Arte site-specific e identità. Il libro di Miwon Kwon

Prima edizione italiana di “Un luogo dopo l’altro”, il libro di Miwon Kwon che a diciotto anni dalla sua prima pubblicazione fa ancora riflettere.

A diciotto anni dalla sua prima uscita, quando venne pubblicato dalla MIT Press (2002 nelle edizioni hardcover, 2004 in quelle paperback) suscitando non poche polemiche nell’ardente dibattito sulle tematiche trattate e toccate, Un luogo dopo l’altro. Arte site-specific e identità delocalizzata di Miwon Kwon esce finalmente in edizione italiana, grazie a una puntuale ricerca di Gianni Romano, per i tipi postmedia books di Milano: e bisogna dire che, almeno a nostro parere, si pone subito tra i libri più significativi stampati in questo insolito 2020 che difficilmente dimenticheremo, anche perché non solo si presenta ancora fervidamente attuale, ma non tutti hanno avuto modo di leggere One Place after Another: Site-Specific Art and Locational Identity, soprattutto quegli studenti desiderosi di orientarsi nel folto bosco – e tra le mille declinazioni – della site specificity.

LA PREFAZIONE ITALIANA AL LIBRO DI KWON

Frutto di una ricerca triennale – si tratta della tesi di dottorato alla School of Architecture della Princeton University (1996-1998) redatta “sotto la guida di Rosalyn Deutsche, Hal Foster e Mark Wigley” – un cui primissimo nucleo è stato pubblicato come articolo su October (1997), “la prestigiosa rivista del MIT – di cui oggi è membro del consiglio di amministrazione” , il discorso di Miwon Kwon pone luce sulle varie pratiche artistiche connesse al sito, “identificate” ‒ a dirlo è Francesca Guerisoli nella prefazione a questa edizione italiana ‒ “con una serie di nuovi termini legati al sito (site-determined, site-oriented, site-referenced, site-conscious, site-responsive, site-related) e a una particolare specificità (context-specific, debate-specific, audience-specific, community-specific), locuzioni che se da un lato sono state utilizzate per rifarsi all’anti-idealismo e alla critica del mercato tipiche del primo concetto di site-specific, dall’altro hanno voluto distinguersi dal passato e dall’uso acritico che è stato fatto del termine da parte, in primo luogo, delle istituzioni culturali”.

Assai ragguardevole è il ragionamento sul rifacimento, sulla mobilitazione, sulla riproduzione (a volte anche in scala), sulla museificazione, sulla ricontestualizzazione di taluni site-specific”.

Tra i vari sentieri battuti dalle brillanti riflessioni di Miwon Kwon (Professor of Art History all’UCLA, University of California ‒ Los Angeles) troviamo immediatamente i meccanismi di un’arte legata al luogo che dal presente – “le più recenti opere site-oriented e project-based di artisti come Mark Dion, Andrea Fraser, Renée Green, Christian Philipp Müller e Fred Wilson” – volge lo sguardo verso la ricostruzione del passato recente (gli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso) in cui si trovano le prime formulazioni dell’orientamento site-specific da parte di Richard Serra, Robert Barry, “Michael Asher, Marcel Broodthaers, Daniel Buren, Hans Haacke, Robert Smithson, così come artiste tra le quali Mierle Laderman Ukeles”, che “hanno proposto concezioni differenziate del sito”, (a volte in sintonia, altre in rotta di crisi, “non solo in termini fisici e spaziali ma come ambito culturale definito dalle istituzioni artistiche”.
Accanto a una interessantissima analisi sul passaggio da alcune formule che criticano l’isolamento culturale nelle istituzioni ad altre che, recuperando la lezione di Buren o di Smithson, “occupano alberghi, strade urbane, complessi residenziali, penitenziari, scuole, ospedali, chiese, zoo, supermercati, e si infiltrano entro spazi mediatici come radio, quotidiani, televisione e internet” (la riflessione si trova nel primo capitolo, Genealogia della site specificity), assai ragguardevole è il ragionamento sul rifacimento, sulla mobilitazione, sulla riproduzione (a volte anche in scala), sulla museificazione, sulla ricontestualizzazione (in alcuni casi “le riproduzioni si sono trovate a coesistere con gli originali preesistenti o a sostituirli, diventando di fatto dei nuovi originali”) di taluni site-specific – e dunque anche sul loro assorbimento nell’ampia parabola del mercato – affrontato nel secondo capitolo (Scardinamento della site specificity) dove Miwon Kwon punta l’attenzione sull’unicità, sull’hic et nunc, sull’irripetibilità.

OPERA E SPAZIO IN AMBITO SITE SPECIFIC

Munita di una metodologia trasversale che si nutre tanto di storia dell’arte e dell’architettura e del design quanto di strumentari antropologici e sociologici, la narrazione (lasciamo al lettore il piacere di scoprire il capitolo conclusivo in cui l’autrice avanza la teoria del “luogo sbagliato”) individua importanti punti di passaggio temporali – poco importa poi se non viene ricordato il Futurismo o il nome pionieristico di Kurt Schwitters (questa forse l’unica pecca della ricerca) – che spostano l’orizzonte dell’opera dall’“essere un nome/oggetto” al configurarsi come “un verbo/processo”, come una esperienza transitiva, come una pratica che “testualizza gli spazi e spazializza i discorsi”.

Antonello Tolve

Miwon Kwon ‒ Un luogo dopo l’altro. Arte site-specific e identità delocalizzata
Postmedia Books, Milano 2020
Pagg. 216, € 24
ISBN 9788874902606
www.postmediabooks.it

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Antonello Tolve

Antonello Tolve

Antonello Tolve (Melfi, 1977) è titolare di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino. Ph.D in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico artistica (Università di Salerno), è stato visiting professor in diverse università come la Mimar Sinan…

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