A differenza di altre forme d’arte la cui fruizione è intima e personale, palazzi, edifici e chiese sono fin dal principio concepiti per una fruizione pubblica. Si tratta di spazi dal valore collettivo, finalizzati a essere vissuti e trasformati non solo dal tempo ma anche dal passaggio umano. E di queste tracce l’architettura conserva la memoria come una sorta di vademecum urbano, testimone sociale di un fenomeno in cui realtà e individuo sono indissolubilmente legati. Vicinanza di spazio e di tempo che a volte assume toni desolati o aspetti metafisici simili ai quadri di de Chirico e che proprio da questa variegata complessità attinge il suo fascino, in un’impressione visiva che si traduce in immagine e foto.

FOTOGRAFARE IL MESSE BASEL VUOTO
Visto che l’inamovibilità delle opere di architettura costringe all’esperienza fisica del reagire, muoversi e recarsi sul posto, la fotografia può fungere da medium per tradurre in segni tale vissuto. E un segno è, dopo il lungo periodo di pandemia, tornare ad Art Basel in presenza, con le sue molteplici gallerie selezionate e le frotte di visitatori provenienti da ogni angolo del pianeta. Fra le tra le più prestigiose fiere internazionali d’arte del XX e XXI secolo, ha luogo al Messe Basel, gigantesca struttura rinnovata e ampliata dal duo di archistar Herzog & de Meuron. Le concezioni spaziali e le soluzioni strutturali create per i quasi duemila metri quadrati del luogo sono però fruibili solo con la consueta folla che frequenta gli eventi pubblici per i quali il Messe viene aperto. È un’occasione rara, quindi, entrare con lo sguardo solitario della macchina fotografica in un’architettura concepita come luogo d’accoglienza collettivo per goderne, stavolta, il vuoto a tratti perturbante degli spazi come un’esperienza individuale.
‒ Francesca Pompei