La Pietà di Gaza, un trittico del reporter Paolo Pellegrin in mostra a Palermo

Un fotografo internazionale, tre ritratti di giovani vittime palestinesi, cronache da Gaza e Abu Dhabi. Terzo step per il progetto “Crossing borders. Popoli in movimento”, organizzato dalla Fondazione Ghenie Chapels con l’Università di Palermo

Arrivano da tre anni negli Emirati Arabi, accolti dalle migliori strutture ospedaliere di Abu Dhabi, soprannominata “città umanitaria”. Tutto l’aiuto possibile viene offerto ai “fratelli palestinesi”, bambini, ragazzi, uno stuolo di giovani vittime del massacro scatenatosi per mano di Israele a partire dal 7 ottobre 2023. Sulla striscia di Gaza ormai solo macerie, un teatro di morte che scandalizza il mondo, mentre un popolo diventa polvere, rovina di corpi, case, memorie, culture. I civili pagano le colpe del radicalismo terrorista, mentre l’impronunciabile parola “genocidio” infiamma il dibattito pubblico, fra scontri politico-ideologici che sono benzina sul fuoco di un conflitto lacerante, infinito.

Un progetto artistico sulle migrazioni con UniPa

Paolo Pellegrin, reporter italiano di fama internazionale, dal 2005 nell’agenzia Magnum, quei luoghi li conosce bene. Ha scattato in contesti durissimi, dall’Iraq al Kosovo e all’Ucraina, occupandosi del conflitto arabo-israeliano fin dal 2000. Oggi, a Palermo, la sua fotografia militante, coraggiosa, entra in scena per il progetto in più step Crossing borders, popoli in movimento, curato da Alessandra Borghese per la Fondazione Ghenie Chapels, in collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo e con il coordinamento accademico del Prof. Paolo Inglese, delegato del Rettore Massimo Midiri. Un progetto che attraverso il lavoro di artisti contemporanei porta l’attenzione sul grande tema delle migrazioni e dei confini, e dunque della democrazia, della solidarietà tra i popoli, dei conflitti in corso. 

Installate via via in diversi spazi della Facoltà di Giurisprudenza, secondo un calendario irregolare e nell’arco di un triennio, le opere sono presenze quotidiane nei luoghi di transito e di studio, utili a stimolare il ragionamento, la risposta empatica, l’approfondimento. Accompagna gli allestimenti una programmazione di talk e conferenze, con le testimonianze di protagonisti del mondo dell’arte, della cultura, del sociale. Così il progetto si inserisce nel contesto didattico e scientifico del Dipartimento di Giurisprudenza, diretto dal professor Armando Plaia, con la sua Clinica Legale Migrazioni e Diritti, con il corso di Laurea magistrale “Migration, Rights, Integration”, a cui si aggiunge il Centro di Ateneo “Migrare” che si occupa di migrazioni, mobilità, dignità della persona e promozione dei diritti.
Dopo la scultura inedita a neon di Claire FontaineI sommersi e i salvati, tautologia verbale che ha trasformato il titolo del capolavoro di Primo Levi in apparizione luminosa e in deposito di immagini mentali, il secondo appuntamento ha dato spazio al film Ricordi per Moderni (2009) di Yuri Ancarani e a una versione attualizzata del suo video IP OP (2003).

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Paolo Pellegrin – Ph. Kathryn Cook

Paolo Pellegrin e la fotografia del conflitto

Sono tre i ritratti che Paolo Pellegrin ha scelto di esporre all’interno della splendida Aula Circolare A. A. Romano: incorniciate dal bianco di tre nicchie e dal marmo grigio degli archi e delle colonne neoclassiche, le grandi stampe trasformano lo spazio, catturando lo sguardo e fungendo da detonatori. Un ambiente non museale, deputato all’ascolto, allo studio, all’interazione tra relatori e auditori, dove s’impone improvvisamente una pausa, un faccia a faccia con l’immagine. Il tempo è sospeso dinanzi alla sintesi del racconto.

La fotografia di Pellegrin non lascia scampo. Notturna, contrastata, delicata e feroce, costruita con estrema cura eppure sempre autentica, risolve immagini difficili, spesso dolorose, nell’esercizio di una forza espressiva che non è mai indugio estetizzante. Il trittico in bianco e nero esposto a Palermo, battezzato per l’occasione La Pietà di Gaza, è parte di un ampio reportage dal titolo Escape from Gaza, pubblicato sul New York Times il 18 dicembre 2024 con un editoriale di Nicolas Casey. Per Pellegrin una nuova dichiarazione di attivismo morale e culturale, nel cuore di un subbuglio geopolitico che incalza e si propaga, tra corse al riarmo e tentativi di diplomazia: “Si vis pacem, para bellum” è il nuovo mantra europeo.
L’obiettivo così immortala brandelli di sofferenza e di battaglie per la sopravvivenza, nella nudità ottusa della guerra, nella colpa mai redenta, nei destini degli ultimi in fuga o più spesso senza scampo. Carne da macello per il business della morte. Intanto il presagio del terzo conflitto mondiale, con la minaccia di un’escalation nucleare, non pare più spauracchio, astrazione, pensiero latente. 

L’autore a Palermo porta con sé le storie di Maram KhassimSham Musselem Abu Holi e Mohammed Al Jafari. Tutti e tre salvati dall’inferno grazie a quel corridoio umanitario che ha condotto lontano da Gaza centinaia di minori in gravi condizioni. Dal 2024 nella struttura ospedaliera di Abu Dhabi “Sheikh Khalifa Medical City” anche l’Italia offre competenze mediche altamente qualificate, con una missione congiunta tra l’Istituto Gaslini di Genova e l’Istituto Sandro Meyer di Firenze, in collaborazione con i medici locali. 

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UAE, Abu Dhabi. 2024. Maram Khassim © Paolo Pellegrin, Magnum Photos

A Palermo le storie di tre sopravvissuti, tra Gaza e Abu Dhabi

Maram ha cinque anni, la sua casa viene spazzata via dalle bombe. Il piccolo corpo spunta fra i detriti ma non risponde; la danno per morta, la avvolgono in uno dei tanti lenzuoli bianchi che scandiscono, insieme alle macerie, il deserto postumano di quella terra di confine. Poi la madre percepisce uno spasmo, un dito che si muove. Maram è viva, ma la situazione è critica. Riescono a metterla su un volo diretto ad Abu Dhabi, dove le salvano la vita. Lentamente anche la lesione agli occhi causata dallo scoppio inizia a guarire. Pellegrin la fotografa in braccio alla madre, gli occhi persi nella penombra e nei ricordi, rannicchiata in un gesto di abbandono, fra una ritrovata tenerezza e l’eco del terrore. Una Pietà contemporanea al femminile, costruita con una luce di taglio e le geometrie nette delle ombre. Un gesto intimo, normale, trasfigurato in icona universale.

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UAE, Abu Dhabi. 2024. Sham Musselem Abu Holi © Paolo Pellegrin, Magnum Photos

Sham Musselem, otto anni, porta addosso le ferite di un’esplosione che la travolge mentre si trova nel cortile di fronte casa. Un braccio va in frantumi e nonostante il delicato intervento chirurgico l’amputazione non può essere evitata. È una dei tanti sopravvissuti marchiati da mutilazioni che ne faranno cittadini fragili, secondo i piani criminali di chi punta a piegare il nemico in ogni modo, anche negando ai civili l’indipendenza, la percezione del domani, la salute fisica e mentale.
Nello scatto di Pellegrin la piccola è appoggiata a un muro, gli occhi malinconici che accorciano ogni distanza con l’osservatore. A sinistra una mano ignota oltrepassa il perimetro della foto e prova a raggiungerla: è il caso, l’apparizione prodigiosa in cui a volte inciampano i fotografi, quelli avvezzi a non distrarsi, a cogliere tutto, a trasformare la realtà intera in una sequenza ininterrotta di fotogrammi, fino a raggiungere il migliore, il più speciale, in grado di dischiudere un senso ulteriore. “Stavo fotografando la bambina – spiega Pellegrin – nella stanza c’erano la nonna e delle sue amichette. Non so di chi fosse quella mano, è l’insondabile, sembra quasi il suo arto fantasma”.

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UAE, Abu Dhabi. 2024. Mohammed Al Jafari © Paolo Pellegrin, Magnum Photos

Anche Mohammed ha perso un braccio. Lui di anni ne ha diciannove e la bomba lo ha colto mentre era al mercato, nel centro di Gaza. Fuoco, panico, la morte così vicina. Ad Abu Dhabi gli consegnano una protesi, insieme alla speranza di ricominciare, di trovare un posto nel mondo, una strada sicura. Mentre si riappropria di sè e della sua vita, Mohammed si iscrive ai corsi di ingegneria per studiare Intelligenza artificiale. Lo scatto è potente, nella disarmonia meccanica di quell’esercizio ginnico, uno dei tanti a cui il ragazzo dovrà sottoporsi per imparare daccapo a muoversi, per entrare in contatto con il suo arto rigido, con un corpo diverso. Le linee oblique e dinamiche, lo sguardo spento, la genuinità della scena: l’immagine è talmente prossima da poterla scrutare oltre i contorni, immaginandone il resto, il dopo, la consistenza.
In fondo, nient’altro che fotografie. Testimonianze fragili e brucianti, dinanzi a cui chiedersi quanto ancora sapremo essere comunità sensibile, corpo collettivo, accomunati dal senso della paura e della compassione, prima della definitiva anestesia dello sguardo e della rinuncia al dolore dell’immedesimazione.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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