“Sulla pelle di Palermo”. Il libro che racconta la città attraverso la urban art che la colora
Nel libro di Diego Mantoan le voci degli artisti e lo sguardo fotografico diventano mappa e bussola: per leggere una città che non posa, si espone
Palermo sulla pelle della città è il titolo efficace, quanto evocativo, del libro curato da Diego Mantoan per Edifir Edizioni Firenze (2025) che racconta una città incisa da writer e street artisti, in cui le opere sui muri diventano tatuaggi urbani: segni d’amore e conflitto, memorie e comunità.
Un volume, il cui titolo di natura fortemente diegetica non deve trarre in inganno il lettore perché la sua componente poetica bene coesiste con la struttura solidamente scientifica della pubblicazione.
Si tratta di un’indagine circostanziata su quell’ampio movimento che ormai, indipendentemente dalle sfumature, dai distinguo e dalle posizioni di ciascuno è definito come arte pubblica, arte urbana, Nuovo muralismo, Public Art e Street art. Una lingua fatta di codici affini, condivisi e anche lontani che, ormai, a tutti gli effetti costituiscono una realtà radicata, inclusiva e, al tempo stesso, divisiva nella società contemporanea.
Il libro di Diego Mantoan su Palermo non è soltanto una mappatura di arte pubblica ma una riflessione sulla città
Tuttavia, lo scritto non è soltanto un testo aggiornato e, dunque, prezioso per gli studiosi, su questo ampio e variegato movimento globale, sebbene questo aspetto non vada sottovalutato, ma è una riflessione sull’immagine attuale di Palermo osservata, nel suo nuovo urbanesimo, attraverso la Street art e il muralismo contemporaneo.
Un taglio interessante, non ovvio, non celebrativo e su cui mi interessa riflettere. Il capoluogo siciliano è, quindi, con il suo fervore, con le sue contraddizioni, con le molte potenzialità, il cuore pulsante del libro, dal centro storico alle periferie.

Un racconto su Palermo giocato su diversi piani di lettura
Un racconto, quello proposto da Mantoan, costruito su diversi piani di lettura che ben coniugano la storiografia con il cinema, l’antropologia con la letteratura, la storia economica e sociale con la percezione personale dell’autore; tutto ciò non strizzando l’occhio all’ovvio e non inciampando in quella retorica, spesso acritica, che avvolge, ormai, molti scritti sull’ampia galassia dell’arte urbana e della Street art.
Non fine a sé stesso, a riguardo, è l’avvio sul gatto dal corpo arcuato e sinuoso raffigurato, dall’artista di origini comasche Erna Jones, sull’antica porta di Palazzo Alliata di Villa Franca. Un’opera che oggi non c’è più, perché non solo, come prevedibile, sbiadita dal passare del tempo, ma, perché cancellata per girare, per Netflix, un remake del Gattopardo.
Un convincente incipit al volume e ai suoi temi, che conduce il lettore agli argomenti affrontati sollecitandolo, inoltre, all’esercizio della curiosità.
Un’introduzione, questa di Diego, che mi piace pensare come un omaggio all’educazione sentimentale del passante di cui scrisse Walter Benjamin. Descrivere una città significa intraprendere un viaggio nel tempo e nello spazio. Temporalità ben espressa nel libro.
Nel libro di Diego Mantoan i segni sui muri divengono i tatuaggi della città
Altrettanto ricca di spunti di riflessione, se non un vero e proprio pilastro su cui poggia l’assetto del volume, è la comparazione tra il neo-muralismo, l’arte pubblica, la Street art definiti “come pelle della città” con la pratica, sempre più diffusa, del tatuaggio. Entrambi fenomeni interessanti per comprendere molti aspetti della cultura di massa contemporanea.
Tutta da leggere, inoltre, la parta dedicata alle testimonianze degli gli artisti che negli anni hanno firmato i muri, gli anfratti, i sottopassi di Palermo e di cui ricordo soltanto, le testimonianze di Giuseppe Arici, Andrea Buglisi, Florinda Cerrito, Deran, Marco Mondino, pur inviando all’intero capitolo e, particolarmente, alle pagine 55-80.
L’autore, a riguardo, ha saputo condurre il lettore dentro un percorso ampio e variegato al cui interno, nonostante i diversi punti di vista, non ha perso mai il filo del discorso, grazie ad una lettura selettiva dei temi e delle opere, coerente e al tempo stesso creativa. Un solido impianto risultato di un progetto di ricerca biennale finanziato dalla Commissione Europea NextGenerationEu di cui Mantoan è stato, per il Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unipa, quello che si definisce, con ineludibile anglismo, Principal Investigator e che ha incluso un gruppo di ricerca, cui io stessa ho partecipato, che comprendeva anche estetologi, architetti, storici del cinema, informatici, e geografi, unitamente alla collaborazione di Annalena Schlutchter dell’Università di Berna.
Palermo come “Museo diffuso” grazie alla urban art che la colora
Un progetto che nell’illuminare questa sorta di Museo diffuso disseminato nello spazio palermitano, si è riverberato, anche, come dovrebbe essere una prassi consolidata nelle università, nella didattica. Ciò attraverso la realizzazione di un fervido, quanto proficuo, laboratorio che ha coinvolto studenti, professori del Dams di Palermo e l’artista napoletano Giovanni Scotti. (Per il Museo diffuso di arte contemporanea invio al mio saggio, in forma di caso studio, del 2015).

Le fotografie di Giovanni Scotti: una quadreria da sfogliare
Mi appare felice, per chiudere questa mia riflessione, la scelta di aver affidato l’apparato iconografico alle fotografie di Giovanni Scotti, apportando, a mio avviso, un importante valore aggiunto. Un libro nel libro, dunque, grazie alle immagini di Giovanni, che fa del volume una pubblicazione che si rivolge a molte tipologie di lettori: ovvero ad un pubblico vasto, colto, curioso e non costituito, solo, da addetti ai lavori.
Circa settanta fotografie selezionate da una più ampia produzione cui l’artista ha lavorato tra la tarda primavera e il finire del 2024 costituiscono il suo racconto palermitano. Un racconto che bene ha colto la pluralità dei progetti e dei soggetti presenti su uno spazio ricco di incontestabili testimonianze e pregno di potenzialità. Un fervore di cui sarà interessante intercettarne, in futuro, i percorsi e che vede coinvolti attori diversi sia sul fronte istituzionale sia su quello sociale.
Una quadreria di immagini, quella pensata da Giovanni che, con rispetto e sensibilità, ci conduce nella complessità del territorio traducendo la necessità di tramandare, di comunicare al lettore, quel rapporto profondo con il contesto storico, ambientale, antropologico della città, evidenziandone i nessi, le stratificazioni e non tralasciando come insegnano gli psicologi dell’ambiente, le impronte plasmate dall’uomo. Luoghi di vita e, come tali, luoghi di memoria, dove si esprimono i diversi modi, anche conflittuali, di essere comunità.
Una Palermo su cui riflettere nelle immagini di Giovanni Scotti
E proprio su questo fronte gli scatti dell’artista, con la forte capacità di risonanza che attivano, sparigliano opportunamente le carte demolendo ogni rischio di prevedibilità.
L’occhio di Giovanni, come ho scritto nella mia presentazione al volume, (Palermo tra spazio e racconto nella fotografia di Giovanni Scotti) analogamente a quello di un antropologo, evidenzia sia la rinnovata/ritrovata irruzione del sacro, attraverso l’arte, nella quotidianità sia l’immagine non stereotipa di Palermo come città attraversata da un forte, quanto fervido, senso di religiosità.
Religiosità intesa come partecipazione, come senso di appartenenza alla comunità e non necessariamente come espressione di una religione storica, confessionale. Uno sguardo, il suo che, con apprezzabile sensibilità, attiva nello spettatore un interessante cortocircuito ribaltando la radicata certezza che considera i nostri anni come caratterizzati da un‘assenza del sacro, restituendo il ritratto di una città che, forse, già conoscevamo ma su cui prima non avevamo riflettuto attentamente.
Gabriella De Marco
Palermo sulla pelle della città a cura di Diego Mantoan
Edifir Edizioni Firenze, 2025
pag. 236, € 30,00
ISBN 978-88-9280-254-4
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