Curare, reinventare, abbandonare. Una riflessione sulle modalità di gestione del patrimonio culturale italiano 

Le tragiche vicende romane dovrebbero essere l’occasione per sviluppare un dibattito sulle modalità di gestione di un Patrimonio Culturale che, per valore e ampiezza, richiederebbe una tutela estesa all’intera collettività, e non delegata esclusivamente allo stato e a un manipolo di privati

Il crollo della Torre dei Conti è stato ampiamente circostanziato. Ne è stata descritta la storia; sono state valutate le cause; le dimensioni strutturali; è stata giustamente e mai abbastanza ricordata la scomparsa di un uomo che è morto mentre si occupava di salvaguardava la memoria collettiva della storia del nostro Paese e dell’umanità.
Oggi siamo tutti attenti alla tutela: in punta di piedi o con il dito puntato, tutti sensibili alle vicende del nostro Patrimonio, tutti indignati, tutti parte lesa. Finirà presto: ci sarà qualche dichiarazione, si avvieranno inchieste che si concluderanno quando l’interesse sarà ormai svanito, e poi passeremo tutti alla prossima notizia. Della Torre se ne parlerà in occasione di qualche anniversario, in qualche libro sulla tutela, in qualche circolo ristretto, per poi lentamente svanire anche da quelli. 

La necessità di fare una serie riflessione sul patrimonio storico e culturale 

Prima che questo accada, prima che l’attenzione venga dirottata verso altre urgenze, è necessario sviluppare un dibattito serio e programmatico. È necessario sviluppare una riflessione che porti a una scelta, difficile ma necessaria. È infatti essenziale ricordare che il nostro Patrimonio Storico e Culturale, così come la nostra produzione culturale contemporanea, ha un valore che in parte dipende da elementi scientifici e tecnici; in parte dal valore che la collettività vi attribuisce.
Possiamo chiaramente invocare il concetto di bene meritorio, così come possiamo sviluppare una riflessione legata al tema dell’equità intergenerazionale, ma sono riflessioni in qualche modo faziose, perché confondono le premesse (i beni culturali sono un Patrimonio per l’umanità), con le conclusioni. L’imperativo di preservare il passato non è altro che un tratto culturale che abbiamo ereditato dalle precedenti generazioni. In quanto tale, assolviamo a una dimensione culturale che consideriamo come assiomatica. Si tratta di una condizione che senz’altro genera effetti positivi, come l’attenzione alla tutela e conservazione del Patrimonio Culturale. L’ampiezza del nostro Patrimonio, il suo stato di conservazione, e le esigenze di ripristino dell’economia pubblica nazionale, pongono sfide che per essere vinte richiedono più dell’investimento pubblico in cultura. 

La perenne urgenza che caratterizza le modalità di tutela del nostro patrimonio culturale 

L’elenco dei siti a rischio nel nostro Paese è molto lungo, e ciò si traduce in una condizione di perenne urgenza. Una condizione che, è chiaro, non può essere sostenibile nel lungo periodo. Per questo è essenziale ricordare che in Italia non ci sono solo il Ministero e altri attori pubblici, ma anche persone, imprenditori, organizzazioni del terzo settore, industrie, fondi di investimento. È essenziale superare la diffusa convinzione che ciò che non rientra nella proprietà privata sia di competenza del settore pubblico. Per farlo, è necessario chiedersi se per gli Italiani il Patrimonio Culturale abbia realmente quel valore che continuiamo a dare per scontato.
Nel corso dei secoli, differenti società hanno attribuito differenti valori alle tracce materiali del passato. Oggi, è essenziale comprendere quale sia il valore che noi, come collettività, conferiamo a questa tipologia di Patrimonio. 

La necessità di prendere decisioni per la tutela del patrimonio culturale del Paese 

Se di fronte alla grande mole di Patrimonio dovessimo valutare insufficienti le risorse disponibili, bisognerebbe selezionare quali beni tutelare e quali no; scelta che equivarrebbe a una sconfitta per la collettività. Certo, la società smetterebbe di “subire” crolli, accettando che non tutto può essere preservato, e che quindi alcune cose vadano perdute, e altre invece vadano rinnovate, rimodernate. Se invece, come auspicabile, valutassimo l’intero Patrimonio Culturale come un bene inestimabile, che la nostra collettività ha l’onore di preservare, allora stabiliremmo con forza la necessità di cooperare collettivamente al suo mantenimento. 
Non una richiesta d’aiuto ai privati, ma una spinta che proprio dai privati abbia origine. In quel caso gli strumenti di partnership verrebbero realmente utilizzati al massimo delle loro potenzialità. Al punto che l’ArtBonus, o altre forme di cooperazione pubblico-privata, divengano un’azione abituale per qualunque organizzazione abbia delle risorse operative. Cittadini, volontari, ETS. 

Il patrimonio culturale italiano un valore da curare collettivamente 

Se vogliamo prenderci cura del nostro passato, lo dobbiamo fare attivamente. Deve diventare un’azione talmente diffusa da essere considerata come “normale”. Attenzione, però: non basta soltanto che una parte della popolazione si dichiari disponibile; è necessario che questa disponibilità sia realmente apprezzata e valorizzata. Questo significa anche superare i pregiudizi che costringono la società a essere divisa tra chi si può occupare di patrimonio e chi no. Se non altro, per aderenza ad un principio di realtà. Se le condizioni attuali fossero sufficienti, non sarebbe necessario parlarne. Sembra una banalità, ma è evidente che se vogliamo cambi qualcosa, qualcosa deve pur cambiare.

Stefano Monti 

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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