Libertà, arte, pedagogia e anarchia. Il nuovo libro di Pietro Gaglianò

Prende le mosse dall’idea di libertà rapportata all’arte e all’anarchia in chiave pedagogica il nuovo libro del curatore e critico Pietro Gaglianò. Lo abbiamo intervistato.

La nostra rubrica questa volta esce dai musei per approfondire il libro del critico d’arte contemporanea Pietro Gaglianò (Vibo Valentia, 1975) che, come in una sorta di trittico, indaga le connessioni e le sovrapposizioni tra arte, pedagogia e anarchia.

Partiamo dal titolo o meglio dal sottotitolo della tua ultima pubblicazione, La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia. L’accostamento fra i tre ambiti è davvero suggestivo e invitante.
L’esperienza dell’arte è sempre parte di un’emancipazione, soggettiva o comunitaria, è l’indicazione di un possibile che non è stato previsto nell’amministrazione del presente da parte delle forze egemoni della società. Questa idea è centrale in tutta la mia ricerca e da alcuni anni mi interrogo sulla capacità dell’arte di essere lo spazio per la creazione (o anche soltanto per l’ispirazione) di narrazioni che agiscano in contrasto a quelle dominanti. Una dimensione analoga si attua nel processo pedagogico, o per lo meno in alcune sue forme che purtroppo sono le meno praticate: tutte quelle legate al filone libertario che pone al centro l’apprendimento e non l’insegnamento. Questa distinzione, che diventa capitale in tutta l’innovazione pedagogica del Novecento, è il cuore della tradizione educativa anarchica e libertaria. In tutti e tre questi domini del pensiero (arte, pedagogia, anarchia) il punto di partenza è sulla possibilità di crescere, di sviluppare la soggettività al massimo del suo potenziale, senza il limite di un esito preordinato. E comune a tutti e tre è anche il principio ugualitario, indispensabile per concepire una libertà che non sia sopraffazione per altri.

Nuova Didattica Popolare, Guilmi Art Project 2013

Nuova Didattica Popolare, Guilmi Art Project 2013

Come sei riuscito a costruire un libro attorno al concetto di “libertà”?
Il libro è una specie di trittico che indaga le connessioni e le sovrapposizioni tra arte, pedagogia e anarchia. I vari capitoli funzionano come uno strumento ottico per osservare la storia dell’arte degli ultimi 150 anni, con grandi balzi, attraverso un filtro insolito: da un lato vengono analizzati gli incontri, per lo più mancati, tra arte e anarchismo, a partire dal caso esemplare di Gustave Courbet, artista e rivoluzionario della Comune parigina, fino al 1968, anno in cui si estingue l’ultima movimentazione di massa ispirata da una attendibile prospettiva di rivoluzionare il sistema politico e sociale in Europa e America, per arrivare al tempo presente; dall’altro lato viene indagata la presenza dell’arte nella pedagogia anarchica e libertaria, nelle teorie e nelle moltissime esperienze pratiche. Alla convergenza tra questi due percorsi ci sono tutti quei casi che hanno trovato nella pedagogia dell’arte un originale terreno di espressione, un campo di significati capace di accogliere istanze creative, educative e sociali: per esempio il Black Mountain College o i progetti delle artiste femministe a cavallo degli Anni Settanta, o ancor Allan Kaprow, Suzanne Lacy, Thomas Hirschhorn e tutti i protagonisti della Pedagogical turn, in larga parte associabile alla Social turn descritta da Claire Bishop.

Qual è stato il tuo percorso formativo e professionale? E quali le esperienze che più ti hanno guidato?
Sono laureato in architettura, apparentemente inutilmente. In realtà questo percorso di studi mi ha guidato a percepire lo spazio pubblico come arena principale di importanti questioni che riguardano l’individuo, soprattutto la sua condizione civica e politica. In parallelo ho studiato danza contemporanea e questo invece ha prodotto una forte attenzione per l’estetica del corpo e per la performance, i cui sistemi teorici sono la fonte di molte riflessioni sulla libertà dell’arte e nell’arte, ricorrenti anche in questo libro.

Tu stesso conduci laboratori e workshop, chi sono i destinatari delle tue proposte formative?
Sì, l’attività pedagogica è centrale nella mia ricerca, al pari di quella critica e di quella curatoriale. Ho insegnato all’università, ho coordinato progetti europei per l’educazione come strumento di inclusione sociale e lotta alla discriminazione e ho fatto percorsi speciali con i bambini delle elementari, ora lavoro per lo più con istituzioni statunitensi, con sede a Firenze, dove ho corsi teorici di arte contemporanea e social studies e anche un corso pratico sulla performance, e da alcuni anni mi impegna il progetto Stand Up for Africa che coinvolge giovani artisti, italiani e rifugiati. Ogni volta cerco di creare uno spazio paritario, di apprendimento reciproco. L’esperienza dalla quale ho appreso di più è stata Nuova Didattica Popolare, progetto di educazione all’arte nello spazio pubblico fondato da Guilmi Art Project in Abruzzo, che ho curato e diretto per anni, provando anche a rinnovare ed esportare il formato in altre circostanze.

Stand Up for Africa 2019, photo Mouhamed Yaye

Stand Up for Africa 2019, photo Mouhamed Yaye

Il potere di emancipazione risiede nella possibilità del pensiero critico e nell’autonomia di giudizio che possono essere favoriti da una relazione pedagogica […] e che trovano nell’arte l’orizzonte non solo tecnico ma anche operativo della loro espansione”. Trovo la citazione di Breton al termine dell’introduzione del libro molto vera e benaugurante. Come pensi che l’arte possa sempre di più incidere nella formazione dell’individuo e nella società prossima futura?
Il libro si conclude con una eco di questa citazione. L’ultimo capito è un approfondimento che indaga il potenziale rivoluzionario dell’arte e il peso degli argomenti politici nel dibattito tra estetica e necessità dell’attivismo, nella modulazione dei linguaggi, nel rapporto con il tempo storico. Alla fine, analizzando alcuni paradossi, alcune condizioni inconciliabili e le sorprendenti aperture che ne derivano, emerge questa riflessione: il tempo dell’artista non sempre può coincidere con quello del rivoluzionario, il tempo dell’arte è sempre il tempo di una rivoluzione.

Questo momento di pausa forzata cosa può insegnare sui temi che affronti nel libro?
Una riflessione necessaria (e qui necessariamente succinta) riguarda proprio la crisi del modello delle compagini sociali in cui viviamo, le cosiddette democrazie occidentali, che funzionano a senso unico e si fondano su un equivoco rispetto alla libertà e alla responsabilità individuale: il malencontre, teorizzato con incredibile lungimiranza da Étienne de La Boétie nel XVI secolo. Il malencontre si regge sul meccanismo della delega: della capacità, della responsabilità, della decisionalità. Forse è un problema di proporzioni (le dimensioni in sé anomale, come scrive Hannah Arendt, della società di massa rispetto al concetto stesso di società), forse è un problema di consapevolezza effettiva, ma senza una delega della libertà alla concentrazione di potere la società dimostra di non sapersi autoconservare. Temo che, con ogni probabilità, lasceremo assorbire anche questa situazione come una serie convergente, in cerca del ritorno a una presunta normalità invece di provare a sviluppare una critica efficace della contemporaneità ipotizzando nuovi costrutti e altri equilibri.

Annalisa Trasatti

Pietro Gaglianò ‒ La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia
Gli Ori, Pistoia 2020
Pagg. 256, € 25
ISBN 9788873367864
http://www.gliori.it

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Annalisa Trasatti

Annalisa Trasatti

Sono laureata in Beni culturali con indirizzo storico artistico presso l'Università di Macerata con una tesi sul Panorama della didattica museale marchigiana. Scrivo di educazione museale e didattica dell'arte dal 2002. Dopo numerose esperienze di tirocinio presso i principali dipartimenti…

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