Back to black. Il sound oscuro di Superfluo
Una notte d’autunno a Padova. Negli spazi del garage Central Park, Superfluo presenta un evento scandito da suoni di tenebra. Tra black metal, noise, elettronica sperimentale e intensi field recording, prende vita un nuovo progetto curato dal giovane collettivo non profit. Un’altra avventura che promette scintille.
Nero, quasi grigio. Superfluo, collettivo indipendente nato nel 2010 in quel di Padova, non smentisce la propria attitudine alla ricerca, alla contaminazione, alla provocazione. L’ormai rodatissimo team arriva con un nuovo evento dall’anima performativa, per la prima volta uno show tutto incentrato intorno al mistero e alla malia del suono. Superfluo turns Black almost Grey: dietro l’intrigante titolo si nascondono tre singoli progetti per tre differenti artisti. Minimo comun denominatore? Oltre all’elemento sonoro, anche un efficace timbro dark, umbratile. Avventure estetiche per occhi e orecchie sensibili al fascino del tenebroso, dell’impercettibile, del recondito, dell’underground.
Sabato 30 ottobre, negli spazi del Central Park, l’ex parcheggio multipiano divenuto abituale sede degli appuntamenti Superfluo, si alterneranno gli interventi live di K11, Raskol’Nikov e Rotorvator. A delinearsi sarà un paesaggio immateriale ed eterogeneo: pulsioni industrial, pesanti come piogge plumbee, in mezzo a tessiture ambient e umori neo-folk, mixati col nero corvino di affondi black metal.
Il nome Raskol’Nikov, tra echi letterari e misticheggianti, arriva direttamente dalle pagine di Delitto e castigo, portandosi in eredità un’etimologia legata al concetto di “scisma” e alla setta dei “Vecchi credenti” russi. Il duo vicentino partorisce litanie pregne di un’aura magica, zone d’ombra in cui si liberano energie sotterranee, come scintille originate dall’attrito tra luce e buio. L’intento? Utilizzare il suono come detonatore di flussi di commozione. “Da qualche parte nelle budella della Terra ancora echeggiano le urla dei Padri”: così recita un passaggio dello statement del gruppo, formato da Jacopo Pagin e Francesco Todescato; durante live costruiti con sample elettronici, tastiere, laptop, resonator, synth, drum machine, voci e indian stuff, i due accompagnano le loro sinistre ballate con filmati d’archivio, che spesso documentano pratiche sciamaniche.
Ancor più apocalittico è il sound martellante di Rotorvator, band fondata dall’artista Emanuele Kabu, in compagnia del socio Mauro Sommavilla, con lui anche nel progetto Suspectra. Una sola direzione per tre parole chiave: sporcizia, distorsione, disarmonia. Qui il noise incontra la rabbia del metallo più crudo, condensandosi in una pasta sonora indistinta. La voce è traccia selvatica, utilizzata come strumento disturbante sul filo di reminiscenze hard-core, mentre una tensione psichedelica di fondo contamina il nucleo di un progetto che resta di matrice black metal.
I Rotorvator, con le loro cacofonie low-fi, sposano un’idea di musica grezza e insieme minimale, una mistura di suoni asciutta, concepita in modo piuttosto artigianale per toccare corde istintuali sommerse. Diverse realease all’attivo – dalla collaborazione con Rhuith uscita per l’estremissima Dokuro, all’EP autoprodotto Nahum, fino al nuovo disco con la Crucial Blast – e alcuni progetti speciali, tra cui lo split con Cosmesi, nota compagnia di teatro sperimentale, anch’essa riconducibile alla figura di un artista visivo, l’udinese Nicola Toffolini in coppia con Eva Geatti.
Ma la serata di Superfluo, in questo scorcio d’autunno cinereo, continua con un progetto che al suono affianca anche il video, a partire da una storia delicata e straziante, arrivata da lontano. Dietro la sigla K11 si cela il livornese Pietro Riparbelli, compositore, filosofo e sound artist, con all’attivo una lunga serie di produzioni, performance e installazioni, alcune messe a punto al fianco di artisti e musicisti noti: da Massimo Bartolini a Nico Vascellari, da Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen ai due veterani Christina Kubisch e Francisco Lopez, fino a Yannick Franck, presente come Collision Zone al padiglione del Lussemburgo della 53. Biennale di Venezia.
K11 è un progetto audio-visuale che si sviluppa nel solco degli studi di Riparbelli intorno ai soundscape, ai field recording, alla fenomenologia della percezione, nel tentativo di investigare quell’affascinante linea dicotomica tesa tra il visibile e l’invisibile.
Al centro del nuovo lavoro c’è He tries to come us, documentazione realizzata all’interno dell’ex-manicomio di Volterra. Protagonista è la figura dell’internato Nannetti Oreste Fernando, autore di uno straordinario graffito inciso con la fibbia del panciotto sul muro perimetrale del cortile del suo reparto (in tutto un’area di 180 metri per 2). Anni e anni di scrittura accurata, disegni e parole con cui intessere una storia complessa, sconnessa, aliena, portatrice di chissà quali significati intimi. NOF, come egli stesso amava farsi chiamare, diceva di essere un “Colonnello dell’Astronautica Mineraria Astrale e Terrestre”, in possesso di incredibili facoltà mentali e di conoscenze alchemiche, in contatto telepatico con popoli extraterrestri. Il suo delirio grafico si interruppe solo quando la superficie del muro fu del tutto colma.
Il viaggio di Riparbelli nell’horror vacui di NOF è sfociato in un video realizzato con telecamere radio e in una composizione sonora costruita a partire da sorgenti audio e segnali radio ad onde corte, registrati all’interno della struttura. Un ideale tentativo di stabilire un contatto con Nannetti Oreste Fernando, intercettando dopo decenni le energie rimosse del luogo, le memorie sepolte e i fantasmi di un passato silenzioso, inscritto tra le grinze di una lunga pagina di tufo.
Così, performance dopo performance, l’ultimo sabato d’ottobre targato Superfluo si tinge di un avvolgente nero-quasi-grigio, trascinando il pubblico verso gli inferi di un suono cavernoso ed ancestrale. Là dove musica e immagine elettronica si fanno poetico naufragio, senza possibilità d’ormeggio.
Helga Marsala
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