La storia di Mutonia: il villaggio di sculture steampunk in Romagna rischia lo sgombero
Perché Mutonia è una storia di resistenza che riguarda tutti. E perché il mondo dell’arte dovrebbe occuparsene seriamente

In un disordinato frangente storico dominato da billionaires estremisti, autarchia, dove si grida alla difesa dei confini e, allo stesso tempo, viene messo al bando il senso di autodeterminazione fino alla stessa possibilità di esistere e vivere nel proprio paese, parlare di una comunità di travellers in una piccola provincia dell’Emilia-Romagna, potrebbe essere più che mai fuori dal tempo.
La storia di Mutonia
E invece, proprio per tutto questo parlare di Mutonia all’alba di una nuova ordinanza di sgombero – dopo la sentenza del 2013 a cui è seguita la grande mobilitazione, guidata dall’allora direttrice di Santarcangelo Festival Silvia Bottiroli – è più che mai necessario.
Oggi che questa la comunità artistica, radicata da quasi quarant’anni a Santarcangelo, è tornata sotto attacco, è bene ribadire che Mutonia non è solo un bizzarro villaggio di sculture steampunk costruite con materiali di scarto: è un presidio di libertà creativa, una forma di resistenza civile, di convivenze sperimentali, un esempio concreto di come l’arte possa costruire identità, ridisegnare territori e immaginari. Ed è una storia che in quarant’anni ha creato esempi e precedenti di grande interesse e valore: per la società civile, in ambito amministrativo, per la comunità artistica.
Ecco perché questa storia riguarda tutti. E perché il mondo dell’arte dovrebbe occuparsene, adesso. Ma andiamo con ordine.

Una comunità nomade che ha messo radici
La Mutoid Waste Company arriva a Santarcangelo di Romagna nel 1991, invitata come ospite al festival. Un collettivo inglese nato tra la scena squatter, punk e acid house, si distingue per le sue gigantesche sculture realizzate esclusivamente con materiali di recupero. Estetica steampunk, anima post-industriale, spirito anticapitalista, in fuga dalle restrizioni dell’era Thatcher su rave party (ricorda nulla?) cerca oltremanica nuovi luoghi da esplorare. Il comune di Santarcangelo indica loro un luogo appartato: una cava dismessa sul fiume Marecchia, priva di valore ambientale. I Mutoidi chiedono di prolungare la permanenza, iniziano a sistemare i loro mezzi, costruiscono abitazioni e sculture. Nasce così, spontaneamente e pacificamente, Mutonia: un villaggio unico nel suo genere, dove arte, sostenibilità e vita comunitaria si fondono, in nome di una scelta di vita guidata da coordinate differenti, seguendo il libero arbitrio. Una comunità che, già da tempo, è diventata parte integrante del territorio. Ha generato partecipazione, ispirato, migliorato le condizioni ambientali dell’area, contribuito a ridisegnare l’identità stessa del luogo.
Mutonia: una convivenza pacifica. Quasi con tutti.
“Il vicino è mio nemico non lo posso sopportare/ in un modo o nell’altro io lo devo eliminare”.
Così cantavano i Punkreas nel 1990 e la storia “legale” dei Mutoid parte proprio da questioni di vicinato nel 2013: le feste – saltuarie – i rumori, la presenza stessa dei Mutoidi fanno scattare la denuncia del proprietario di un terreno adiacente il campo. Ne nasce un contenzioso che innesca ordinanze di sgombero, ricorsi e contro-ricorsi.
Nel frattempo, Mutonia cambia, evolve: meno eventi rumorosi, più progettualità artistica e partecipazione civile: gli abitanti del campo sono, a tutti gli effetti, abitanti di Santarcangelo, frequentano i luoghi, vanno a scuola, dal campo esce anche un assessore.
Tanto che il collettivo ZimmerFrei, impegnato in un progetto di narrazione sulla relazione tra città, paesaggio e persone, realizza qui il documentario Hometown Mutonia, ritratto di vita quotidiana del villaggio. Lo presenta per la prima volta al Festival di Santarcangelo proprio nel 2013 accendendo i riflettori sulla comunità e sul pericolo della sua sopravvivenza. Il collettivo – racconta Bottiroli al telefono- “era impegnato nel racconto di ritratti urbani di zone ai margini di tutta Europa, ha trovato proprio in Mutonia lo spazio per la sua narrazione. La prima versione del documentario è diventata uno degli strumenti per raccontare, conoscere, tutelare la comunità”.
E qui, dopo la grande mobilitazione collettiva, arriva la Soprintendenze di Bologna e di Ravenna a definire che la comunità dei Mutoid è un “bene cittadino”: accostando proprio la pratica abitativa dei Mutoid alla pratica artistica, il sito diventa un “parco culturale”, accessibile e aperto a tutti.
Il Comune revoca l’ordinanza di demolizione. Sembra finita bene.












Mutonia: la giustizia amministrativa non si arrende
Nel 2020 il TAR respinge il ricorso del vicino, ma nel gennaio 2025 il Consiglio di Stato ribalta tutto: dichiara illegittimo il piano ad hoc del Comune per tutelare Mutonia. Il rischio sgombero torna oggi concreto. Il sindaco Filippo Sacchetti ribadisce l’impegno a trovare una nuova soluzione, di nuovo. Ma ora tocca anche al mondo della cultura mobilitarsi. Nel 2013, oltre 11mila firme su Change.org chiedono di salvare Mutonia. Direttori artistici, critici, curatori si schierano. Ora accade di nuovo: una lettera collettiva firmata 15 ex direttori del Festival di Santarcangelo e diffusa dall’attuale, Tomasz Kirenczuk, difende nuovamente la comunità. Si moltiplicano le segnalazioni, la diffusione della petizione (tra cui Artribune), le proiezioni del documentario Hometown Mutonia di Zimmerfrei. l’ultima al PARC di Firenze. Ma non basta.
Mutonia merita di entrare nei discorsi ufficiali sull’arte e lo spazio pubblico. Nei dibattiti, nei festival, di essere caso di studio, nei luoghi vivi della cultura. Fino alla Biennale Architettura. Siano anche questi i luoghi deputati alla sua salvezza.
Perché quello che serve, a tutti, è un cambio di paradigma e un esercizio critico: smettere di relegare esperienze come questa a bizzarrie da outsider. Non cadere in una visione elitaria e snob che prende in considerazione esclusivamente quanto circuita intorno a gallerie, mercato dell’arte, istituzioni. Mutonia è un laboratorio vivo dove si sperimentano alternative reali. Dove si difendono pluralismo, fragilità, complessità. Un antidoto alla cancellazione.
C’è un termine che ha attraversato con orrore il 2024: domicidio. La distruzione sistematica di abitazioni per cancellare comunità, identità, vita. Ieri era Dresda, oggi sono Siria, Ucraina, Palestina. Mutonia è all’opposto. È la rivendicazione che un altro modo di vivere è possibile. Che l’arte può ancora essere radice, rifugio, scelta.
Il pianeta dopo di noi: Mutonia e Mad Max
Se vogliamo coglierci dell’ironia, l’estetica dei Mutoid è quella dei rottami di Mad Max, narrative post apocalittiche che non sembrano nemmeno così aliene. Un mondo distrutto, un pianeta dopo di noi. Un mondo cui a sopravvivere saranno propri loro, i non allineati, i resilienti, i detentori della tecnica e della sapienza manuale, tra polvere e lamiere. Sopravviveranno loro, contro i nerd del tech ad alto consumismo e bassa umanità. Sopravviveranno, nonostante tutto. Stay Punk.
Chiara Vedovetto
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