“I tedeschi conoscono le regole ma non hanno giudizio morale”. Ai Weiwei la tocca piano sulla Germania (ma lo censurano)

Coinvolto da una rivista tedesca, l'artista cinese dissidente ha scritto una serie di riflessioni sul Paese dove ha vissuto fino al 2020. L'articolo, però, è stato rifiutato: dopo tre mesi l'ha pubblicato Hyperallergic, ecco cosa conteneva

“I tedeschi non sanno cosa sia l’umorismo”. Alcuni dei pensieri dell’artista Ai Weiwei sulla Germania sono familiari, quasi leggeri. Se li aspettava probabilmente tutti di questo tenore, la direttrice del tedesco Zeit Magazin, quando lo scorso luglio ha chiesto al famoso artista, documentarista e attivista cinese – detenuto in Cina per il suo lavoro su democrazia e diritti umani, e da dieci anni esule in Europa – a contribuire con una ventina di brevi riflessioni sul tema “Cosa avrei voluto sapere prima sulla Germania”. Ma così non è stato: Ai Weiwei ha fatto ciò che gli viene meglio, e cioè osservare e riportare di conseguenza. Dopo una prima richiesta di alleggerimento e alcuni tagli, il pezzo è stato definitivamente cestinato su richiesta di un superiore. A dircelo è lo stesso artista, che ora riporta i suoi pensieri sulla rivista di settore Hyperallergic.

La Germania contro gli intellettuali? Il caso

Le considerazioni che Ai fa sono di varia natura. Alcune, come quella dell’umorismo, più facili da digerire, altre decisamente meno. Come quella in cui nota che “una società governata da regole, ma priva di giudizio morale individuale, è più pericolosa di una che non ne ha affatto. Sono molti gli artisti e intellettuali a essersi espressi su questo punto negli ultimi anni, soprattutto a margine della repressione ideologica avvenuta contro chiunque si sia esposto per la Palestina. È notizia del gennaio 2024 che la scrittrice bosniaca e serba Lana Bastašić, vincitrice del Premio UE per la letteratura 2020 con il romanzo Afferra il coniglio, abbia interrotto i rapporti con il suo editore tedesco S. Fischer, citando la sua incapacità di “esprimersi apertamente sul genocidio in corso a Gaza” e la censura delle voci filo-palestinesi in Germania. Una censura denunciata anche nel novembre successivo dalla famosa artista americana Nan Goldin in occasione della sua mostra alla Neues Nationalgalerie This will not end well (ora anche a Milano). Una repressione che l’aristar cinese registra a sua volta: “Quando la conversazione diventa elusione, quando gli argomenti non devono essere menzionati, viviamo già sotto la logica silenziosa dell’autoritarismo”.

Ai Weiwei e la Germania

Il problema, per Ai Weiwei, sembra però più grande e radicato, e avrebbe del tutto a che fare con la diligenza della popolazione tedesca e la sua disponibilità al cieco rispetto delle regole, che dopo un primo momento in cui può essere scambiata per una forma di armonia sociale appare all’artista come uno strumento di controllo: “Una società che valorizza l’obbedienza senza mettere in discussione l’autorità è destinata a diventare corrotta”. E ancora: “Al centro della burocrazia c’è un’approvazione collettiva della legittimità del potere, e quindi gli individui rinunciano al loro giudizio morale – o forse non ne hanno mai sviluppato uno. Abbandonano la sfida. Rinunciano alla disputa”. La percepita necessità di evitare il conflitto – appaiata al fatto che “la maggior parte delle persone ha rinunciato alla propria consapevolezza e persino alla propria capacità di agire” – si riflette anche nei media, che non vengono risparmiati dallo sguardo feroce dell’artista, e infine nel sistema dell’arte: “In un simile contesto, è quasi impossibile produrre un’arte che si confronti con il vero sentimento umano o con il calcolo morale”.

La massima espressione di questo isolamento omologatorio è per l’artista in ogni caso la burocrazia, che vede come “un disprezzo culturale. Rifiuta la possibilità del dialogo. Insiste sul fatto che l’ignoranza, codificata nella politica, per quanto sbagliata e disumana, rimanga la migliore resistenza alla mobilità sociale, al moto morale. In una società del genere, la speranza non è mal riposta. Si spegne”.

Il rapporto conflittuale tra Ai Weiwei e la Germania

Un primo assaggio di come l’artista si fosse trovato in Germania lo si poteva in realtà dedurre dalla lunga intervista rilasciata al Guardian nel 2020, anno in cui ha lasciato il Paese con la famiglia per spostarsi in Inghilterra:“In Gran Bretagna sono coloniali, ma almeno sono educati. In Germania non hanno questa educazione. Direbbero che in Germania bisogna parlare tedesco. Sono stati molto maleducati nelle situazioni quotidiane. Gli dispiacciono profondamente gli stranieri”. E proprio di lingua e razzismo torna a parlare oggi, quando sostiene che quando la società tedesca “usa la differenza linguistica o l’incomprensione culturale come scuse per l’esclusione, sprofonda in una forma più insidiosa di razzismo. Questa non è un’opinione politica: è un atteggiamento, una macchia di sangue, tramandata come i geni”.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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