La storia poco nota del Futurismo triestino

Ha compiuto 100 anni il movimento futurista triestino e la mostra a Monfalcone dedicata a Tullio Crali è un’opportunità per ripercorrerne la storia tra aneddoti e ambiguità

L’ebbrezza del volo, il brivido della caduta, la sfida all’ignoto. La città, ai piedi del paracadutista, si decostruisce in una successione di poligoni, niente più che giocattoli per il futurista dell’avvenire. È il quadro Prima che s’apra il paracadute, di Tullio Crali (Igalo, 1910 – Milano, 2000), esposto nella mostra a lui dedicata dalla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone. La Venezia Giulia nei primi Anni Venti rappresentò l’avanguardia del movimento futurista, motorizzando una rivoluzione che avrebbe lasciato profondi solchi culturali e politici nell’Italia del primo dopoguerra.
I territori inquieti di quant’era stato, sino a pochi anni addietro, il Litorale austriaco rinvenivano nella velocità futurista una simbolica espressione dei cambiamenti a cui erano andati incontro: dall’essere stati parte di un plurisecolare impero all’essere divenuti frammenti di giovanissimi stati-nazione.
È stato completamente ignorato dal capoluogo giuliano, in tal senso, il centenario della nascita del movimento futurista triestino (1922-2022): eppure, proprio per la sua incandescente valenza di città di confine, il Futurismo a Trieste conobbe uno sviluppo ambiguo, nutrendo intellettuali futuristi che divennero partigiani e poi imperialnostalgici come Carolus Cergoly, ma nel contempo sciabordando le peggiori tendenze politiche totalitarie, proprie di un fascismo che qui mosse i suoi primi manganelli. Se Vienna era stata nell’Ottocento, secondo l’azzeccata definizione di Karl Kraus, il “laboratorio sperimentale della fine del mondo”, Trieste ne divenne l’anticamera novecentesca.

Tullio Crali, Prima che si apra il paracadute, 1939 - Casa Cavazzini, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Udine - Photo: Claudio Marcon, Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte

Tullio Crali, Prima che si apra il paracadute, 1939 – Casa Cavazzini, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Udine – Photo: Claudio Marcon, Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte

I PROTAGONISTI DEL FUTURISMO A TRIESTE

Furono due Bruni, rispettivamente Sanzin e Martelli, gli iniziatori del movimento futurista triestino: frequentavano, all’epoca, il quinto anno dell’Istituto tecnico Alessandro Volta. Martelli dialogava con la rivista milanese Fiamma Verde, un foglio studentesco diretto dal figlio di Umberto Notari. Questi a propria volta presentò a Martelli il poeta friulano Michele Leskovic che aveva lanciato con Albrighi e Chierici, due anni prima, il manifesto Svegliatevi studenti d’Italia!.
Sanzin, con una vecchia intervista per Il Meridiano di Trieste (L’ultimo futurista, 23 marzo 1989), ricordava come avesse avvertito nel manifesto “il desiderio di agire, di rompere con i tabù, di rinnegare per superare, di proiettarsi nell’avvenire ispirandosi al nuovo mondo del progresso industriale e alla conquista della velocità e dello spazio”.
Nel 1924 Sanzin e Martelli ufficializzarono lo stato di cose con la fondazione del gruppo futurista studentesco di Trieste. L’atmosfera era goliardica, la giovane età degli studenti la trasformava in un club “only for boys”: c’era la tessera, il gagliardetto e, alla festa inaugurale, una “madrina, gran bella ragazza, che ci fece un breve discorso chiamandoci baldi giovani”. Il maggiore lascito del gruppo fu una rivista goliardica futurista, inizialmente nota come Gaudeamus igitur, poi cambiata da Sanzin col nome di La Folgore, perché l’uso del latino “puzzava troppo di passatismo”.
Il gruppo bighellonava presso il Caffè Roma, oggigiorno scomparso, in Via Carducci. Il pittore Carmelich, col compare Dolfi, irritava la borghesia benpensante indossando abiti elegantissimi, ma volutamente irrazionali: Carmelich ad esempio indossava guanti di pelle di cinghiale, uno bianco e uno nero.

Bruno Sanzin

Bruno Sanzin

LE PAROLE E I RICORDI DI SANZIN

L’attività triestina conobbe un notevole sviluppo quando Sanzin pubblicò l’opuscolo Marinetti e il futurismo (1924), che riscosse grande successo tra studenti delle superiori e dell’università, assolvendo a quel desiderio di modernità che elettrizzava le masse. Marinetti, nonostante il carattere ingenuo del gruppo, era spesso a Trieste; e non mancava mai di incontrare Sanzin. Solitamente pernottava al Savoia-Excelsior e si fermava per un caffè coi “suoi” triestini. Il gruppo gli diede un notevole sostegno quando nel 1924 scelse di mettere in scena a Trieste il “Nuovo Teatro futurista”, col gruppo Marinetti-De Angelis-Mac Gill. Non era tanto teatro, quanto serate progettate per scatenare le masse, eccitare gli animi: nessuno sembrava apprezzarle, eppure tutti erano presenti, “il teatro era affollatissimo”.
Tuttavia Trieste era, in quest’ambito, una città già di per sé assuefatta a queste sperimentazioni, dalle quali d’altronde derivava il particolare carattere del Futurismo giuliano.
Le serate futuriste a Trieste”, ricorda Sanzin, “avevano un grave difetto: ricorrevano sempre nel periodo carnevalesco. Sicché la gazzarra era di prammatica in un teatro colmo di gente che intendeva divertirsi in libertà. Per di più, sempre in quel periodo, e al Rossetti ‒ ‘piazza d’armi’, come lo definiva Marinetti ‒ si teneva il concorso delle canzonette triestine organizzato dal settimanale umoristico ‘Marameo’, in modo che trombe, tamburi e altri strumenti rumorosi passavano da una serata all’altra, mobilitati per entrambe le occasioni“. Tuttavia, “noi futuristi non eravamo da meno. Avevamo affittato il palco numero cinque in modo da assicurarci un predominante posto di combattimento per contrattaccare a gran voce l’offensiva dei disturbatori. Scambi verbali piuttosto accesi erano all’ordine del giorno. Più di una volta abbiamo rischiato di finire a cazzotti”.

Luigi Spazzapan, Pesci sul tavolo, 1932, olio su tavola, 59 x 66 cm. Galleria Regionale d’Arte contemporanea “Luigi Spazzapan”, Gradisca d’Isonzo. Fondo Milva Biolcati – Maurizio Corgnati

Luigi Spazzapan, Pesci sul tavolo, 1932, olio su tavola, 59 x 66 cm. Galleria Regionale d’Arte contemporanea “Luigi Spazzapan”, Gradisca d’Isonzo. Fondo Milva Biolcati – Maurizio Corgnati

SUCCESSO E DECLINO DEL FUTURISMO A TRIESTE

Il movimento triestino conobbe un certo successo, sebbene i suoi due membri più talentuosi, Carmelich e Dolfi, abbandonarono dopo pochi anni il movimento: Carmelich, pittore genialissimo, morì giovane; Dolfi preferì all’arte il mondo della finanza.
Dopo l’esperimento della rivista 25, limitata a un solo numero, Sanzin traghettò il movimento triestino alla sua seconda fase, con nomi largamente conosciuti dal mondo dell’arte: Spazzali (detto Grog), Scocciai (detto Masko) e, va da sé, il grande Cergoly (detto Sempresù). Fu altrettanto notevole lo sviluppo nei territori dell’Adriatico: dall’Istria con Sambo e Boccalatte, a Gorizia con Spazzapan, Pilon e Cargo.
La perversione del Futurismo, dall’essere arte rivoluzionaria a divenire “arte di stato”, disgustava secondo Sanzin lo stesso Marinetti, il quale pure ne aveva avallato la trasformazione.
Quand’era a Trieste, all’Hotel Savoia, Marinetti venne redarguito dal gerarca Achille Starace perché non aveva salutato “alla romana”. Sanzin ricordava nell’intervista del Meridiano come negli Anni Trenta Marinetti fosse scoppiato a ridere vedendo uno striscione, nella Piazza dell’Unità di Trieste, che recitava “Duce sei tutti noi!”. Al quale aveva replicato sottovoce, a un Sanzin tremebondo: “Già anche i fessi!”.
La risata, lo sberleffo nascondevano il disagio di un movimento che si andava mummificando, trasformandosi negli ultimi anni proprio in quel santino imbalsamato che aveva combattuto per trent’anni. Il Futurismo, dall’essere gioventù, diveniva vecchia materia di studio; e non rimaneva allora, come Marinetti, che sorridere a denti stretti.

Zeno Saracino

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