Gli Usa al lavoro per rientrare (ancora una volta) nell’Unesco

Il rapporto degli Usa con l’Unesco è stato scandito da due abbandoni, alla metà degli Anni Ottanta e nel 2019, sempre per motivi di politica internazionale. Ora l’amministrazione Biden favorisce il ritorno, preoccupata dall’ascesa della Cina. Ma c’è da saldare un debito di oltre 600 milioni di dollari

Potrebbe concretizzarsi presto il ritorno degli Stati Uniti nell’Unesco. L’intenzione del governo Biden sarebbe prefigurata da un articolo della manovra economica (Omnibus Appropriations Bill) da 1.700 miliardi di dollari varata dal Congresso lo scorso 22 dicembre, che consentirebbe all’amministrazione americana di aggirare la legge varata nel 1990 che vieta di finanziare qualsiasi organismo internazionale che riconosca la Palestina come Stato indipendente, e dunque di tornare a sovvenzionare l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Qual è il nesso? Nell’ultimo decennio il rapporto degli Stati Uniti con l’Unesco è stato piuttosto teso, scandito da un progressivo allontanamento che prescinde dal colore politico della presidenza in carica. Sebbene proprio di politica (ma estera) si tratti, dal momento che le turbolenze tra la Casa Bianca e l’organizzazione creata “per promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni” all’indomani della Seconda Guerra Mondiale scaturiscono da storie tese di diplomazia internazionale. E persino dietro al plausibile e imminente ricongiungimento si annida l’intenzione di frenare l’avanzata cinese ai vertici dell’Unesco, riposizionando l’ago della bilancia verso gli Stati Uniti, che fino all’ultima rottura hanno rivestito il ruolo di principale finanziatore dell’organizzazione, versando 80 milioni di dollari l’anno (il 22% del budget complessivo).

IL RAPPORTO TRA USA E UNESCO. I PRECEDENTI

All’inizio del 2019 gli USA abbandonavano l’Unesco, colpevole, a detta dell’amministrazione Trump, di aver assunto posizioni anti-israeliane. Una decisione tranchant, ma non certo arrivata come un fulmine a ciel sereno. Già nel 2011 (e dunque sotto la presidenza di Obama), infatti, si era consumato un primo significativo distacco, a seguito dell’ammissione della Palestina nell’Unesco. In virtù della legge vigente dal 1990, gli Stati Uniti smisero di finanziare l’organizzazione, pur mantenendo il proprio ufficio nel quartier generale dell’Unesco per continuare a esercitare un peso politico sulle sue decisioni. A luglio 2017, l’inclusione della Città vecchia di Hebron e della Tomba dei patriarchi come sito palestinese nella Lista del patrimonio mondiale in pericolo dell’Unesco – decisione all’epoca condannata dal premier di Israele Benyamin Netanyahu, che accusò l’Unesco di falsificare la storia – avrebbe ulteriormente deteriorato la situazione, fino all’avviso di ritiro presentato dall’amministrazione Trump nel mese di ottobre, ma diventato effettivo solo nel 2019. Un precedente analogo, nella storia controversa del rapporto tra Stati Uniti e Unesco, si rintraccia alla metà degli Anni Ottanta: con Reagan, gli Usa abbandonarono l’organizzazione per protesta verso posizioni ritenute filosovietiche, per rientrare solo nel 2003 sotto la presidenza di George W. Bush.

Il quartier generale dell'Unesco, Parigi

Il quartier generale dell’Unesco, Parigi

GLI USA RIENTRANO NELL’UNESCO?

Vent’anni dopo, l’amministrazione Biden si appresta ad avallare un nuovo ritorno. Già all’indomani dell’ingresso del presidente in carica alla Casa Bianca, il dibattito politico si è concentrato sul valore strategico di questo riavvicinamento. Constatare come la Cina sia riuscita a colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, diventando principale finanziatrice dell’Unesco con 65 milioni di dollari stanziati ogni anno, è il primo motivo che rinsalda il fronte dei sostenitori del rientro. Nel 2018, per la sua prima visita ufficiale da neodirettrice dell’organizzazione, Audrey Azoulay (già ministro della cultura nel governo Hollande) scelse la Cina. Ma altre azioni di avvicinamento hanno destato la preoccupazione degli osservatori statunitensi negli ultimi anni, dall’accordo stretto dall’Unesco con il gruppo cinese Huawei per lo sviluppo tecnologico in America Centrale alla firma di un memorandum d’intesa per la cooperazione con la Belt and Road Initiative cinese. Nel frattempo, però, dal 2011 a oggi, gli Stati Uniti hanno accumulato 616 milioni di dollari di mancati finanziamenti all’Unesco. Pur sottostando alla liquidazione di una cifra davvero onerosa, Joe Biden sembra essere determinato a sottoscrivere la riconciliazione. Il confronto tra potenze internazionali passa anche dall’esercizio strategico del Soft Power, di cui la cultura è fonte primaria. E il ritorno degli Stati Uniti nell’Unesco sarebbe salutato nel Paese come una mossa fondamentale per arginare la diffusione globale dell’ideologia autoritaria. Ma per averne certezza bisognerà attendere il prossimo novembre, quando l’Assemblea generale dell’Unesco potrà ratificare l’auspicata procedura di adesione. Nel frattempo, gli uffici competenti dovranno lavorare a un negoziato sul rimborso del debito.

Livia Montagnoli

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