Il lavoro nel settore culturale. Tra promesse di scioperi e riflessioni d’uso

Nonostante le potenzialità, lavorare nel settore culturale, in Italia, rappresenta ancora una “missione”; dal momento che, sia in ambito pubblico che privato, l’incertezza regna sovrana determinando contratti precari e stipendi irrisori

In occasione del Primo maggio, Festa dei Lavoratori, l’Associazione Mi Riconosci ha pubblicato un appello per uno sciopero generale del settore culturale.

Tale sciopero è finalizzato a ottenere risultati sicuramente validi e condivisibili, indipendentemente delle proprie posizioni in materia; a cui se ne associano altri su cui, invece, è possibile assumere posizioni differenti.

Lo stato del lavoro nel settore culturale in Italia: una questione non tanto di mercato quanto di forma mentis

Tuttavia, al di là delle singole affermazioni, è vero che lo stato di salute del lavoro culturale in Italia potrebbe essere migliorato, e di molto. Il problema, però, non è il “mercato del lavoro”, quanto il “mercato culturale” nel suo insieme che andrebbe armonizzato, riformato, e sviluppato in modo più coerente con il nostro sistema economico e sociale attuale.

Qualsiasi mercato del lavoro è composto sostanzialmente da due categorie di soggetti: i datori di lavoro, coloro che hanno bisogno del lavoro altrui e sono disposti a pagarlo; e i lavoratori, ovvero coloro che offrono, a condizioni ritenute convenienti, la propria opera, competenza e tempo.

Basta questa semplificazione brutale per comprendere che, già alle basi, il mercato culturale in Italia presenta non poche distorsioni.

Si prenda ad esempio il “datore di lavoro”. Se continuiamo a ragionare per semplificazioni, il datore di lavoro può essere un soggetto privato, che si avvale del lavoro altrui per realizzare prodotti o servizi da erogare a terzi a un prezzo che gli consenta di rientrare degli investimenti e generare dei guadagni. Oppure può trattarsi di un soggetto pubblico, che ha bisogno di lavoratori per erogare ai cittadini beni o dei servizi ritenuti.

Le endemiche distorsioni del lavoro nel settore culturale in Italia

Già su questo punto, la condizione strutturale del nostro Paese è ben lontana da questa pragmatica semplicità. La filiera di produzione di tutto ciò che concerne, ad esempio, il Patrimonio Culturale, include soggetti estremamente variegati, e questa condizione complica notevolmente quella coerenza che dovrebbe sussistere tra chi “eroga il lavoro”, assumendo e chi viene assunto, in termini di benefici generati dal contratto.

Ma proseguiamo. Che il lavoro si inquadri in un rapporto tra lavoratore ed ente pubblico o tra un lavoratore e un soggetto privato, la base di partenza tra un’organizzazione e un lavoratore è che il lavoratore eroghi le prestazioni richieste, a fronte di una serie di condizioni economiche e contrattuali ben definite.

Anche su questo punto, se guardiamo la realtà, c’è qualcosa che stride. E non solo per le conseguenze dirette che derivano dalla presenza di soggetti eterogenei attivi all’interno dello stesso mercato.

Il lavoro culturale in Italia nel contesto privato

In un contesto privato, le condizioni contrattuali sono definite da un lato dai rapporti di “forza” tra datore di lavoro e lavoratore; dalla configurazione del mercato del lavoro e dal valore aggiunto che il lavoratore genera all’interno del processo produttivo.

Quest’ultimo punto è essenziale. In un mercato privato, ad esempio, si può affermare che l’intera struttura si basa su quanto i consumatori pagheranno per acquistare o beneficiare dei prodotti e servizi erogati. Questo significa che ogni dipendente, idealmente, partecipa del valore aggiunto in misura proporzionale ai benefici che genera.

Chiaramente, sia il datore di lavoro che il lavoratore hanno l’obiettivo di ottenere la maggiore quota possibile di questo valore aggiunto; quindi subentrano: da un lato la dimensione “di forza”, e dall’altro la struttura del mercato (quanti lavoratori ci sono, quanto vengono pagati, quante imprese ci sono, quanto sono disposte a pagare, ecc.).

Il lavoro culturale in Italia in ambito pubblico

Nel settore pubblico legato alla cultura, questo concetto di valore esiste ma è molto poco rilevante. Quantificare il valore generato da una determinata attività è una difficoltà condivisa da tutti i settori dell’agire economico pubblico, ma nel caso di acqua, trasporti, sanità, la quantificazione è sicuramente più semplice. Mentre stabilire la cifra che un cittadino pagherebbe non solo per visitare un museo, ma anche per far sì che quel museo esista è materia ben più complicata.

Per quanto esistano dei parametri tecnici da valutare, come disponibilità a pagare, la verità è che nella pratica ordinaria, a determinare quanto sia corretto retribuire un lavoratore un determinato servizio, contribuiscono soprattutto pochi elementi: le disponibilità di bilancio, i minimi fissati dalla contrattazione collettiva e la capacità di contrattazione prevista nei confronti dei privati; lasciando poi, spesso, a questi ultimi l’onere di dover avviare una trattativa privata con i lavoratori.

Le conseguenze dell’indeterminatezza nel lavoro culturale

Tutto il resto è diretta conseguenza. Ad esempio: tra gli operatori museali non ci sono condizioni di lavoro stabili perché in genere un privato assume le persone per un contratto che dura in media tra 1 e 3 anni. Non ci sono salari elevati perché tali salari sarebbero giustificati se lo Stato riconoscesse un grande valore alle imprese e ai loro dipendenti (condizione irrealizzabile a causa dei vincoli di bilancio molto stringenti). E se queste sono le basi, è chiaro che tutta la filiera ne soffra le gravi conseguenze.

È quindi giusto che i lavoratori richiedano attenzione, focalizzando l’interesse sulle proprie precarie condizioni. Il punto però non è tanto stabilire se sia giusto o meno. Il punto è capire se basti.
E purtroppo, la risposta è no.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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