Moving Museum. Intervista ai non-curatori di un non-museo

Giovani, svegli e spigliati. Aya Mousawi e Simon Sakhai hanno un profilo internazionale seducente (lei è irachena-londinese e lui è persiano di New York) e un curriculum impeccabile. Dopo aver presentato “Tectonics” a Dubai, il dinamico duo ha inaugurato “Open Heart Surgery” nello spazio al numero 180 dello Strand: un'immensa e complessa proprietà in un'ugualmente immensa e complessa realtà artistica come quella di Londra. Li abbiamo intervistati.

L’arte è una commodity?
Simon Sakhai: Dipende da chi acquista!

Koons vs. Brueghel… a ottobre a Londra, con ambedue le fiere di Frieze in città, tutti continuavano a fare paragoni tra i prezzi degli old master e l’arte contemporanea. Cosa ne pensi?
Simon Sakhai: Discutere sulla razionalità dei prezzi di vendita è sempre meno utile che capire le loro implicazioni. Prima di tutto, dare valore a oggetti antichi e rari (come gli old master) è tanto il risultato dei nostri schemi sociali quanto dare valore a qualcosa che è attuale e di rilievo (come l’arte contemporanea). Anche i diamanti sono pietre, e a un certo livello siamo tutti d’accordo che hanno un determinato valore.
C’è una buona ragione per cui un Koons vale molto di più e parte di questo ha a che vedere con il fatto che l’arte contemporanea parla alle vite della gente in un modo in cui l’arte più antica non riesce. Forse qualcuno può descrivere questa società come ossessionata da se stessa, ma sicuramente c’è molto di cui essere ossessionati adesso. Il mondo è veramente interessante in questo momento. Penso ci sia molto per cui ci si debba gratificare e forse lo facciamo attraverso l’arte che compriamo.

In generale, le fiere sono diventate troppo istituzionalizzate? Esiste un bisogno di ribellarsi contro questa tendenza?
Simon Sakhai: L’arte, come il suo mercato, risponde alla società da cui origina. Ovviamente noi stessi abbiamo un grosso interesse per le fiere d’arte e per le biennali, ma credo che avverrà una sorta di protesta, non contro la struttura, ma dall’interno, da dentro l’arte stessa. Di certo il mondo dell’arte ama cose differenti e rare. Così, quando tutto comincia ad assomigliarsi, non va bene. Le fiere si stanno evolvendo e così fa l’arte che si trova all’interno di esse. Ecco come mai c’è un revival dell’arte performativa: perché la gente aspira a un tipo di esperienza “autentica”.

Celia Hempton

Celia Hempton

Mi rimane difficile dare una collocazione al Moving Museum. Mi dai un’indicazione?
Aya Mousawi: Generalmente la maggior parte delle iniziative legate all’arte ricadono sotto un cappello di definizioni identificabili. Il Moving Museum no. Abbiamo preso elementi da tipi diversi di strutture: del museo tradizionale abbiamo adottato gli standard di produzione, le mostre su larga scala, il focus educativo, l’enfasi sull’offerta di grandi spazi riservati ai singoli artisti in ogni mostra, similmente con le capacità che una biennale può dare. Se un museo può avere dei limiti quando ci vogliono quattro anni per pianificare un’esposizione, la nostra flessibilità ci permette di adattarci molto più velocemente alle correnti mutevoli del mondo dell’arte e di mostrare quello che è attuale in quel momento.

Riguardo al titolo della mostra (Open Heart Surgery), mi fa pensare che voi stessi vi esponiate alla città in cui vivete. Come si lega questo nome a Londra? 
Simon Sakhai: Sentiamo che Londra è il centro di così tanti mondi. Abbiamo voluto praticare una profonda incisione in questo posto e indagare su quello che ne sarebbe venuto fuori. Open Heart Surgery è anche un qualcosa che avviene con grande urgenza e l’urgenza nella pratica artistica è un’idea che ci interessa molto. Crediamo che gli artisti scelti per questa mostra parlino con grande urgenza, siano essi emergenti o affermati, così questo sarebbe un modo adatto per contestualizzare i loro approcci sotto un overarching comune.

Stefan Bruggemann

Stefan Bruggemann

Raccontatemi dei vostri rapporti con gli artisti che esponete. Avete dei nomi ben riconosciuti e anche delle nuove proposte. Come interagite con loro? Le gallerie sono coinvolte? Suppongo che con alcuni lavoriate direttamente…
Simon Sakhai: Lavorare con gli artisti è molto importante per noi. Diamo sempre loro lo spazio per una personale e le nostre mostre vengono fuori più forti perché loro sono coinvolti più intimamente.
Aya Mousawi: Siamo fortunati: la natura delle mostre che produciamo fa sì che si sviluppino rapporti abbastanza stretti con gli artisti. Lavoriamo direttamente con la maggior parte di loro e anche con le gallerie, se ci sono.

Che ne pensate del termine “curatore”?
Simon Sakhai: Curatore è qualcosa che si colloca fra lo storico e l’artista. A un certo punto, una mostra ben curata è una narrazione, ma forse a spese della pratica del singolo artista, che in qualche modo si perde o viene diluita nella trama. Non ci definiamo curatori e, per quanto possiamo pensare che siano accurate, sappiamo che le nostre opinioni individuali non contano. Perciò l’intera nostra strategia curatoriale utilizza questo come trampolino di lancio. Creiamo una selezione di artisti per le nostre mostre consultando un pool di curatori, così da assicurarci che i nomi in mostra riflettano lo spirito del nostro tempo invece che le nostre opinioni. E di regola presentiamo sempre e solo individualmente gli artisti. Questo per garantire che il focus delle nostre mostre siano le singole pratiche degli artisti. E così, le narrative sono casuali e il risultato è sempre un senso di scoperta sia per noi che per i visitatori. 

Igor Ramírez García-Peralta

http://www.themovingmuseum.com/

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Igor Ramírez García-Peralta

Igor Ramírez García-Peralta

Igor Ramírez collabora con diverse testate in Europa e nelle Americhe. È Special Projects Manager di Thyssen Bornemisza Art Contemporary, dove segue la promozione delle attività della fondazione attraverso partnership strategiche con altre istituzioni culturali. In precedenza, ha lavorato per…

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