Cercare la propria identità col fumetto. Intervista al fumettista Alec Trenta
Può il fumetto essere strumento di racconto, anche di situazioni profondamente personali e delicate? Alec Trenta è convinto di sì. Il suo libro d'esordio parla della sua transizione di genere in maniera autentica e coraggiosa. Lo racconta in questa intervista, in occasione del suo fumetto inedito per Artribune Magazine 87
Romano di nascita, ma marchigiano di formazione. Alec Trenta è il fumettista ospite del nuovo magazine di Artribune. Lo abbiamo intervistato, per parlare di sé e del suo libro d’esordio: un racconto illustrato del suo percorso di “rinascita”.

Intervista ad Alec Trenta
Cosa significa per te essere fumettista?
Ho pensato tanto alla risposta, ma non la trovo. Penso che significhi raccontare una storia e provare a metterla in una casa piena di stanze. Una pagina piena di vignette. E chi la legge è attivamente coinvolto nello svolgimento e può immaginare cosa accade tra un riquadro e l’altro, coordinare i vari livelli del racconto. Un po’ come suonare una batteria.
Hai pubblicato il tuo primo fumetto un paio di anni fa. Eppure, sei ancora giovanissimo. Mi racconti qualcosa di te?
Nella vita racconto storie, che siano a fumetti, illustrate, scritte o realizzando qualche podcast come Cravatte&Ciavatte. Collaboro con quotidiani, riviste e case editrici. Sono un ragazzo dei Castelli Romani e ho 27 anni. Ho studiato videomaking per tre anni a Roma a Officina Pasolini, e poi mi sono trasferito a Urbino per frequentare il triennio in progettazione grafica e comunicazione visiva dell’ISIA. Nel mentre ho scritto il mio primo fumetto e ho cominciato a collaborare con varie case editrici e con La Stampa. Mi sono da poco laureato realizzando un fumetto che spero possiate leggere presto! Sono tornato a Roma, ma sono in cerca di nuove strade, anche se dimentico difficilmente i panorami urbinati: è un come se quell’atmosfera ti rimanesse dentro sempre e cambiasse il tuo modo di fare e vedere le cose. E penso sia una ricchezza.

Il primo fumetto di Alec Trenta
Il tuo esordio in ambito editoriale si intitola Barba. Storia di come sono nato due volte, ed è uscito per Laterza nel 2023. Un libro coraggioso, perché racconta il tuo percorso di transizione. Me ne parli?
Barba racconta di Ale, un ragazzo che nasce con un vuoto circolare in pancia e che durante tutto il racconto tenta di trovare la sfera giusta, quella che combaci perfettamente con quel vuoto, e lo fa con l’aiuto del suo coinquilino Pablo. Forse è questo il percorso di affermazione di genere: ritrovare una parte di sé, crescere. Non è tanto un salto netto da un estremo all’altro, da rosa a celeste. Potremmo immaginare un punto tutto verde o di qualsiasi altro colore vi venga in mente, che da sfocato si fa sempre più nitido e luminoso. Affermarsi: avvicinarsi sempre di più a se stessi. Ritrovare una parte della propria identità.
Quanto è stato difficile e liberatorio mettere su carta questo bisogno di ricerca e affermazione della propria identità?
È stato davvero utile e liberatorio. L’ho scritto subito dopo aver iniziato la terapia ormonale. Avevo bisogno di uno strumento che mi aiutasse a mettere in ordine tutti i pensieri avuti fino a quel momento. Mi ha aiutato a capire che la chiave stava nel concedermi davvero di essere me stesso, e non è stato facile. Ma poi ho fatto click ed è stato come tuffarsi in acqua.
Più in generale, credi che il fumetto possa essere utile nell’affrontare argomenti così delicati?
È utilissimo perché è un mezzo davvero complesso da utilizzare, ma che semplifica ogni questione e scioglie ogni nodo. È un linguaggio universale.

Il fumetto di Alec Trenta per Artribune
Barba è stato il tuo punto di partenza. A cosa stai lavorando ora?
Ho realizzato un fumetto d’archivio sulla storia dei miei nonni e la mia del presente. Ho utilizzato fotografie, documenti e collage. Oltre a questo, sto scrivendo le storie di Nenè, un ragazzo con i capelli rosa che ama fare passeggiate poetiche con i suoi due cani Agata ed Enza.
E il fumetto che hai disegnato per Artribune di cosa parla?
Ci sono periodi in cui magari ci si perde. Poi improvvisamente capita qualcosa, in modo assolutamente casuale, che ti aiuta a ritrovare la tua casa e a sentirti una persona libera. Di recente ho partecipato a una residenza artistica a Ripatransone (Ascoli Piceno) per The Bunch Festival, e mi sono sentito a casa. Potevo essere me, tutto dentro al mio corpo, e sentirmi bene. Con me e con gli altri. Cosmo dice: “Io ballo, il mio corpo è un’arma, spara in faccia agli incubi”. Se volete ascoltare un brano che accompagni la lettura di questa piccola storia è Io ballo di Cosmo.
Alex Urso
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