Brics Biennale
Potenze emergenti in Biennale. Dal Sudafrica nel nuovo padiglione sopraelevato in Arsenale, passando per i mille eventi cinesi, fino alla costellazione ex sovietica. Una miniguida per chi si concede Venezia dopo i giorni incalzanti della vernice.
Scorrendo il programma delle partecipazioni nazionali 2013 a Venezia, spicca da subito l’assenza del Padiglione India che, dopo aver debuttato con grande energia appena due anni fa, stavolta manca clamorosamente all’appello (una sola presenza indiana si segnala nella mostra di Massimiliano Gioni, quella di Prabhavathi Meppayil). Stessa sorte per Singapore, che ha però annunciato di voler tornare a Venezia nel 2015, con grande sollievo della comunità artistica locale, che aveva alzato vibranti proteste dopo la decisione della sospensione delle partecipazioni alla Biennale da parte del National Arts Council.
Massiccia, al contrario, la partecipazione della Cina, che allestisce come sempre il suo padiglione negli spazi dell’Arsenale, oltre a mettere in campo una gran quantità di eventi collaterali (ma la qualità media è piuttosto bassa). In occasione della sua quinta presenza veneziana, la Cina presenta una mostra collettiva intitolata People’s Republic of Transfiguration, a cura di Wang Chunchen. I sette artisti invitati, He Yunchang, Hu Yaolin, Miao Xiaochun, Shu Yong, Tong Hongsheng, Wang Qingsong, e Zhang Xiaotao, indagano il concetto di trasformazione, soprattutto in relazione al rapporto fra arte e vita di tutti i giorni, esplorando le zone di confine in cui le attività quotidiane possono trasformarsi in gesto performativo e artistico.
Sempre all’Arsenale (in uno dei due nuovi padiglioni “sopraelevati”), torna per la quarta volta il Sudafrica, approdato in Biennale per la prima volta nel 1993 (a seguire, nel 1995 e nel 2011) dopo essere stato escluso per decenni a causa delle leggi razziali vigenti durante l’Apartheid. Oggi il Sudafrica si presenta come un Paese in netta ascesa, sia economicamente che culturalmente, ma il peso della storia grava ancora parecchio sulle sue spalle (e sulla coscienza di molti). La collettiva curata da Brenton Maart, artista e scrittore, con il programmatico titolo Imaginary Fact: Contemporary South African Art and the Archive, è una mostra che include una ventina di artisti, scelti con l’obiettivo di comporre un panorama più vario possibile delle diverse ricerche artistiche contemporanea del Paese. Tuttavia, la lista è cambiata più volte e l’operazione di selezione è stata delicata, sia per problemi di tipo culturale (dopo il primo annuncio, il curatore è stato attaccato per non aver inserito nessuna artista nera donna) che di trasparenza. Nel 2011, infatti, la mostra sudafricana fu oggetto di un pesante scandalo quando si venne a sapere che il commissario era anche gallerista e aveva – indovinate un po’ – selezionato artisti della propria scuderia.
Curioso il progetto del Padiglione Brasiliano ai Giardini, che con il titolo Inside/Outside propone una mostra che affianca i lavori inediti di Hélio Fervenza e Odires Mlászho a opere storiche di Max Bill, Bruno Munari e Lygia Clark. Il curatore, Luis Pérez-Oramas (che è anche direttore della Biennale di San Paolo e Latin American Curator al MoMA di New York) dichiara di aver costruito una mostra con una struttura “a costellazione”, che prende le mosse da un’icona potente, quella del celebre nastro di Moebius, per indagarne le implicazioni formali e filosofiche nel presente.
Solo show, invece, per il Padiglione Russia, tutto dedicato a Vadim Zakharov, uno dei massimi rappresentati del concettualismo moscovita, alla sua seconda Biennale. Danaë, questo il titolo della mostra, è curata per la prima volta da uno straniero, il tedesco Udo Kittelman, attuale direttore della Nationalgalerie di Berlino. Torna anche l’Azerbaijan, con sede a Palazzo Leffe, in campo Santo Stefano, che presenta una mostra collettiva curata da Hervé Mikaeloff. I sei artisti, Rashad Alakbarov, Sanan Aleskerov, Chingiz Babayev, Butunay Hagverdiyev, Fakhriyya Mammadova e Farid Rasulov, indagano il concetto di ornamento, recuperando in chiave contemporanea la grande tradizione storica della regione del Caucaso (ma a colpire all’ingresso è soprattutto l’installazione che ha affinità evidenti con quella di Stingel a Palazzo Grassi).
Tra le “potenze” artistiche emergenti in area europea – o quasi – si segnala l’ormai affermata Polonia, che punta tutto su Konrad Smoleński (da vedere anche le Convergenze parallele fra Paweł Althamer e il russo Anatoly Osmolovsky alla Casa dei Tre Oci, evento promosso dalla V-A-C Foundation di Mosca), e la Turchia, che si presenta all’Arsenale con la rodata coppia composta dall’artista Ali Kazma e dal curatore Emre Bayka (già vista alla Biennale di Istanbul). L’opera presentata, Resistance, è un’installazione video multi-canale frutto di riprese effettuate in giro per il mondo e durate circa un anno.
Valentina Tanni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14
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