Fotografia Europea nelle parole di Sandro Parmiggiani

Fotografia Europea 2013 volge al termine a Reggio Emilia. Siamo andati dietro le quinte di questa manifestazione, giunta ormai alla sua ottava edizione, una delle migliori per qualità di opere e numero di visitatori. Qui un’intervista con uno dei curatori delle mostre del circuito ufficiale - quella di Carla Cerati -, Sandro Parmiggiani.

Cosa rappresenta Fotografia Europea per Reggio Emilia? Che rapporto c’è con la città?
La mia risposta è una risposta parziale, nel senso che io non sono un organizzatore di questa manifestazione. Credo che rappresenti, assieme alla tradizione di mostre fotografiche che già Palazzo Magnani aveva avviato nel ’98, una possibilità di acculturazione fotografica per la città e per i suoi abitanti. Sicuramente è un’occasione di crescita culturale in questo campo. Chi ha frequentato Fotografia Europea 2013 ha avuto modo di vedere nuovi attori e nuovi linguaggi e di capire che cosa si sta facendo a livello internazionale.
Ovviamente una manifestazione di questo genere porta vantaggi non solo per chi abita la città, ma anche alla città stessa, all’affermarsi della sua identità. Non c’è bisogno di dire che ci sono anche delle ricadute dal punto di vista economico, ma vorrei porre l’accento su quella che ritengo essere una ricaduta fondamentale: le manifestazioni culturali sono tutte un motore di sviluppo sotterraneo, non visibile, non misurabile economicamente, della creatività. Tutto ciò che si verifica nel campo delle esposizioni smuove dentro i giovani e la gente cose che non sono tangibili, ma che sono fondamentali. Per esempio, alcune delle eccellenze reggiane si spiegano solo con il retroterra culturale che la città ha avuto a partire dagli Anni Sessanta.

Com’è andata la manifestazione?
Le giornate inaugurali sono andate molto bene. Chiaramente la fotografia ha un pubblico giovane e soprattutto molto motivato e molto colto, un pubblico ideale insomma. Da quel che posso percepire e da quel che gli organizzatori mi hanno detto, la manifestazione è andata altrettanto bene. Personalmente ritengo che l’edizione di quest’anno sia di una qualità eccellente e sembra che anche il numero dei visitatori lo confermi, vista la costante crescita.

Quest’anno Cambiare, l’anno scorso Vita Comune: come vengono scelti i temi?
Questa è una domanda che andrebbe fatta agli organizzatori, ma non penso di sbagliarmi dicendo che vengono scelti in relazione a un’analisi di quelli che sono i movimenti sotterranei all’interno della ricerca fotografica internazionale, ma anche in relazione ad altre vicende. Entrambi i temi che lei ha citato denotano un’attenzione alle circostanze sociali, a quello che si muove nel mondo. È questo il punto di vista da cui si parte per cercare di vedere, anche attraverso il mezzo fotografico, i cambiamenti della contemporaneità.

Sandro Parmiggiani

Sandro Parmiggiani

Come viene sostenuta, alimentata questa manifestazione?
Fotografia Europea è nata in un periodo nel quale le risorse degli enti pubblici erano molto maggiori e si è sempre sostenuta su un duplice binario, quello delle risorse autonome, del comune di Reggio Emilia per intenderci, e quello della ricerca di sponsor e di contributi da parte di altre istituzioni.

Il budget è rimasto sempre lo stesso o ha risentito del brutto momento che stiamo vivendo?
So per certo che negli ultimi anni è stato necessario fare di necessità virtù, purtroppo. Ridurre il budget e fare i conti con una situazione completamente cambiata rispetto agli anni precedenti, con tagli veramente considerevoli.

Cosa porta Fotografia Europea alla città in termini di denaro e attività?
In termini di denaro e attività sono le solite cose che una mostra porta, il fatto che ci sia un numero consistente di visitatori che vengono qui e qui spendono denaro per bere, per mangiare, per dormire, magari per fare qualche acquisto. Tali iniziative hanno sicuramente un indotto di questo genere. Non va però considerato solo quest’aspetto, ci sono anche tutte quelle attività non tangibili di cui prima abbiamo detto, cioè il fatto che una città sia legata al nome specifico di un’attività culturale importante, fa sì che le persone vengano a Reggio anche senza questa manifestazione, ma solo perché Reggio è entrata nell’orecchio.

Si può quindi dire che ci sono delle attività nate da e per Fotografia Europea?
Certo! Consideri le attività legate agli allestimenti, le attività di chi fa i passeportout e le cornici, piccoli lavori artigiani insomma.

Viceversa, Padiglione Italia - Biennale di Venezia 2013 - Luigi Ghirri

Viceversa, Padiglione Italia – Biennale di Venezia 2013 – Luigi Ghirri

Quanto Ghirri c’è in Fotografia Europea?
Beh, Ghirri c’è stato fin dal primo anno. Direi che è un filo rosso che collega tutte le edizioni e, ovviamente, a ragione, perché Ghirri è stato un fotografo che si è affermato quando ancora era in vita. Ormai sono vent’anni che è morto e l’interesse verso di lui c’è e continua a crescere, perché è stato un grande artista che ha fatto grandi opere.

Cosa cambierebbe?
La manifestazione ha un pregio, che a volte però può diventare difetto. Fotografia Europea ha voluto, fin dall’inizio, aprirsi a tutti, essere democratica, attraverso le mostre ufficiali e off. Penso però che questo abbia un risvolto negativo. C’è troppa offerta e un eccesso di offerta finisce per confondere. Personalmente credo che sarebbe più interessante cercare di selezionare gli eventi maggiori. Incanalare meglio l’attenzione.  Un altro aspetto che va sottolineato, pur rispettando il lavoro e la sensibilità di tutti, è che non si può ingenerare la sensazione che tutti possono essere artisti o, in questo caso, fotografi. La fotografia è un’arte che si impara con fatica e che richiede una sensibilità elevata e superiore alle altre.

Come si inserisce la fotografia nel tessuto dell’arte contemporanea?
All’inizio la fotografia era considerata come l’ancella povera delle arti. Attraverso esperienze che hanno almeno un secolo – i fotografi pittorialisti di fine Ottocento o le ricerche in campo di astrazione e intervento sulla pellicola – la fotografia è assurta ormai a pieno merito tra le discipline artistiche. Questo glielo dice il fatto che artisti di grande calibro, come Richter o Jim Dine, alternano alla loro attività artistica la fotografia. C’è poi stata una contaminazione dei linguaggi, una specie di ibridazione, un fenomeno che va avanti e continuerà di certo.

Fotografia Europea 2013 - Vita Nova - Raimond Wouda

Fotografia Europea 2013 – Vita Nova – Raimond Wouda

In poche parole, che città è Reggio Emilia dal punto di vista artistico e quanto le ha portato Fotografia Europea?
Fotografia Europea è stata importantissima, ha offerto alla città l’opportunità di vedere, di imparare, di conoscere. Quanto al profilo di Reggio io direi che, limitandoci al dopoguerra, è stata un cantiere straordinario. Pensi agli Anni Sessanta, al Gruppo ’63, al fervore che c’era sul teatro, al Living Theatre. Reggio è stata un campo di prova grandissimo, ma non ha poi saputo portare avanti le cose cominciate.
Scomodando Montaldi, a un certo punto nascono delle esperienze importanti, che poi però non riescono a reggere. Si ha quasi l’impressione di un tessuto culturale che non riesca fino in fondo, data anche la storia e le caratteristiche sociali, a tenere il confronto con la modernità e il contemporaneo. Si entusiasma, ma non fino in fondo, ecco.

Crede che Fotografia Europea possa essere l’apripista per altre iniziative culturali di grande richiamo?
Sì, certo. Direi che può essere uno stimolo a pensare a iniziative che si sono affermate altrove, quali il Festival dell’Economia a Trento o il Festival Letteratura a Mantova. Voglio dire, la domanda c’è, il desiderio di volare alto anche. Fotografia Europea può essere l’input per non limitarsi solo alla fotografia. Attenzione però, bisogna evitare di replicare, come spesso succede in questo campo, in cui si hanno tantissime fiere, a volte anche inutili. Quello a cui si dovrebbe puntare è l’eccellenza.

Un museo della fotografia a Reggio Emilia?
Direi che potrebbe essere una suggestione, c’è una fototeca alla biblioteca Panizzi, l’archivio Ghirri, estremamente qualificata, perciò si potrebbe pensare di allestire uno spazio che, partendo da cose che già ci sono, acquisendone altre, facesse una panoramica generale su un campo in continua evoluzione. Ovvio che, nonostante si tratti di foto, ci sono opere che hanno costi molto alti, tuttavia si potrebbe pensare di costruire sulla base di quel che c’è un museo che non si lasci scappare quel che sta succedendo. Viene buono l’esempio di Esko Männikö, le cui opere entreranno nella fototeca della Panizzi.

Carla Cerati, Senza titolo (Milano. Antonio Gades in camerino dopo lo spettacolo), s.d. (aprile 1969) © Carla Cerati

Carla Cerati, Senza titolo (Milano. Antonio Gades in camerino dopo lo spettacolo), s.d. (aprile 1969) © Carla Cerati

Chiudiamo parlando dell’artista da lei curata, Carla Cerati, una donna la cui opera ha attraversato cinquant’anni di storia italiana.
Molto sinteticamente, Carla Cerati ha cominciato a fotografare alla fine degli Anni Cinquanta. Quando si pensa a quel che ha fatto non si può scordare che è una donna, che il desiderio di fotografare era, da una parte quel che muove molti fotografi, cioè capire il mondo, conoscerlo, andare a scoprire com’è fatto, dall’altra, il desiderio, come donna , di uscire da un condizione che era di minorità. Direi che, osservando il suo lavoro, si capisce che la Cerati è stata curiosa di tutto, del paesaggio, di come cambiava, della periferia di Milano coi suoi grandi palazzi che sorgevano, di come si modificava la vita a Milano, di cosa succedeva nelle scuole, nei corsi di musica, nel Mondo cocktail degli Anni Settanta, quel bel mondo che rapidamente andava verso il disastro degli anni di piombo.
Non è un caso allora che lei interrompa questa serie di fotografie, Mondo cocktail appunto, il giorno in cui viene ritrovato il cadavere di Moro, nel maggio del ‘78. Quel giorno per lei rappresenta una cesura netta. Inoltre c’è stata Firenze durante l’alluvione, i manicomi, Morire di classe, libro pubblicato da Einaudi alla fine degli Anni Settanta, dove lei, insieme a Gianni Berengo Gardin, ha fotografato, creato un libro che è stato fondamentale per cambiare la testa degli italiani, per far loro capire che cosa c’era dentro i manicomi. È stato come lacerare un sipario e vedere quel che c’era dietro. Non da ultimo l’interesse per il corpo, Indagine sul corpo, fotografie bellissime che le hanno attirato anche gli strali di alcune femministe che l’hanno accusata di mercificare il corpo, quando la sua voleva essere una pura ricerca estetica, come può essere la scultura.
Infine, una cosa che dà l’idea dell’attenzione che la Cerati mette nei suoi lavori: lei ha cominciato fotografando il teatro, e non ha più smesso, e questo è molto importante, a mio avviso, perché il teatro spesso è qualche cosa che mette in scena la vita svelando ciò che è invisibile nell’esistenza di tutti i giorni, ma che lì, in quella finzione si vede benissimo.

Giulia Cirlini

http://www.fotografiaeuropea.it/

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Giulia Cirlini

Giulia Cirlini

Giulia Cirlini, nata a Reggio Emilia, ha studiato a Firenze Lingue e Letterature Straniere, anche se avrebbe voluto fare altro...tuttavia si è laureata nel 2011 con una tesi sulla nascita e l’evoluzione della scrittura cinese. Da sempre ama il cinema,…

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