Ripensare il rapporto tra cultura, economia e spazio urbano contro l’omologazione 

Gentrificazione, turismo di massa e omologazione stanno cancellando le radici e la pluralità dell'Italia. La creatività si piega al mercato, l'intelligenza artificiale amplifica la ripetizione. Ma ripensando alla cultura come ecosistema vitale è ancora possibile invertire la rotta... 

C’è un filo rosso che unisce Roma, Firenze, Napoli, Bologna. Non è quello dell’arte o della storia, ma della replicazione seriale. Stesse insegne, stesse luci, stessi odori di fritto indistinto. È la nuova “identità” delle città storiche italiane: una monocultura del consumo che ha sostituito botteghe, librerie, atelier e laboratori con pizzerie, kebaberie, piadinerie e “experience food”. 

Bologna, Firenze, Napoli e Roma come salvare le città dall’omologazione 

Bologna, un tempo laboratorio musicale e artistico, è oggi – come l’ha definita qualcuno – un “mortadellificio”. Sotto le Due Torri sfilano “sfogline” da vetrina, mentre l’artigianato artistico scompare. Roma si riempie di paninerie industriali; Firenze di “concept store” fotocopia; Napoli di “street food experience” che cancellano le osterie storiche. 

Il risultato è un paesaggio uniformato, turistificato e senz’anima. Una Disneyland gastronomica dove il cibo non nutre più, ma serve solo a generare flussi e fatturati. Le città non vivono più di abitanti, ma di utenti temporanei. 

A questo si aggiunge la gentrificazione, che espelle i residenti, svuota le case e riduce i centri a palcoscenici. L’abbandono dei centri storici a se stessi – frutto di una pianificazione miope e di un’idea di sviluppo fondata sul consumo veloce – sta uccidendo le radici e l’anima dell’Italia, altro che difesa della tradizione o dell’identità culturale. È una strategia che confonde la valorizzazione con la spettacolarizzazione, e finisce per distruggere ciò che pretende di celebrare. 

L’omologazione in Italia un problema culturale oltre che urbanistico 

Ma il problema va oltre l’urbanistica. La cultura italiana tutta è ormai omologata. Dalla musica al cinema, dalla moda alla televisione, fino all’arte contemporanea, tutto sembra rispondere a logiche di mercato, algoritmi di visibilità e codici globali. L’immaginario collettivo si appiattisce, e ciò che un tempo era diversità, oggi è standardizzazione estetica. 

La street art è ridotta a pattern decorativo da centro commerciale. Il cinema ripete sé stesso, la moda copia il passato, l’arte rincorre il brand. E ora anche l’intelligenza artificiale, nata per ampliare il pensiero, rischia di diventare il motore supremo dell’omologazione, producendo immagini, testi e suoni indistinti, privi di radici, dove l’unicità umana si dissolve in una serialità perfetta. 

Una visione nuova per salvaguardare le pluralità d’Italia 

Eppure, l’Italia era il Paese delle differenze. Ogni città aveva il suo ritmo, il suo accento, il suo artigiano, il suo sapore. Oggi quell’unicità è sotto assedio. Non è nostalgia: è difesa del pluralismo culturale, che è la base stessa della democrazia. Quando le città perdono i loro mestieri e le loro botteghe, perdono anche il loro pensiero. Serve una visione nuova: ripensare il rapporto tra cultura, economia e spazio urbano, restituendo valore alla lentezza, alla manualità, alla diversità. Tornare a considerare la cultura non come un prodotto, ma come un ecosistema vitale. 

Perché un Paese che trasforma le sue città in vetrine gastronomiche non è un Paese moderno. È un Paese che ha smesso di raccontarsi. E si limita, tristemente, a esibirsi e a vendersi per pochi spiccioli. 

Angelo Argento 

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Angelo Argento

Angelo Argento

Avvocato patrocinante in cassazione e dinanzi alle giurisdizioni superiori. Docente di Legislazione dei Beni Culturali presso l'Accademia Nazionale di Belle Arti di Brera. Presidente di Cultura Italiae, associazione riconosciuta quale ONG UNESCO.

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