Un artista di frontiera a Berlino. Intervista con Tomás Saraceno

Dopo un lungo periodo trascorso a Francoforte, recentemente è approdato a Berlino l'artista argentino Tomás Saraceno. Il suo lavoro è spesso ispirato da visioni abitative e urbanistiche alternative, utopistiche, che mettono in relazione arte, scienza e architettura con il fine di considerare forme di abitazione e coabitazione meno rigide e più sostenibili. Ecco cosa ci ha raccontato.

L’installazione Cloud Cities, presentata nel 2011 all’Hamburger Bahnhof, consisteva in un network di nuvole, sculture aeree nelle quali i visitatori potevano tuffarsi e coabitare. Lui è Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, 1973), da poco residente a Berlino.
L’anno scorso ha esposto l’ultimo risultato delle sue ricerche, il progetto Aerocene, al Grand Palais di Parigi durante la conferenza sul cambiamento climatico, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’utilizzo di fonti rinnovabili e alternative ai combustibili fossili e agli idrocarburi. “Il problema è sempre legato al significato della sostenibilità”, ci spiega l’artista. “Io la considero in continua espansione e cambiamento. È un continuo adattarsi a modi differenti di pensare, guardare e sentire in tutte le epoche dell’umanità. E anche al di là dell’umanità. Oggi siamo sempre più convinti di vivere in universi paralleli. Come possiamo capire quanto è grande questo ecosistema di interconnessioni, dove alcune cose diventano più urgenti e altre meno urgenti? Normalmente siamo abituati a pensare in due, tre, quattro generazioni, ma adesso i problemi iniziano ad avere una durata molto maggiore e non siamo abituati a pensare a lungo termine. Quando parliamo di cambiamenti climatici, parliamo di cambiamenti che hanno conseguenze molto più lunghe di quelle da noi preconizzate”.

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011 - Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino 2011 – photo Jens Ziehe © b:k:Nationalgalerie

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011 – Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino 2011 – photo Jens Ziehe © b:k:Nationalgalerie

Il sociologo Bruno Latour ha messo in relazione la spettacolare installazione di Saraceno On Space Time Foam, allestita all’HangarBicocca di Milano, con la sua teoria dell’attore-rete (ovvero la concezione complessiva di come persone, idee e tecnologie interagiscano a formare elementi coerenti), definendo l’habitat come un’entità priva di forma e dotata di uno spazio potenzialmente abitabile, in cui natura e società non sono distinte l’una dall’altra, in una generale rivalutazione del rapporto dell’uomo con il passato. Saraceno ricorda come “ogni passo, ogni movimento che si produceva in questa installazione alterava la posizione degli altri, alterava la pressione della stanza sotto, alterava le possibilità di muoversi nello spazio e apriva uno spazio-tempo relativo. Una ricerca che si è rivelata essere ancora estremamente attuale con la recente scoperta delle onde gravitazionali, a conferma della teoria di relatività di Einstein”.
Queste opere sottolineano quanto siamo parte della natura e quanto dobbiamo guardare alla nostra presenza non in maniera autonoma, ma come parte di un ecosistema. “Sto cercando di espandere questi dialoghi”, annuncia Saraceno. “Quali sono gli elementi che partecipano a formare questa rete? Opere come ‘Aerocene’ invitano a sensibilizzare su altre forme: quella scultura volante scende e percepisce le radiazioni infrarosse, che noi non percepiamo. Le api ad esempio riescono a vederle si orientano grazie ad altre forme di comunicazione. Anche noi possiamo iniziare a essere più sensibili per poter capire altri intrecci e altre relazioni, se vogliamo sopravvivere sul pianeta Terra”.

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011 - Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino 2011 – photo © 2011 Studio Tomás Saraceno

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011 – Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino 2011 – photo © 2011 Studio Tomás Saraceno

Una domanda che non si può fare a Saraceno riguarda l’intreccio di campi del sapere. “La mia carriera è sempre stata influenzata da molteplici discipline”, ci risponde. “Ho cominciato con l’architettura, sono passato all’arte e ora torno alla scienza. Mi piace molto che l’arte sia un luogo che ti permette di fare dei collegamenti e darti il tempo di riflettere. Le persone che mi hanno ispirato, come l’artista Gyula Kosice e Peter Cook, erano poliedrici. Mi sono sempre piaciuti questi innesti tra arte, architettura, scienza”.
Arriviamo allora alla scelta di Berlino come nuova sede del suo studio. “A Francoforte sono stato in uno studio per dieci anni. Ora l’ha comprato un’immobiliare per realizzare un supermercato e sono dovuto andare via. Ottimo, perché ho avuto l’opportunità di venire a Berlino! I cambiamenti sono un challenge, sono sempre positivi. La possibilità che mi viene data di poter cambiare e muovermi per il mondo, per me è un lusso. Il cambiamento, come diceva Freud, è una delle cose più difficili da accettare. Gli esseri umani spesso sono abitudinari. Il cambiamento ti dà una flessibilità del pensiero, ti dà una certa agilità che sarebbe bello pensare per tutti. Siamo mobili, la maggior parte degli esseri umani sono stati cacciatori nomadi. L’invenzione della città, come sottolineava Lewis Mumford, è molto recente nella storia dell’umanità. La stanzialità è una condizione recente. I nostri geni, la nostra composizione, è sempre in movimento”. Una continua metamorfosi: come quella della capitale tedesca.

Giorgia Losio

www.tomassaraceno.com

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31

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Giorgia Losio

Giorgia Losio

Giorgia Losio, nata a Milano, è storica dell’arte e appassionata di design. Ha studiato storia dell’arte presso l’Università degli Studi di Milano e si è specializzata in storia e critica dell’arte contemporanea all’Université Sorbonne Paris-IV e in museologia e museografia…

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