Il caso delle piantagioni schiaviste trasformate in resort. L’America non solo dimentica, ma riscrive
Il tema delle case dei vecchi padroni schiavisti usate come resort di lusso e location per matrimoni torna alla ribalta con l'incendio che ha distrutto Nottoway, la più grande dimora antecedente alla Guerra Civile del Sud degli Stati Uniti

Non ci sono croci, sulle baracche dove gli schiavi d’oltreoceano vivevano e morivano, né targhe. Le casette collettive, che ancora sorgono a piccoli gruppi ai margini delle antiche piantagioni, sono tutte rimesse a nuovo, ridipinte e decorate con decalcomanie di fiori e tendaggi boho chic. Si può restare per la notte, a volte per un retreat depurativo o magari per un matrimonio nel verde. Ma non commemorare: qui, duecento anni fa, non è successo niente, tanto vale godersi l’aria aperta.
Riscrivere la storia con le piantagioni-resort
Negli Stati Uniti è cosa comune e addirittura desiderabile portare i propri invitati nuziali nelle vecchie piantagioni: ci si appoggia alle case dei padroni per la funzione e il ricevimento, con i grandi giardini e viali alberati che assolvono la stessa funzione delle nostre cascine (quando non i castelli, visto i costi). Tra le pletore di foto di coppie bianche sorridenti immerse nella natura, condivise in massa sui social, è facile non sentire l’eco del dolore e del rancore dei discendenti delle persone qui deportate, torturate e tenute in schiavitù, così come le loro richieste. Contestualizzare, spiegare, ricordare e non ripetere: altrimenti, replicano, è come fare i picnic ad Auschwitz.
Bruciata la casa padronale della piantagione di Nottoway
Ha fatto ancora più rumore, visto questo silenzio, il grido di gioia delle persone nere d’America alla notizia dell’incendio che ha completamento distrutto uno di questi simboli. Il 15 maggio scorso le fiamme sono divampate nella vecchia piantagione di zucchero di Nottoway a White Castle, in Louisiana, mangiando fino alle fondamenta quella che era la più grande dimora pre-Guerra Civile di tutto il Sud degli Stati Uniti. “Nottoway non era solo la più grande dimora anteguerra rimasta nel Sud, ma anche un simbolo sia della grandezza che della profonda complessità del passato della nostra regione”, ha commentato il presidente della parrocchia della vicina cittadina di Iberville, Chris Daigle. Aggiungendo che “sebbene la sua storia iniziale sia innegabilmente legata a un periodo di grande ingiustizia, negli ultimi decenni si è evoluta in un luogo di riflessione, formazione e dialogo”. E dopotutto c’era un piccolo museo nella casa, soppiantato presto da un florido business di matrimoni e feste in giardino: se sul sito della magione cliccate su “storia”, trovate solo l’elenco delle querce secolari del parco.
Georgia, Florida, Virginia, South Carolina: le piantagioni USA usate come resort
Quello di Nottoway non è che uno di centinaia di casi di ex piantagioni che molto spesso occultano e riscrivono la storia di tragedia e tortura che vive in queste terre: la vecchia Reynolds Plantation della Georgia è oggi un Ritz Carlton Hotel, le piantagioni di Woodlands sono diventate il Barnsley, un “relaxation retreat” sempre in Georgia, mentre le terre del padre fondatore Thomas Jefferson in Virginia sono note come Poplar Forest. Alcuni, come Plantation on Crystal River, in Florida, non si sono nemmeno premurate di togliere la vecchia funzione dal nome, anzi, e ci sono siti (come questo, per Charleston in South Carolina) divisi per stato o per città con decine di indirizzi, che sottolineano ancora oggi come non ci sia “niente di più romantico” di una festa tra parchi e piantagioni. I numeri e i nomi lo confermano: il New York Times ricordava nel 2020 che la sola Charleston ha ospitato quasi 6000 matrimoni nel 2019, mentre nell’ormai lontano 2012 le star Blake Lively e Ryan Reynolds si erano sposati nella piantagione di Boone Hall, in South Carolina, e poi erano stati costretti a scusarsi pubblicamente.
Se il razzismo sistemico non c’è mai stato, è facile pensare che non sia mai morto: il nuovo mandato Trump lo mostra solo un po’ più chiaramente.
Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati