologa in artista visiva. Il nume tutelare di tale trasformazione è Hermes, messaggero, intermediario, divinità a suo agio con viaggiatori e ladri sui confini e sulle soglie. Ma seminali sono anche alcuni legami affettivi e intellettuali, a partire da quello con la madre Maria Immacolata Macioti, sociologa e indimenticata docente attenta alla raccolta di testimonianze ed esperienze dirette, la quale tra gli Anni Settanta e Ottanta frequentava e studiava i problemi e gli abitanti della Valle dell’Inferno, tra il Monte Ciocci e il Vaticano, dove le famiglie dei “fornaciari” erano costrette a incatenarsi alle porte delle case perché non venissero demolite e sacrificate alla riqualificazione economica dell’area, resistendo su una linea di frattura e confine sociale e umana, più che geografica, con la modernità.  

E nel viatico alle ricerche di Fiamma Montezemolo, non manca un’immagine letteraria: quella dell’etnografo raccontato da Jorge Luis Borges, che dopo aver vissuto a lungo con una tribù indiana in una riserva statunitense, e avendone infine appreso il segreto iniziatico, si rende conto che non il segreto stesso è importante ma il percorso individuale che conduce alla sua conoscenza. Cioè, l’esperienza. 

Fiamma Montezemolo: da antropologo ad artista visiva 

Anni dopo, a Tijuana e in Texas si compie il passaggio di Fiamma Montezemolo da antropologa ad artista, maturato in anni di ricerca e incontri con i discendenti dei Maya, con i chicanos e le chicanas che vivono negli USA, con gli uomini e le donne “senza volto” dei gruppi zapatisti in Chiapas: ancora linee di confine (o di scambio), e ancora la necessità dell’esperienza umana diretta e la constatazione, infine, che per raccontarle sia necessario un linguaggio artistico. 

È il caso di Rastros/Traces (2012), video-saggio sperimentale in cui la ricerca etnografica e la forma artistica si intrecciano in una meditazione sul muro di confine tra Stati Uniti e Messico, tra San Diego e Tijuana. Una barriera fatiscente ma quasi magnetica (cos’è un confine se non una linea da attraversare?) che taglia perpendicolarmente una topografia distopica e irrequieta. A questa presenza la voce narrante del video si rivolge direttamente: 
Quando ti ho visto per la prima volta — come un’immagine indelebile del brutale effetto di interruzione del paesaggio che provochi con la tua presenza ingombrante — mi hai anche ricordato la necessità, la possibilità, di trasformarti e di trasformarci. Di attraversarti. Mi hai ricordato quanto tu sia, dopotutto, penetrabile, poiché milioni di corpi continuano a scavalcarti, nonostante tutte le tue resistenze”. 

Il muro come figura epistemologica nella ricerca di Fiamma Montezemolo  

Il muro non è solo un dispositivo di controllo territoriale: è anche una figura epistemologica, la soglia, il limite e perciò paradossalmente lo stimolo a ciò che è possibile conoscere, vedere, immaginare. Impone un punto di vista, condensa l’ingiustizia in un segno, trasforma il territorio in una dialettica (noi/loro, dentro/fuori, legale/illegale). C’è però anche un meccanismo speculare che funziona in modo opposto, e che è la barriera prima e naturale tra l’individuo, la sua identità e la società, ossia il volto e con esso il corpo. Così, alcuni saggi antropologici di Fiamma Montezemolo analizzano l’auto-rappresentazione dei nativi messicani o dei brasiliani del Mato Grosso come ribellione allo sguardo dell’antropologia tradizionale; oppure l’uso da parte degli uomini e le donne di EZLN di coprirsi il volto con il balaclava, non per nascondersi, ma per rendersi riconoscibili e spostare l’attenzione dal tratto somatico al progetto politico.  

Questi sono esempi di un nodo centrale della riflessione di Montezemolo al quale il bel titolo del libro allude: la conoscenza si produce sfidando regimi visivi univoci. Un’arte etnografica e un’etnografia artistica che rinunciano alla catalogazione del reale, ma prestano strumenti e un metodo per disfare lo sguardo, per sottrarlo all’illusione della neutralità e ricondurlo alla sua dimensione incarnata. Una strada che può solo essere percorsa, non rivelata. 

Mariasole Garacci 

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Mariasole Garacci

Mariasole Garacci

Laureata in Storia dell’Arte all’Università di Roma Tre con una tesi sul ritratto a Roma nel XVI secolo, Mariasole Garacci è stata cultore della materia presso le cattedre di Storia dell’Arte moderna e di Storia del Disegno, dell’Incisione e della…

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