Fotografia e nuovi mondi. Intervista a David LaChapelle

L’artista americano approda a Venezia con una grande rassegna monografica, che offre una panoramica in anteprima sulla nuova serie di scatti, intitolata “New World”. Un itinerario che unisce passato e presente, dissacranti universi pop e inedite utopie.

È una programmazione efficace, quella della Casa dei Tre Oci a Venezia: sceglie di essere popolare, optando molto spesso per nomi noti e consolidati. Ma non si accontenta di mostre chiavi-in-mano, magari con stampe non vintage; al contrario, di quegli autori mostra il meglio e insieme spesso l’inedito, la serie iconica ma anche quella che ai più è sfuggita, e talora presenta anche progetti nuovi, portati in Laguna in esclusiva.
Lost + Found, l’antologica dedicata a David LaChapelle (Fairfield, 1963) è esattamente tutto questo. Curata da Denis Curti e Reiner Opoku, la mostra prende avvio da alcuni splendidi scatti di una serie del 1984. Sono in bianco e nero e campeggiavano nella sua seminale monografica Good News for Modern Man. Sono corpi di donna, corpi nudi, colpiti da una luce calda e aggressiva, che sembra sfiancare le forme fuori fuoco. Paiono estasi mistiche, ma senza intenti blasfemi; anzi, sono omaggi emozionanti al Barocco, sono memorie della Santa Teresa del Bernini.
Un solo scatto, a colori stavolta, traghetta dagli Anni Ottanta al decennio successivo. Sono gli anni del lungo progetto Negative Currency (1990-2008), e a Venezia ci sono gli scatti della Lira: banconote al negativo, con i colori ribaltati, come se fosse appunto un negativo fotografico. Omaggio a Andy Warhol, senz’altro, ma anche spaventosa premonizione e poi presa d’atto di una crisi globale che ha tuttora effetti devastanti.
Still Life (2009-12) è forse la più cupa delle serie portate a Venezia: la morte è il tema, e di “ancora vivo” non c’è nulla. Anzi, quei manichini smembrati, con i volti di personaggi famosi come Leonardo DiCaprio o George W. Bush, sembrano non aver mai avuto vita – che è ovviamente peggio: la morte sancisce soltanto il termine di un’esistenza mai realmente vissuta.

Nativity, 2012 ©David LaChapelle (1200x847)

Nativity, 2012 ©David LaChapelle

GRAND TOUR E IRONIA

È noto ma lo ripetiamo: un punto fondamentale nella vita di LaChapelle è il viaggio in Italia del 2006. Ancora oggi, quindi, si ripete la magia del Grand Tour dei secoli passati. Nel suo caso, è la visita a Roma che imprime una svolta. Da allora, il riferimento alla tradizione attraversa continuamente la sua produzione artistica: la Cappella Sistina affrescata da Michelangelo per Deluge (2006); la pittura del Rinascimento in Earth Laughs in Flowers (2008-11), con nature morte floreali che si tingono di sorrisi amarissimi; il Vangelo nella serie Jesus is My Homeboy (2013), con le scene e le parabole più note del Nuovo Testamento ricreate e riadattate a tempi moderni e paradossali.
Un posto a sé occupa Aristocracy (2014): se tematicamente si rifà a Deluge, quindi all’inferno sulla Terra, dal punto di vista della soluzione formale ci sono notevoli variazioni. La figura umana infatti è totalmente assente e ad essa si sostituiscono jet privati che si accartocciano su se stessi e fra di loro, in un turbinio di nubi dense e colorate, come se fossero generate da fumogeni. Tale dis-umanità, la medesima delle serie Land Scape e Gas, sottolinea fino a che punto LaChapelle consideri grave la situazione; però sempre con quel tocco di sarcastica ironia che gli fa costruire mastodontiche (o almeno così sembra di primo acchito) centrali energetiche con cannucce e bigodini, oppure stazioni di servizio che paiono piombate in un’era post-apocalittica.

News of Joy, 2017 ©David LaChapelle

News of Joy, 2017 ©David LaChapelle

MONDI DA SALVAGUARDARE

Inedita, infine, è la serie New World, realizzata nella foresta pluviale delle Hawaii durante gli ultimi quattro anni, nel quadro di un progetto ancora in corso. Ideale prosecuzione della serie Paradise (dove tuttavia permangono toni cupi e conflittuali: una promessa di salvezza più che una salvezza conquistata), evidenzia una frattura – ci ha tenuto a sottolineare l’artista, come potete leggere nell’intervista qui a fianco – che concerne la non-commercialità del progetto stesso. In buona sostanza, si tratta di una riflessione che si vuole sganciata dalla mera vendibilità del prodotto che ne scaturisce, e che al contrario mira a sensibilizzare, certo in maniera non canonica, su temi fondamentali come la salvaguardia della vita della Terra su cui viviamo, e di conseguenza sulla salvaguardia di noi stessi. Dal punto di vista estetico, questa “missione” si traduce in una iconografia meno ridondante, che asciuga la messe di dettagli, così da focalizzare più facilmente l’attenzione dell’osservatore sul messaggio di cui è latore New World.
Sono solo alcune delle tappe che scandiscono questa memorabile antologica e che si snodano lungo i tre piani del museo situato alla Giudecca, in una zona di Venezia che permette di assaporare con relativa tranquillità l’atmosfera straordinaria di questa città.
Una nota finale per una singola fotografia, My Own Marilyn. La modella qui è Amanda Lepore, figura straordinaria di coraggio trans, in una Italia che ancora – purtroppo – ha bisogno di eroi.

Land Scape. Kings Dominion, 2013 © David LaChapelle

Land Scape. Kings Dominion, 2013 © David LaChapelle

L’INTERVISTA

Parliamo del suo ultimo lavoro, New World. Quale significato ha e come si colloca nella sua intera produzione?
È un nuovo capitolo per me. Mi sono interrogato a lungo sui temi del consumismo e del capitalismo, connettendoli, ad esempio, all’idea dell’apocalisse, del diluvio. Poi mi sono chiesto cosa accada dopo il diluvio. E sono approdato così all’idea di un nuovo mondo, che non ha troppo a che fare, per me, con la mitologia, ma con la speranza in un luogo dove ciascuno di noi possa essere una persona migliore. Soprattutto a fronte di quanto sta succedendo in diverse aree del pianeta e del senso di precarietà che lo pervade. L’umanità sta morendo, quindi dobbiamo modificare le priorità in base alle quali viviamo. New World nasce dall’idea di un luogo in cui esistano armonia e bellezza, dove possano confluire persone diverse, di qualsiasi religione. Un luogo di unione, una sorta di utopia o di paradiso.

Questo riferimento a un luogo incontaminato è connesso alla sua decisione di vivere alle Hawaii?
Ogni aspetto della mia vita è connesso agli altri, ogni decisione presa è legata all’ascolto di me stesso. Le Hawaii sono state il posto perfetto per realizzare le fotografie che compongono New World perché sono un luogo paradisiaco, in cui la bellezza di Madre Natura si esprime in tutta la sua potenza.

I suoi esordi fotografici risalgono agli Anni Ottanta, quando il predominio delle immagini stava diventando sempre più dilagante. Quale pensa sia il ruolo della fotografia nello scenario attuale, dove le immagini hanno preso definitivamente il sopravvento?
Ho iniziato negli Anni Ottanta mostrando nelle gallerie i miei scatti in bianco e nero. Non so quale sia il ruolo della fotografia e delle immagini, so qual è il mio ruolo. È difficile definire la fotografia oggi perché tutti dispongono di una macchina fotografica. La fotografia è ovunque, è come la vita. E, proprio come quest’ultima, non è definibile. Tuttavia posso solo concentrarmi sul mio ruolo come fotografo, ed è quello che sto cercando di fare.

Lightness of Being, 2017 ©David LaChapelle

Lightness of Being, 2017 ©David LaChapelle

Nel suo ultimo lavoro, ha usato la fotografia come strumento per divulgare un messaggio di speranza.
Sì, la speranza nei confronti di un luogo dove l’umanità possa prendere le giuste decisioni e condurre un’esistenza migliore.

Parlando di immagini e icone, crede che il kitsch possa ancora essere considerato una categoria estetica per definire un’immagine?
Non lo so. Credo che il termine kitsch sia usato in maniera diversa in Europa rispetto all’America. Negli Stati Uniti è sinonimo di cheap. Nelle mie fotografie io ho giocato con diversi aspetti, dalla banalità al consumismo alla sessualità. Mettendo anche in campo l’umorismo. Ho fatto uso del kitsch in alcune fotografie, ma chi conosce il mio lavoro sa che c’è molto in superficie e altrettanto in profondità.

Progetti futuri?
Continuerò a lavorare a New World, è un soggetto molto ampio. Non sono schiavo del mondo dell’arte contemporanea e non dipendo dalle persone che acquistano le mie fotografie. Il mio obiettivo, come fotografo, è rendere il mio lavoro accessibile anche a un pubblico più giovane. Il nuovo libro, che sarà pubblicato in autunno, dopo undici anni dall’ultimo, sarà venduto a un prezzo adatto anche a un pubblico giovane. Il mio scopo è proprio questo, non la fama né il denaro, ma raggiungere un pubblico giovane, la mia vera audience. Veicolare questa idea del “nuovo mondo” è molto importante per me.

Marco Enrico Giacomelli e Arianna Testino

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #4

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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