Alla Galleria Bunker di Firenze una mostra per ripensare il rapporto tra arte e spazio espositivo

La mostra “Scatola Bianca” capovolge la normale prospettiva espositiva: non è più l’arte che si adatta allo spazio, ma è lo spazio che si interroga su come accogliere e valorizzarla

Si pensa che per mostrare l’arte servano spazi neutri, bianchi e minimalisti, in modo che l’opera possa emergere da sola”, racconta Cosimo Bonciani, architetto e curatore di Bunker a Firenze (Via San Gallo 108r) insieme a Niccolò Antonielli. “Il bianco non è assenza però ma somma di possibilità, una presenza viva che costruisce insieme all’opera”, continua. “Appare come vuoto ma in realtà è embrione, forza generatrice, promessa di tutte le possibilità”. È così che prende forma, da questa riflessione, Scatola Bianca, progetto (visibile fino a fine novembre 2025) che cerca le relazioni tra spazio e opera, rovesciando la convinzione che il “white cube” sia un contenitore invisibile. Lontano da qualsiasi neutralità, il percorso genera un dialogo tra una stanza scura e avvolgente e un’altra bianca e luminosa, che si richiamano e si contraddicono, restituendo la tensione tra presenza e percezione.

Intervista a Cosimo Bonciani di Bunker Galleria

È ancora possibile mettere in discussione il modo in cui mostriamo l’arte?
La riflessione è nata dai visitatori: “Voi non siete una galleria white box…” ci dicevano spesso. Da quel confronto è nato un pensiero, poi Scatola Bianca: una mostra che interroga il legame tra opera e spazio, tra ciò che accoglie e ciò che trasforma. L’obiettivo è capire fino a che punto il luogo influenzi l’opera – e quanto, invece, sia l’opera a ridisegnare lo spazio che la contiene.

Il bianco è senz’altro tema centrale, qui però assume una funzione diversa da quella tradizionale. Seguendo quale interpretazione?
La mostra si articola in due ambienti distinti. All’ingresso, il visitatore è accolto da pareti marrone scuro che avvolgono opere dai toni chiari e delicati in un’atmosfera quasi intima. Proseguendo, tutto si apre in una seconda stanza color burro – pareti, soffitto e pavimento – dove gli stessi artisti rivelano un’altra parte di sé, più intensa, fatta di colori pieni e luminosi. Il contrasto tra i due spazi genera un dialogo continuo tra luce e materia. Qui il bianco reagisce e cresce insieme alle opere, rendendo lo spazio in un’esperienza condivisa.

Come hai scelto gli artisti?
Volevo fossero capaci di muoversi tra presenza e trasformazione. I pittori Andrea Barzaghi, Cosimo Casoni, Claudio Coltorti, Erik Saglia, Samuele Alfani, Samuele Bartolini e Riccardo Sala presentano opere che dialogano con lo spazio, passando da tonalità tenui e sfumate a colori vivi e saturi. Le scultrici Alice Ronchi, Cleo Fariselli e Lea Mugnaini danno respiro con interventi tridimensionali che mettono in discussione il rapporto tra corpo, materia e spazio, oltre a interrogare le tradizionali gerarchie di genere nell’arte. Nel percorso niente resta neutro perché lo spazio reagisce, le opere si influenzano e lo sguardo si trasforma.

La mostra collettiva “Scatola Bianca” a Firenze

Le opere hanno uno stile diverso, ma pensiero comune. In che modo sei riuscito a dar loro una coerenza così forte?
Ogni artista ha un linguaggio diverso, ma tutti condividono una stessa tensione nell’indagare la percezione e il modo in cui si abita lo spazio. Il percorso sceglie sensibilità diverse: nelle figure di Andrea Barzaghi emerge l’idea di attraversamento, con Samuele Alfani il tempo si trasforma in memoria e la pittura si apre come un teatro interiore. Le trame geometriche di Erik Saglia vibrano come onde, in dialogo con le immagini sospese di Samuele Bartolini, dove attrazione e inquietudine convivono. Nei lavori di Rikyboy, la memoria collettiva si manifesta in scene popolari e malinconiche, mentre Cosimo Casoni chiude il cerchio con una pittura fisica, nata dal gesto e dal contatto diretto con la materia. Insieme si richiamano, si amplificano, costruiscono un dialogo che cresce naturalmente, senza bisogno di tante spiegazioni.

Le sculture invece danno alla mostra un respiro diverso, più corporeo.
Per dare allo spazio una densità nuova. Nel lavoro di Cleo Fariselli, la sfera di specchi rotti riflette la luce in frammenti sempre mutevoli, creando un punto di attrazione che cambia a ogni passo. Lea Mugnaini, con Stilla Mundi, lavora sulla forma come archetipo, una goccia che racchiude la memoria e la forza del mondo. Alice Ronchi cerca invece un equilibrio essenziale, forme leggere che disegnano l’aria e definiscono lo spazio attraverso la calma. Queste presenze invitano il visitatore a sentire lo spazio, più che a guardarlo.

Interrogare l’arte contemporanea. La mostra da Bunker Galleria

“Scatola Bianca” mette sul tavolo diversi interrogativi.  È questo il suo intento?
Sì, credo che sia proprio così. Scatola Bianca è una domanda su cosa significhi oggi costruire uno spazio per l’arte, e su quanto quello spazio influenzi ciò che vediamo e come lo vediamo. Ogni ambiente ha una voce, anche quando cerca di nasconderla, e il nostro intento era far emergere quella voce. Il bianco è tensione, possibilità, condizione per generare qualcosa di nuovo. Alla fine, è lo spazio che si interroga su come accogliere l’arte, e non il contrario. E forse proprio in questo scambio continuo tra forma, colore e sguardo si nasconde la parte più viva della mostra.

Ginevra Barbetti

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Ginevra Barbetti

Ginevra Barbetti

Nata a Firenze, si occupa di giornalismo e comunicazione, materie che insegna all’università. Collabora con diverse testate in ambito arte, design e cinema, per le quali realizza soprattutto interviste. Che “senza scrittura non sarebbe vita” lo ripete spesso, così come…

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