Il Centro Arnolfini di Bristol boicottato dagli artisti per aver censurato la cultura palestinese

Tra i più importanti centri d’Europa per le arti contemporanee, Arnolfini ha cancellato di recente due eventi legati alla rappresentazione della cultura palestinese. Ora oltre mille artisti si rifiutano di lavorarci in futuro, timorosi che la repressione della libertà di espressione stia prendendo il sopravvento. Paura condivisa in Italia

Ha già superato le 3mila firme la “Lettera aperta per una presa di posizione rispetto al genocidio in Palestina” condivisa lo scorso 8 dicembre online per riunire le voci di artisti e artiste, designer, fotografi e fotografe, architetti, musicisti, curatori e curatrici. Probabilmente la presa di posizione più esplicita del mondo dell’arte italiano, finora meno portato a esporsi – in quanto “sistema”, mentre singolarmente molti si sono già pronunciati – sul conflitto scoppiato a seguito dell’attentato condotto dai miliziani di Hamas il 7 ottobre 2023. Quel giorno, in un deserto del sud di Israele, furono uccise oltre 1.400 persone, e 240 furono prese in ostaggio; a oltre 15mila, dopo poco più di due mesi di ostilità, ammonta il computo delle vittime palestinesi (ma i numeri potrebbero essere molto più alti).

Artisti italiani contro il genocidio in Palestina. La lettera

Già il 19 ottobre, un’analoga lettera pubblicata su Artforum per chiedere la liberazione del territorio palestinese era stata sottoscritta da migliaia di artisti in tutto il mondo: a fronte delle proteste della comunità culturale israeliana, però, alcuni celebri firmatari avevano fatto marcia indietro, e pure il testo della petizione era stato modificato in termini più neutrali (“piangiamo tutte le vittime civili”).
La lettera dei lavoratori dell’arte e dello spettacolo in Italia divulgata una decina di giorni fa, invece, si propone, senza utilizzare giri di parole, di “rompere il silenzio che pervade gran parte delle istituzioni culturali del Paese in relazione al genocidio in corso da parte dello Stato di Israele ai danni della popolazione palestinese”, denunciando anche le politiche nazionali che “a oggi, hanno dimostrato una grave combinazione di indifferenza e complicità nei confronti del genocidio in atto, e un’inaccettabile difesa delle politiche militariste e coloniali di Israele”. A essere rigettate, nel testo, sono anche “le azioni di stigmatizzazione, intimidazione e censura nei confronti di lavoratorз culturali e organizzazioni che si sono espresse contro le atrocità perpetrate dal governo israeliano” (qui il testo completo della lettera).

Gli artisti boicottano Arnolfini a Bristol. L’accusa di censura

Proprio su quest’ultimo punto divampa, oltre i confini italiani, la polemica che sta coinvolgendo l’Arnolfini International Centre for Contemporary Arts di Bristol, ritenuto responsabile di censurare la cultura palestinese dopo la cancellazione di due eventi – la proiezione del film Fahra e un reading di poesia tenuto dall’attivista rapper Lowkey – legati al Palestine Film Festival in scena nella città inglese. Gli eventi avranno comunque luogo in altri spazi culturali di Bristol, ma quanto accaduto ha determinato il boicottaggio del Centro Arnolfini da parte di oltre mille artisti, da Brian Eno Robert del Naja (Massive Attack) a Tai Shani e Ben Rivers, Alice Oswald e Rachel Holmes, tra musicisti, scrittori, poeti e artisti visivi. I firmatari della lettera che accusa il polo per le arti contemporanee si impegnano a rifiutare ogni forma di collaborazione con il Centro, e invitano quanti più artisti possibili a fare la stessa scelta. Una decisione maturata anche a seguito delle giustificazioni poco convincenti di Arnolfini, che motivano la cancellazione dei due eventi con la volontà di prendere le distanze da appuntamenti che potrebbero avere risvolti politici. Peccato che i fatti smentiscano le parole, dal momento che il Centro, sin dalla sua fondazione nel 1961, ha sempre dato spazio a eventi “impegnati”, proponendo momenti di riflessione sulla decolonizzazione, sul movimento Black Live Matters, sulle discriminazioni di genere, sulle migrazioni, sulla guerra in Ucraina.
Si chiede, dunque, ad Arnolfini, di riaffermare pubblicamente il proprio impegno a favorire la libertà di espressione senza restrizioni. E si ritorna così, alla questione sollevata dalla lettera degli artisti italiani: è davvero in atto, nel sistema artistico occidentale, un processo, avallato dalle stesse istituzioni culturali, che censura e reprime chi critica il governo israeliano o sostiene la causa del cessate il fuoco?

Livia Montagnoli

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