A Bologna 10 artisti si interrogano su come viviamo la casa
Abitare è una sfida. Foto/Industria 2025 al MAST osserva la casa come confine, cura e radice: dieci artisti raccontano cosa significa cercare — o difendere — il proprio posto nel mondo
La casa è un luogo che cambia mentre cambiamo noi: diritto quando ci protegge, assenza quando viene negata, confine quando decide chi può restare. In questa edizione di Foto/Industria alla Fondazione MAST di Bologna, la fotografia guarda alla casa come al primo spazio in cui si esercita — o si perde — il diritto di abitare.

La casa come confine e spostamento. Foto/Industria a Bologna
Tra Romania e Moldavia, il fiume Prut diventa una soglia dell’Unione Europea. Le case fotografate da Matei Bejenaru resistono al confine come a una minaccia di instabilità: restare è già un gesto politico. La distanza può nascere anche dove una casa c’è. Alejandro Cartagena mostra periferie che trasformano la proprietà in isolamento: “Il sogno della casa come sicurezza non convince più, quando la città non ha spazio per te”. L’indirizzo non garantisce una vita vivibile. Per Vuyo Mabheka l’abitare è un viaggio senza approdo: “Ho solo sette fotografie di me bambino”. In Popihuise, la casa è un’invenzione necessaria, un modo per trattenere ciò che sfugge: “Era sempre la prossima. Mai quella in cui mi trovavo”.

La casa come lavoro e cura in mostra al MAST
Tra le mura domestiche si consuma un lavoro che regge tutto il resto. Kelly O’Brien parte da una genealogia femminile per raccontare una fatica continua: cure e attività quotidiane che sostengono il vivere comune senza lasciare traccia. La casa diventa valore economico occulto.
Per Sisto Sisti, invece, la casa operaia è l’altra faccia della fabbrica: il turno non finisce mai davvero, cambia solo stanza. L’intimità ha il ritmo degli orari industriali.
E poi ci sono le case che provano a custodire un’identità. In Quarta casa, Moira Ricci torna in Maremma per ricucire la propria storia: “Una casa è un pezzo d’identità: se la perdi, perdi una parte di te”. L’immagine diventa la forma di una memoria che non vuole scomparire.

La casa come trasformazione e diritto di esistere
Michael Olsson fotografa abitazioni moderniste che sembrano reagire alla presenza umana: “Vivono con chi le attraversa e con chi non torna più”. La casa non è solo un progetto, cambia con la vita che contiene. Ursula Schulz-Dornburg lavora sul limite della scomparsa: spazi minimi, materiali poveri, luoghi che la fotografia trattiene un attimo prima dell’oblio. Abitare significa anche lasciare un segno. Julia Gaisbacher guarda alle case che nascono dal confronto: in un quartiere di Graz “non è solo la casa che cambia le persone, sono le persone che cambiano la casa”. La comunità non è contorno, è la base dell’abitare. In Looking for Palestine, Forensic Architecture ricostruisce villaggi cancellati dalle mappe — dalla Striscia di Gaza alle aree della Cisgiordania occupate dagli israeliani — per ridare visibilità a luoghi dove “la casa è il primo diritto che si prova a togliere”. Qui abitare significa rivendicare l’esistenza stessa. La casa non è mai solo un bene privato. È un equilibrio politico tra ciò che ci protegge e ciò che ci espone. Le dieci mostre dell’edizione 2025 di Foto/Industria dimostrano che non basta avere un tetto per avere una casa. Bisogna essere riconosciuti, e poter restare.
Debora Vitulano
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