C’era una volta la Belle Époque. A Palermo

Gli interventi della pubblica amministrazione e il sempre più vivo interesse dei palermitani hanno innescato accesi dibattiti sulla stagione del Liberty, una delle fasi artisticamente più ricche della storia della città. Dopo il Villino Favaloro, ha riaperto al pubblico anche il Villino Florio, sebbene non manchino polemiche sugli ultimi restauri. E poi una singolare proposta: la ricostruzione di Villa Deliella, andata distrutta oltre cinquant’anni fa.

ASCESA E DISCESA DEL LIBERTY PALERMITANO
Le passeggiate al crepuscolo, l’intima atmosfera dei caffè fin de siècle, le serate a teatro, le chiacchiere mondane nei salotti di eleganti ville immerse nei luoghi più suggestivi della città: non è l’incipit di un romanzo di costume, ma la descrizione di Palermo negli anni tra Otto e Novecento, quando la famiglia di imprenditori e mecenati dei Florio rese il capoluogo siciliano una delle capitali del Liberty europeo.
Erano gli anni di Ernesto Basile, l’architetto che si contraddistinse nella progettazione di edifici dal linguaggio eclettico: un sapiente e ispirato mix di citazioni tratte dal repertorio artistico medioevale e moderno, purismo geometrico nell’ideazione planimetrica, volumi dallo sviluppo imprevedibile ed estrosità decorativa.
Ma il mito della Palermo Liberty iniziò a declinare intorno agli Anni Cinquanta, quando la ricostruzione postbellica cedette il passo alla speculazione edilizia: dal romanzo della Belle Époque si passò a quello tristemente noto come “Sacco di Palermo”, di cui le architetture Liberty pagarono il prezzo più alto. La dimenticanza e l’incuria, poi, fecero il resto.

Villino Florio, Palermo - photo Amo Palermo

Villino Florio, Palermo – photo Amo Palermo

FAVALORO E FLORIO: DUE VILLINI RESTITUITI ALLA CITTÀ
Negli ultimi tempi, però, il pesante tabù che gravava sull’argomento Liberty sembra vada infrangendosi: tra dibattiti, proposte innovative e riflessioni critiche, a Palermo è in corso un nostalgico e acceso revival.
Una tappa fondamentale di questa nuova temperie è stata la riapertura di Villino Favaloro lo scorso settembre, in occasione della mostra d’arte contemporanea Le Stanze d’Aragona, che ha ottenuto un grande successo di pubblico.
Con lo stesso entusiasmo è stata accolta a dicembre la riapertura di Villino Florio, un fiabesco “padiglione di delizia” progettato da Basile e costruito nel 1899. Le vicende legate alla storia dell’edificio sono complesse e turbolente; l’evento più drammatico è sicuramente l’incendio doloso subito nel 1962. Da quel momento si sono alternati aperture, chiusure e restauri, tra i quali il più recente è quello che interessa il giardino, di cui sono stati ricostituiti l’impianto e la flora originari, seguendo fedelmente e filologicamente il progetto di Basile. Ma non sono mancate le polemiche. Immersa nel verde da anni, adesso la villa sembra ergersi da una distesa di sabbia, mentre il giardino fa da sfondo a questo insolito “isolotto”: una vista surreale, un probabile gioco scenografico ideato dall’architetto per stupire lo spettatore. In molti, però, contestano l’abbattimento di alcuni alberi, intervento che non rispetterebbe il naturale sviluppo del giardino nel corso del tempo. La vicenda continua a far discutere; intanto la fruizione gratuita dell’edificio sembra aver messo d’accordo tutti.

Villa Deliella, Palermo - photo tratta da La Sicilia e gli anni Sessanta di Michele Russotto, Edizioni Anved, 1989

Villa Deliella, Palermo – photo tratta da La Sicilia e gli anni Sessanta di Michele Russotto, Edizioni Anved, 1989

VILLA DELIELLA: RICOSTRUIRLA O GUARDARE AVANTI?
Un caso decisamente diverso è quello di Villa Deliella, anche questa progettata da Basile, costruita tra il 1905 e il 1909 e andata distrutta nel novembre del 1959, poco prima che scattasse il vincolo di bene culturale. La villa fu demolita con una licenza rilasciata dall’assessorato ai lavori pubblici perché, secondo le linee di un piano regolatore che ancora di fatto non esisteva, l’area era stata destinata ad altri usi.
In realtà, un comitato di intellettuali stava lavorando a un piano che prevedeva, per l’edificio, azioni di tutela e valorizzazione. Sulla vicenda si alzarono voci indignate come quella di Giulio Carlo Argan e di Bruno Zevi che, in un articolo su L’Espresso, definì la demolizione della villa “un atto di banditismo di nuovo tipo”: uno scandalo che fece troppo clamore, una piaga che è diventata simbolo del Sacco di Palermo.
A distanza di oltre cinquant’anni, però, arriva da parte di due giovani architetti una sorprendente proposta: ricostruire Villa Deliella “com’era e dov’era”, attenendosi al progetto originale di Basile, per farne la sede del Museo del Liberty. La notizia ha creato scalpore nel mondo intellettuale palermitano, che si è suddiviso in due fazioni: da una parte i sostenitori della proposta, perché “niente può sostituire nella memoria e nella coscienza Villa Deliella; niente se non Villa Deliella può colmare il vuoto lasciato alla città e alle coscienze di chi l’ha amata e la ama”; dall’altra chi ritiene che la ricostruzione sia un esercizio filologico fine a se stesso, incoerente dal punto di vista storico-artistico e anacronistico perché non terrebbe conto dell’evoluzione urbanistica degli ultimi decenni.
Ma soprattutto in molti si chiedono: perché riproporre il non più esistente invece di impiegare energie e risorse per il recupero e la valorizzazione di beni su cui ancora incombono le crepe dell’oblio? Attualmente è in corso una petizione pro ricostruzione: assodato che si tratterebbe di un “falso storico”, la riedificazione della villa è considerato l’unico modo per risanare la ferita inferta dal Sacco e per riappropriarsi di un bene barbaramente strappato alla città. Se Villa Deliella rinascesse nuovamente, sarebbe un monito dall’innegabile peso morale che i palermitani avrebbero continuamente davanti agli occhi. Ma tentare di riportare allo status quo ante l’assetto urbanistico di una città equivale a reintegrarne la storia, a risarcirne i torti subiti e a recuperare – o creare ex novo – una coscienza etica e culturale?
La macchina delle riflessioni, intanto, è stata (ri)messa in moto, e ha il merito di avere scosso la communis opinio dal torpore di un’amnesia su cui, probabilmente, ci si è cullati per troppo tempo. L’importante è che non si ingolfi caricandosi del languore del passato, nel tentativo di imboccare sentieri verso il futuro.

Desirée Maida

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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