Anteprima Moroso, i progetti svelati. E il folle design di Domenico Mangano
Sabato 28 marzo la quinta edizione del Premio Moroso, oggi Moroso Concept, annuncerà i tre vincitori, svelando i progetti degli artisti negli spazi di Villa Manin. Noi abbiamo avuto modo di vederli in anteprima assoluta. E ne abbiamo selezionati alcuni, per raccontarveli. Con tanto di preferenze...
MOROSO CONCEPT 2015. I FINALISTI IN GARA
Sono in dodici, arrivati in finale grazie a un confronto fra tre giurati, che a disposizione avevano una rosa di nomi segnalati da alcune tra le più importanti gallerie italiane: Andrea Bruciati, Patrizia Moroso e Marina Abramovic hanno vagliato decine di curriculum e portfolio, arrivando a individuare la short list del Premio Moroso 2015, nato nel 2011 da un’idea di Bruciati e della vulcanica imprenditrice, e oggi ribattezzato Moroso Concept.
Sono Alessandro Agudio, Alis / Filliol, Alice Cattaneo, Giulia Cenci, Cristian Chironi, Giulio Delvé, Domenico Mangano, Andrea Nacciarriti, Andrea Romano, Marinella Senatore, Namsal Siedlecki e Carlo Gabriele Tribbioli. A loro è stato chiesto di presentare dei progetti site specific per gli ambienti Moroso, come da tradizione per questa iniziativa, che incarna al meglio l’innesto virtuoso tra mondo dell’impresa e mondo della cultura.
I dodici artisti in gara hanno così abbozzato le loro idee per gli store di Milano, Londra e New York: tre di loro saranno scelti da una giuria speciale, la sera del 28 marzo, quando verrà inaugurata la grande mostra di Villa Manin, a Passariano, in provincia di Udine; e grazie alle scelte di Carlo Bach, art director di Illy, Gianluigi Ricuperati, direttore creativo Domus Academy, Patricia Urquiola, designer, Daniel Libeskind, architetto, e Anna Mattirolo, direttrice MAXXI Arte, i tre progetti migliori prenderanno forma, nel corso del 2016.
Progetti che, nell’attesa della presentazione ufficiale, abbiamo visionato in anteprima. Scegliendo di raccontarvene qualcuno.
CINQUE PROPOSTE, TRA DESIGN E SCULTURA
Percorrere fino in fondo l’innesto tra arte contemporanea e design Alessandro Agudio, che per l’occasione attinge da Chrome – Details of Enlargments and Elaborations of Portions of the Human Eye’s Iris, archivio in progress di matrici ottenute dall’ingrandimento e l’elaborazione digitale di close-up dell’iride. Rivestire divani, accessori, pareti, vetrine, stampando la matrice su materiali diversissimi – laminato, plexiglass , tessuti, fogli adesivi, legno, pietra, cristalli… – sarà un modo per reinventare lo spazio sul filo di quella che l’artista chiama una “perversione estetica”: immergersi nel proprio stesso sguardo (magari scegliendo gli occhi dei designer di Moroso), mostrandone l’essenza in forma di sostanza versatile e avvolgente. Uno spazio-arcobaleno, specchio iridescente dell’anima del marchio.
Alice Cattaneo, partendo dal core business dell’azienda, passa in rassegna l’iconografia tradizionale della figura umana seduta, da cui parte per una rivisitazione astratta. Le sue sculture abiteranno gli ambienti secondo equilibri sottili, articolazioni di vuoti e pieni, tensioni tra flessibilità e rigidità: delle architetture sensibili costruite con acciaio, fili di polietilene, fili tecnopolimeri e scampoli di tessuto Moroso. Con la raffinatezza che contraddistingue la sua riflessione sulla natura concettuale ed estetica della ricerca scultorea.
Ancora scultura per Andrea Nacciarriti, ma in una chiave ben più “carnale”: con un rivolgimento tra esterno ed interno, gli spazi saranno invasi da installazioni di gomma piuma, materiale solitamente celato alla vista e utilizzato per le imbottiture. Con una sorta di bondage, che avvolge e modifica la soffice massa sintetica, lo shworom suggerisce un viaggio tra le cavità immaginarie di un corpo-oggetto, rovesciato e riplasmato.
Smile l’approccio di Alis / Filliol, che propone la costruzione di una o più sculture realizzate con i prodotti presenti nello showroom, ma ricorrendo a una efficace suggestione (fanta)scientifica: vittime di una forza magnetica concentrata al centro della stanza, oggetti disparati finiscono con l’assemblarsi in forme compatte, tenute insieme da semplice nastro adesivo. Nuclei informi, carichi di tensione.
Calzante, suggestivo e originale il progetto di Namsal Siedlecki, che conquista già dal “prequel” e punta dritto al podio. Nell’estate del 2014 l’artista si imbatté in un cappello da caccia dell’‘800, esposto al museo dell’agricoltura di Budapest. Era stato realizzato in Transilvania, con pelle di fungo. Dopo varie ricerche in rete, Namsal risalì all’ultimo artigiano al mondo capace di lavorare quel materiale. Partito alla ventura per la Romania, lo scovò in un villaggio montano, trascorse del tempo con lui e apprese i rudimenti di quell’arte ormai dimenticata, salvandone la memoria in un passaggio generazionale assolutamente fortuito. L’idea per Moroso: progettare una serie di sedute in pelle di fung”, riportando in auge, con l’aiuto della moderna industria manifatturiera, una sapienza millenaria destinata a perdersi.
DALLA FOLLIA AL MANUFATTO. IL PROGETTO DI DOMENICO MANGANO
Da sempre interessato ai luoghi della marginalità e alle esistenze fragili, tra micro-comunità e personaggi outsider, Domenico Mangano sta sviluppando un lavoro sulla malattia mentale, dall’antipsichiatria dagli anni Settanta all’attuale realtà terapeutica e sociale. Nel 2014 ha presentato Birds singing, sandy ground, primo film di una trilogia, scaturito da una permanenza di cinque settimane nel De Wissel, centro olandese per persone con disabilità mentali ed handicap multipli.
Il progetto per Moroso riparte da qua. E ipotizza un percorso con i pazienti dal Kings County Hospital di New York. L’artista, durante dei laboratori di arte-terapia, inviterà i degenti a realizzare dei disegni o modelli plastici, in piena libertà. E sarà da questi bozzetti che nasceranno degli oggetti d’arredo, definiti con gli esperti di Moroso, quindi prodotti come pezzi unici e commercializzati. Un modo, spiega Mangano, per “trasformare la follia in manufatto”.
Un progetto che potrebbe meritare la vittoria, per coerenza, profondità, sensibilità, approccio scientifico e creativo. Lasciando immaginare un mondo di oggetti concreti e funzionali, partoriti da universi capovolti, laterali, di confine. Il dialogo tra questi due piani – il reale ed il suo doppio “irregolare” – resta la prima chiave per affrontare la malattia mentale. Essendo insieme, da sempre, metafora dell’arte. Tra logica rigorosa e potenza visionaria.
Helga Marsala
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