Cristo impiccato. Tiziano Scarpa su Maurizio Cattelan

Ripubblichiamo qui di seguito il lungo post che Tiziano Scarpa ha scritto sul blog “Il primo amore” a proposito della performance dei Soliti Idioti, che a Bologna hanno ritirato - in vece di Maurizio Cattelan - il Premio Alinovi. Una interpretazione che siamo certi aprirà un dibattito maturo e vivace.

Ho aspettato qualche giorno per vedere se qualcuno ne scriveva. Forse non ho cercato abbastanza scrupolosamente in Rete, ma mi pare che, finora, l’ultima opera di Maurizio Cattelan sia passata sotto silenzio.
Si è parlato della provocatoria performance dei Soliti Idioti, il duo comico che Cattelan ha mandato all’Accademia di Belle Arti di Bologna a ritirare il premio intitolato a Francesca Alinovi e Roberto Daolio, invece di presentarsi di persona.
(Quando sento usare l’aggettivo ‘provocatorio’, mi insospettisco sempre. Di solito, chi etichetta come ‘provocatorio’ un gesto altrui, sta cercando disperatamente – con una disperazione dissimulata sotto modi urbani – di minimizzarlo, di disinnescarlo, per evitare di vedere che cos’era davvero, quel gesto, che cosa ha detto esplicitamente.)
Eppure, quella performance, per quanto ho potuto intuire dai frammenti video e dai resoconti, mi è sembrata molto più seria delle reazioni che ha provocato. I Soliti Idioti, ovviamente istruiti da Cattelan stesso, hanno proposto una lettura religiosa dell’opera di Cattelan.
Hanno compiuto un doppio rovesciamento. Gesù come artista contemporaneo, performativo e concettuale (l’installazione dei pani e dei pesci; la performance della camminata sulle acque); Cattelan come credente praticante, sebbene sotto l’insegna della bestemmia (che, a sua volta, è una preghiera rovesciata).
Quindi Cattelan ha chiesto agli studiosi dell’Accademia, in quella occasione, che le sue opere vengano considerate sub specie religionis. Lo ha chiesto a modo suo. Ma l’ha chiesto a chiare lettere. Con due comici vestiti da preti. Con se stesso fotografato in veste da chierichetto, e circonfuso dall’aureola architettonica di un rosone (nelle immagini proiettate sullo schermo durante la performance dei Soliti Idioti). Evidentemente, ritiene che l’aspetto religioso delle sue opere non sia stato preso in considerazione come esse meriterebbero.

Maurizio Cattelan, La Nona Ora, 1999 - photo Attilio Maranzano

Maurizio Cattelan, La Nona Ora, 1999 – photo Attilio Maranzano

Quali sono le opere ostentatamente religiose di Cattelan?
La Nona Ora (1999): Papa Giovanni Paolo II è disteso a terra. È stato colpito da un meteorite, in paramenti sacri, mentre officiava una qualche cerimonia importante della cristianità: forse addirittura l’apertura della Porta Santa, in occasione del Giubileo. Intorno a lui ci sono frammenti di vetro, come se quella roccia cosmica avesse frantumato una vetrata, centrando una finestra, prendendo accuratamente la mira per congegnare una traiettoria che passasse attraverso una feritoia nell’architettura e colpisse il bersaglio dalle lontananze dello spazio profondo.
Him (2001): Adolf Hitler, in ginocchio, prega e chiede perdono alzando lo sguardo verso un’entità superna. L’opera è stata esposta in vari contesti, ma nelle prime installazioni puntava gli occhi su una fonte di luce che irrompeva in una sala-navata da una tonda finestra-rosone (idealmente, la stessa da cui è entrato il meteorite papicida?).
Untitled (2007): una donna sta appesa allo stipite di una porta sulla sommità di una scalinata: la figura riproduce a tre dimensioni esattamente la donna che compariva in una foto di Francesca Woodman; ma prima di essere installata sulla scalinata, l’opera di Cattelan era stata esposta, ancora imballata nella cassa da trasporto, alla rovescia (di schiena), sulla parete esterna di una chiesa tedesca. In quella occasione era stata definita dai media “la donna crocifissa”.
Untitled – I.N.R.I. (2009): un cavallo stramazzato al suolo (spesso il male di vivere…), sul cui fianco è piantato un cartello con il titulus crucis, la scritta affissa da Pilato sulla croce di Gesù.
A queste opere, ora bisogna aggiungere il Cristo impiccato (non so quale sia il titolo che gli ha dato l’artista) che è stato proiettato su uno schermo durante la performance dei Soliti Idioti all’Accademia di Belle Arti a Bologna, venerdì 25 ottobre scorso.
In molti hanno descritto l’intervento del duo comico e il comportamento degli studiosi presenti. Non mi risulta che il “Cristo impiccato” abbia suscitato qualche reazione. È come se fosse passato inosservato, rispetto alle circostanze in cui è stato mostrato (la circostanza sostituisce la sostanza; la circostanza come contorno e dintorno dell’opera, come situazione circense, come circuito mediale; la stanzialità della circostanza è diventata circonferenziale: circoscritta in pianta stabile; la circostanza si stanzia nella circonferenza, nel circuito circense).

Maurizio Cattelan, Him, 2001 - photo Paolo Pellion di Persano

Maurizio Cattelan, Him, 2001 – photo Paolo Pellion di Persano

Eppure, si trattava di un’opera inedita. Cattelan è stato criticato perché non si è presentato di persona a ritirare il premio. Ma ha mandato qualcosa di più importante – da un punto di vista estetico – della sua presenza individuale. Ha mandato un’opera nuova. Che però è come se fosse non pervenuta.
Colpa di Cattelan stesso? Da molto tempo, l’artista protegge con un cordone sanitario umoristico opere fatte di pura angoscia. Le circostanzia di irrisione e sberleffo. Le confeziona in un croccante cellophane di risate.
In questo caso, la risata è pertinente al cristianesimo, il tema proposto da Cattelan a Bologna. Per sapere che la natura del cristianesimo è comica non è necessario avere letto Giorgio Agamben (Categorie italiane) o Maria Caterina Jacobelli (Risus Paschalis): basta fare mente locale sul titolo del nostro principale monumento letterario per sapere che la divinità cattolica predilige la commedia. Si comincia in una selva oscura, tutto sembra perduto; si finisce a guardare in faccia l’amore che fa muovere il sole e tutte le stelle. A teatro, la commedia, aristotelicamente, è una storia che inizia con un guaio, ma alla fine tutto si risolve. Nella vita, l’anima nasce macchiata dal peccato originale, ma può finire in paradiso.
Chi altri è titolato a ridere, se non i sacerdoti del cristianesimo, culto comico per eccellenza? Chi se non i preti di quella religione che dice che Cristo è risorto, che la vita finisce con una rinascita? I sacerdoti coincidono con i comici.
Ma all’interno del suo involucro ridanciano, Cattelan ha presentato un Cristo ucciso per impiccagione.
Un Cristo doppiamente morto, appeso alla forca-croce su cui è già stato crocefisso.
Potrebbe essere una morte alternativa a quella canonica, una specie di Passione apocrifa: invece di essere stato inchiodato al legno, Cristo è stato appeso con una corda al collo. Oppure, potrebbe essere un vilipendio del suo cadavere, impiccato alla croce dove era già stato ucciso.
Potrebbe essere un suicida del girone infernale dantesco: condannato a una morte seconda, impiccato al legno nell’aldilà, dopo la sua missione suicida sulla Terra.
Nell’immagine che è stata proiettata all’Accademia di Bologna, si vede il torso di Gesù senza braccia, come se gliele avessero legate dietro la schiena.
La forca non è una forca qualsiasi. È palesemente una croce, che ha uno dei due bracci rinforzato dal tipico puntello diagonale delle forche (non è abbastanza chiaro dalle immagini che si vedono in Rete, ma in certe foto sembra che l’altro braccio della croce sia stato parzialmente segato e assottigliato per contribuire a dare spessore a quel puntello).
Cristo è impiccato. Non è crocefisso.

Il “bestemmismo” (come l’hanno chiamato, ridacchiando, i Soliti Idioti) di Cattelan ha fatto coincidere in una sola figura i due antagonisti: Gesù ha fatto la fine di Giuda. Gesù è stato tradito da se stesso. Gesù è andato a impiccarsi alla sua croce, dopo essersi tradito.
Retrospettivamente, le innumerevoli impiccagioni raffigurate nelle opere di Cattelan, singole e collettive (fino alla grande mostra All al Guggenheim di New York, un’impiccagione di massa di tutte le opere di Cattelan) si possono guardare alla luce di quest’ultima opera: opere-Giuda, opere traditrici, che sono andate ad appendersi, o che sono state impiccate dall’artista stesso.
In più, Cattelan stesso è il Giuda dell’arte contemporanea: è considerato da molti con spregio, è il traditore che ha fatto fare all’arte l’ennesimo, l’ulteriore, ultimo passo verso la degradazione, l’equivalenza monetaria di tutto con tutto, l’indistinzione dei valori, la spregiudicatezza. È il sommo e l’infimo. (Ma questo del Cattelan-Giuda è solo un corollario, è una lettura frivola, tutta interna al mondo dell’arte e ai suoi galatei; l’ho menzionata per completezza.)
Che cosa significa l’impiccagione dell’opera, alla luce del Cristo impiccato?
In questo Cristo impiccato Gesù coincide con Giuda. Il salvatore è il traditore. La persona più santa è anche quella più abietta. L’ucciso è il suicida. Il condannato ingiustamente è l’indiscusso colpevole. Il giustiziato è l’annientatore di sé. Il complice è il nemico.
C’è un carattere di indecidibilità, di ambivalenza, che si può intendere come doppio valore, oppure come valore che si autoannulla per sovrapposizione degli opposti.
Il simbolo proposto da Cattelan è un simbolo che dispera del proprio valore simbolico.
Cristo si è impiccato alla sua stessa croce. L’ha trasformata in una forca.
Ma più mi inoltro nella lettura di quest’opera, più mi chiedo come possa essere passata nell’indifferenza generale.
Certamente, a causare questo effetto è stato anche il cordone sanitario umoristico, il cellophane ridanciano con cui Cattelan circostanzia le sue opere (al punto che si può dire che Cattelan non installa più le opere ma le circostanzia: con i titoli beffardi degli esordi; con gli atteggiamenti istrionici dell’artista stesso; fino alla circostanza suprema, consacrata, la circostanza circonferenziale degli anelli architettonici di Wright, da cui i visitatori del Guggenheim di New York hanno guardato tutte le sue opere nella mostra All).
Per di più, dopo la mostra al Guggenheim, Cattelan ha dichiarato di non volere più proseguire la sua carriera artistica. Si è raffigurato con una pietra tombale sottobraccio, in cui c’è scritto “The End”, mentre se la sta svignando fuori dal perimetro dell’immagine.
Questi elementi (il croccante cellophane ridanciano, il prepensionamento) lo collocano in una posizione interessantissima. In realtà, come si è visto chiaramente all’Accademia di Bologna, Cattelan continua a fare arte, ma è come se non la facesse più. È un post-artista, un dopo-Cattelan, un neo-Maurizio che può permettersi di far finta di disonorare un’istituzione, mentre le sta facendo l’onore più grande (presentandole una sua opera inedita). I critici – se non mi sbaglio – non ne hanno parlato, non l’hanno commentata, è come se non fosse successo nulla. Snobbano Cattelan. Non ne possono più di lui. Non perdono nemmeno tempo ad aprire un file, pestare un po’ sull’alfabeto e postare qualcosa in Rete. “Cristo impiccato? Ma l’ha fatto Cattelan. Bah…”.

Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York

Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York

Cattelan desiderava collocarsi proprio in questa zona franca, post-artistica, extra-artistica, circum-artistica, nella quale continuare a proporre le sue opere venendo sostanzialmente ignorato dall’ermeneutica specializzata. In fin dei conti, l’uscita estemporanea di Renato Barilli irritato dalla performance dei Soliti Idioti (“Da me non verrà mai più nominato Cattelan… Lo cancello dal mio repertorio”) non ha fatto altro che dare voce, sinceramente, a un atteggiamento ormai consolidato, uno snobismo di ritorno verso l’artista italiano più importante nel mondo.
Immaginate se quell’opera, il Cristo impiccato, fosse stata presentata da un altro artista, senza questo doppio elemento circostante (croccante cellophane ridanciano e prepensionamento). Sarebbe passata inosservata? Sarebbe stata presa in considerazione per se stessa?
Ma è Cattelan a volere che le sue opere non siano considerate per se stesse. La confezione ridanciana, doppiata dal prepensionamento d’artista, fa parte dell’opera, è diventata la condizione della sua opera. Anche in questo modo le opere di Cattelan tradiscono se stesse, si impiccano sacrificalmente alla loro gogna umoristica, al loro arrivare fuori tempo massimo.
Che cosa dice questo Cristo impiccato, che illumina e guida, retrospettivamente, tutte le opere appese, sospese nel vuoto, impiccate, giustiziate, suicidate di Cattelan?
Non c’è arte che difenda dalla morte. Non c’è religione che difenda dalla morte. Nessuna opera. Nessun simbolo. Nessun culto.
La morte si affronta disarmati.
La morte è provocatoria.

Tiziano Scarpa

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