Premio Ghirri 2025. Fotografia come strumento di dialogo per azzerare le distanze
Davide Sartori ha vinto il Premio Giovane Fotografia Italiana che aveva come tema l’utilizzo dell’immagine come ponte, utile per superare confini o raccontare storie

La fotografia come ponte, come strumento di dialogo con il diverso, con “l’altro da noi”, la fotografia come linguaggio che sa azzerare le distanze, che sa ripristinare confini o, perché no, anche annullarli. La fotografia come mezzo per raccontare storie che possono essere intime o personali oppure condivise ma che hanno sempre e comunque un valore universale.
Chiedeva di lavorare su questo lo “Statement” della “Open Call” che gli organizzatori della 12esima edizione di Giovane Fotografia Italiana hanno aperto a tutti gli artisti Under 35 con cittadinanza italiana pronti a contendersi il Premio Ghirri 2025. Hanno risposto in più di 300. Alcuni sono italiani che vivono all’estero, altri sono stranieri residenti in Italia: tutti accomunati dal desiderio di declinare “Bridging”, il tema di quest’anno, in mille modi diversi e attraverso il linguaggio artistico che più amano.
Premio Ghirri: un ponte, vent’anni e il dialogo
La scelta del tema parte da quello che Fotografia Europea ha scelto per la sua edizione in corsa, “Avere vent’anni”, la stessa età del Festival. E proprio nel 2025 cade il ventennale della riapertura del ponte di Mostar in Bosnia, un capolavoro di ingegneria ottomana, considerato uno dei ponti più belli al mondo: Stari Most, il Ponte Vecchio, è il simbolo della guerra civile che negli Anni ’90 ha insanguinato i Balcani. Un ponte che doveva rimettere in dialogo le due parti della città separate dal fiume Neretva. Una sorta di promessa, in larga parte disattesa, di riappacificazione e di convivenza fra popoli.
Gli scatti dei sette finalisti di Giovane Forografia Italiana, (selezionati dalla giuria composta da Tim Clark, Rä di Martino, Adele Ghirri, Damiano Gullì e Mauro Zanchi) resteranno esposti fino all’8 giugno a Palazzo dei Musei di Reggio Emilia nella collettiva a cura di Ilaria Campioli e di Daniele De Luigi. Sono fotografie che ci aiutano a riflettere sul valore che le immagini possono avere non soltanto nel raccontare, ma anche nel ricostruire, nell’avvicinare punti di vista molto diversi. Che ruolo possono avere le immagini in un mondo pieno di domande e di incertezze, un mondo in cui si ha sempre più la sensazione che le istituzioni esistenti vengano messe in discussione?

Davide Sartori, il vincitore del Premio
Il ponte generazionale, il legame che c’è tra un nonno ed un padre e tra un padre ed il figlio. La riflessione critica sul concetto di mascolinità. I ponti come testimonianze, parentele, come passaggio di situazioni analoghe dentro anime diverse ma simili. Si può ritrovare tanto di sé nell’indagine interiore di una persona a noi così vicina, dentro un legame ancestrale come quello che lega un figlio a chi lo ha generato, a chi gli ha donato la vita. É quello che ha mosso il lavoro fotografico di Davide Sartori (Gallarate, 1995). Si è aggiudicato lui il Premio Ghirri di questa edizione e quindi non solo il compenso di 4.000 euro bensì la possibilità di esporre negli spazi della Triennale di Milano con una propria personale ad inizio 2026.
Davide Sartori e la distanza col padre
Il lavoro di Sartori è servito allo stesso artista anche per recuperare le distanze che si erano create con il padre, come racconta il giovane fotografo. Esposti a Palazzo dei Musei, ci sono scatti a colori e in bianco e nero che si sono rivelati una sorta di vero e proprio esercizio di riavvicinamento tra Davide e il papà. “Per molto tempo ho visto mio padre come un estraneo – spiega l’artista – una persona con cui non sapevo come parlare o passare del tempo. Qualche anno fa, ho scoperto della morte prematura di mio nonno, quando mio padre stava diventando maggiorenne, e di come, a causa di quella perdita, fosse stato costretto a seguire lo stesso percorso professionale. Mi sono reso conto che l’assenza di un modello paterno tradizionale era qualcosa che sia io che lui avevamo in comune. Nel tentativo di creare un legame con lui, ho visitato il suo posto di lavoro e l’ho invitato nel mio. The Shape of Our Eyes, Other Things I Wouldn’t Know prende forma in una serie di tentativi di avvicinarsi a mio padre, sia fisicamente che emotivamente”, aggiunge Sartori. Un lavoro che la giuria ha apprezzato e premiato proprio per il modo rigoroso e allo stesso tempo poetico ed emozionale con cui è stato condotto.







I progetti degli altri sei finalisti
C’è gloria anche per tutti gli altri sei giovani fotografi arrivati alla fase finale, perché tra le peculiarità del Premio Luigi Ghirri c’è proprio quella di riservare opportunità di crescita e visibilità anche a chi non si aggiudica la vittoria finale ma per chiunque ci arrivi. Grazie alla menzione “Nuove traiettorie, GFI” quest’anno c’è anche la possibilità di una residenza d’artista e una mostra a Stoccolma a testimoniare l’importanza internazionale del Premio e lo sguardo del mondo sulla giovane fotografia italiana.
Grace Martella, la più giovane fotografa al Premio Ghirri
Cominciando dalla giovanissima di questa edizione e in generale dalla più giovane fotografa che abbia mai partecipato dall’istituzione del premio c’è Grace Martella (Tricase, Lecce, 2006) che espone il progetto “Memorie del transitare” che indaga in modo intimo e personale il percorso di affermazione di genere di cui l’autrice sta facendo esperienza, cercando di restituirne la complessità nello spazio e nel tempo oltre gli stereotipi visivi e narrativi. Un lavoro che parte dal suo corpo e dalla rappresentazione in generale del corpo transgender che è spesso soggetta a cliché. Un progetto originale, molto fresco e genuino accompagnato da testi scritti dall’artista stessa.
L’arte partecipata di Daniele Cimaglia e Giuseppe Odore
“La Dote di Latera” è il progetto presentato da Daniele Cimaglia (Roma, 1994) e Giuseppe Odore (Pompei, 1995), che hanno portato avanti un progetto di arte partecipata che, attraverso le storie degli abitanti di un piccolo borgo della Tuscia, Comune dove esisteva questa tradizione ormai perduta di coltivare la canapa, hanno inteso mostrare come la cultura materiale tradizionale possa ispirare risposte sostenibili anche nel presente. In mostra quindi con i loro scatti ci sono anche l’idea di una economia circolare e più sostenibile e poi il tema del lavoro femminile. Diversi livelli di lettura per un lavoro che ha un forte impatto visivo con la grande cianotipia appesa alla parete.
L’esilio secondo Erdiola Kanda Mustafaj
Erdiola Kanda Mustafaj (Elbasan, Albania, 1992) ha lavorato ad un progetto dal titolo “Pasqyra e Lëndës” sul tema dell’esilio, composto da immagini frammentarie, presentato come una metafora che invita chi guarda l’opera a riflettere sulla circolarità del tempo e della storia attraverso l’intimità di un paesaggio complesso e meditativo. Un tema universale, quello dell’esilio, che ci accompagna da Omero ad oggi e che resta di estrema attualità.
Rosa Lacavalla, rituali antichi e linee immaginarie
“La Festa dell’Equatore” di Rosa Lacavalla (Barletta, 1993) si focalizza su rituali antichi e contemporanei di attraversamento di confini immaginari per creare una metafora della ricerca da parte dell’umanità di un punto d’incontro, intrecciando storie familiari e narrazioni contemporanee fondendo realtà e sogno. Una festa non istituzionalizzata che ci ricorda il legame che resta tra le due sponde dell’Atlantico e il significato che già per i migranti verso il Sudamerica aveva il passaggio di questa linea immaginaria.
Sara Lepore, la lingua come barriera e ponte
“Ingrediente pentru un tort de miere, cu dragoste” di Sara Lepore (Carpi, Modena, 1999) esplora un’identità familiare frammentata e riflette sul ruolo della lingua rumena che parlano la madre e la zia. Lingua che si rivela al tempo stesso barriera e ponte. Da un misunderstanding linguistico che la porta a confondere una lettera d’amore con una ricetta tipica, prende forma un allestimento originale che ritrae una cucina, con immagini scattate da lei sulla tovaglia di plastica e nelle cornici.
Serena Radicioli, lutto e perdita incolmabile
Con il progetto “Non sei più tornato”, Serena Radicioli (Latina, 1997), attraverso le sue fotografie e immagini d’archivio pubbliche e familiari, cerca di colmare il vuoto di un grave lutto, quello del padre che è stato assassinato in un regolamento di conti quando lei era adolescente. In famiglia non se ne parlò mai di quel fatto di cronaca nera rimasto per anni avvolto nel silenzio. Pochi anni fa ha iniziato a esplorare quello che era successo e a scattare fotografie, a raccoglierne altre per ricostruire il luogo di una perdita incolmabile.
Francesca Galafassi
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