Le foto del grande Martin Parr diventano stanze d’albergo in una mostra in Germania. L’intervista

I fotolibri dell’artista britannico si trasformano in un albergo da attraversare stanza per stanza, tra reception, lounge e bar. L’intervista con le immagini di Nikita Teryoshin

Moquette rossa, pannellature in finto legno, un pianoforte con fiori di plastica e una “Seaside View” da cartolina: al Neues Museum di Norimberga i fotolibri di Martin Parr (Epsom, 1952) diventano un albergo da attraversare stanza per stanza

La mostra Grand Hotel Parr, al Neues Museum Nürnberg, realizzata in collaborazione con il PhotoBookMuseum di Colonia e in apertura il 24 ottobre, vede per la prima volta l’opera del fotografo letta quasi interamente attraverso i suoi libri: circa 250 titoli fra reception, Reading Lounge, Bar, Souvenir Shop e sale tematiche. Gli abbiamo chiesto perché oggi il fotolibro, anche di moda, sia il mezzo più schietto per capire il suo lavoro. Le immagini sono curate da Nikita Teryoshin.

L’intervista a Martin Parr

Il fotolibro è il medium più schietto ed efficace per leggere il tuo lavoro. Come avete progettato il passaggio dalla pagina all’itinerario “d’albergo”?
Non è stata una mia idea: la proposta è arrivata da Markus Schaden e dal team di The PhotoBookMuseum, e mi è piaciuta subito. In mostra non ci saranno solo libri, ma i libri sono il perno del percorso. È naturale per me: ho sempre usato il fotolibro per mettere in forma un’idea e costruire una narrazione. Qui quello stesso “montaggio” diventa spazio: entri in reception, ti siedi nella Reading Lounge, ti muovi tra stanze tematiche come faresti sfogliando capitoli. È un modo di far leggere le immagini rispettando il loro ritmo, senza obbligarle a diventare decorazioni alle pareti.

Quale ritmo di visione ritieni ideale perché un fotolibro “respiri” in uno spazio museale?
Per me un buon fotolibro ha tre ingredienti: un’idea forte, una narrazione solida e fotografie visivamente travolgenti. A questi aggiungo un design che rispecchi il tono del progetto, quasi a “fare eco” all’idea. Se questi elementi funzionano insieme, il ritmo viene da sé: il libro respira, che tu lo legga sul divano o dentro una Reading Lounge. Non cerco mai di forzare la velocità del pubblico: lascio che siano sequenza e accoppiamenti a dettarla.

La moda e il memoir secondo il fotografo Martin Parr

Con “Fashion Faux Parr” (Phaidon) hai consolidato un linguaggio di moda radicato nel mondo reale. Quali criteri usi per tradurre questo corpus in forma di libro?
Negli ultimi 25 anni ho cercato di portare il mio lavoro per la moda in situazioni ordinarie per renderle interessanti. In un libro cerco di conservare quell’attrito: alterno backstage e scena, faccio parlare gli abiti con l’ambiente e sto attento a non trasformare tutto in puro kitsch. Mi interessa che la moda resti ancorata alla realtà, che le immagini possano funzionare anche fuori dai codici patinati

La tua autobiografia visiva, “Utterly Lazy and Inattentive”,  è uscita a settembre 2025. Che cosa può il memoir scritto che l’immagine non può e viceversa?
Sono due progetti separati. A volte il testo serve: chiarisce cosa sta succedendo e aggiunge contesto, e nei miei lavori più recenti l’ho usato un po’ di più. Ma il memoir segue la sua strada, fatta di parole e ricordi; la mostra e i fotolibri la loro, affidata alle immagini e alla sequenza. 

Negli ultimi mesi hai pubblicato o rivisto libri che rieditano decenni d’archivio (“No Smoking, fotografie”, “Pride”, “Animals”,  il tuo primo libro per bambini). Quali regole ti dai quando ri-racconti materiale così esteso nel tempo e cosa cambia quando il lettore previsto è un bambino?
Quest’anno ho realizzato due libri per bambini, e mi ha divertito molto. La regola principale è attrarre subito: colore e luminosità aiutano a tirare dentro chi sfoglia. Poi, se uno vuole, sotto c’è quasi sempre un livello più profondo — a volte anche politico — ma non lo dichiaro in modo didascalico: preferisco che venga scoperto. Sulla riedizione dell’archivio, penso in termini di chiarezza e scorrevolezza: più che spiegare con molte didascalie, lavoro perché siano le connessioni visive a portare avanti la storia.

Il fotolibro secondo Martin Parr

Sostieni da tempo il potenziale democratico del fotolibro. In che modo la mostra misura quella “democrazia” e cosa manca ancora alle istituzioni per rendere davvero pubblico l’ecosistema del fotolibro?
Credo davvero nel fotolibro: è il modo più diretto per un fotografo di formulare un’affermazione chiara e compatta sul proprio lavoro. Per questo negli ultimi 20, 30 anni, l’interesse è cresciuto moltissimo. A Norimberga sono felice di mostrare una selezione ampia dei miei libri: lì vedi la democrazia del medium all’opera, perché il libro è accessibile, riproducibile, condivisibile. Le istituzioni? Possono fare di più proprio su accesso e fruizione, ma intanto mi entusiasma l’idea di portare i fotolibri dentro un percorso espositivo che li mette davvero al centro del museo.

Alessia Caliendo

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Alessia Caliendo

Alessia Caliendo

Alessia Caliendo è giornalista, producer e style e visual curator. Formatasi allo IED di Roma, si è poi trasferita a Londra per specializzarsi in Fashion Styling, Art Direction e Fashion Journalism alla Central Saint Martins. Ha al suo attivo numerose…

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