La Presa di Cristo di Caravaggio in mostra a 70 anni dall’ultima volta. La discussa storia del dipinto

Esposto una sola volta nel 1951, il dipinto è stato oggetto di un restauro che oltre a confermarne l’autografia ne farebbe la versione originale di un soggetto poi replicato dal Merisi, e molto fortunato. La mostra al Palazzo Chigi di Ariccia, dal 14 ottobre

Per risalire all’ultima volta in cui la Presa di Cristo di Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) è stata esposta al pubblico bisogna tornare al 1951. All’epoca fu Roberto Longhi a curare una mostra seminale per la riscoperta del pittore lombardo, riunendo al Palazzo Reale di Milano le sue opere e molti lavori dei cosiddetti Caravaggeschi, per riscattare l’artista da un lungo periodo di oblio ed evidenziare il suo ruolo nell’evoluzione dell’arte seicentesca (e non solo). L’esposizione milanese ottenne un grande successo di pubblico, accorso per ammirare un numero di dipinti autografi di Caravaggio mai più riunito in un unico spazio da allora (per chi volesse saperne di più, la storia e la fortuna critica della mostra sono raccolte nel libro Caravaggio 1951, Officina Libraria 2019). Tra gli altri, anche la tavola raffigurante la cattura di Cristo nell’Orto – soggetto tratto dal racconto della Passione di Cristo – fu esposta nelle condizioni in cui versava al tempo, alterata da numerose ridipinture.
Ma chi avrà modo di recarsi ad Ariccia (Castelli Romani) nei prossimi mesi potrà apprezzarla restituita al suo stato originale, dopo un lungo e accurato intervento di restauro, che ne fa il fulcro della mostra prossima a inaugurare (il 14 ottobre) a Palazzo Chigi.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cattura di Cristo, 1602. Galleria nazionale d'Irlanda, Dublino
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cattura di Cristo, 1602. Galleria nazionale d’Irlanda, Dublino

Le alterne vicende della Presa di Cristo di Caravaggio

L’opera è stata sottoposta con l’occasione anche a indagini diagnostiche che ne confermerebbero l’autografia, evidenziando pentimenti estesi e modifiche della composizione. Quando fu ritrovato da Longhi nel 1943 in collezione Ruffo di Calabria, infatti, il quadro fu considerato solo la miglior copia di un dipinto perduto, di analogo soggetto, segnalato in collezione Mattei, ascrivibile alla committenza di Ciriaco Mattei, che lo pagò a Caravaggio nel 1603 (ma il lavoro fu completato l’anno precedente). Molto più di recente, nel 2003, l’opera fu acquistata dall’antiquario romano Mario Bigetti. Il restauro intrapreso nel frattempo, rivelando la qualità del dipinto, avrebbe spinto a identificarlo proprio con l’originale Mattei. Nel 1993, Sergio Benedetti aveva ritrovato, nel convento di Sant’Ignazio dei Gesuiti di Dublino, una seconda versione autografa del soggetto (ora nei depositi della National Gallery of Ireland), ritenuta oggi dagli studiosi una replica del quadro protagonista della mostra di Palazzo Chigi. Discussa è invece la paternità della replica conservata a Odessa, oggetto di restauro nel 2019 (del soggetto sono note anche numerose copie: 15 quelle documentate).

La Presa di Cristo in mostra ad Ariccia

Di questa ricostruzione è convinto Francesco Petrucci, curatore della mostra di Ariccia, che si è preoccupato di ricostruire le vicissitudini collezionistiche dell’opera, passata di mano, dopo i Mattei, ai Colonna di Stigliano e ai Ruffo di Calabria, fino ad arrivare a Bigetti. Il quadro illumina la produzione dell’artista per ambienti privati praticata in parallelo alle più note committenze per la Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi e per la Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo, nel passaggio tra il XVI e il XVII secolo. E, a detta di Petrucci, si distingue, tra i quadri a destinazione privata realizzati da Caravaggio, per complessità d’impianto, contenuti iconografici, iconologici e concettuali, tanto da meritare “una trattazione monografica”. Accanto al dipinto, il pubblico avrà modo di visionare la radiografia dell’opera, la sua riflettografia e una riproduzione della versione di Dublino. In mostra anche la Presa di Cristo del Cavalier d’Arpino, un dipinto rinascimentale dell’ambito di Giorgione raffigurante il medesimo soggetto e una versione della Baruffa di Bruttobuono di Francesco Villamena, considerati tutti riferimenti per la composizione di Caravaggio.

Livia Montagnoli

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