La pittura di Gianni Asdrubali protagonista a Milano in una mostra su due spazi espositivi
Si articola tra gli spazi milanesi di A Arte Invernizzi e Galleria Artra la mostra "L’altra pittura", personale di Gianni Asdrubali, artista che rifiutò la figurazione per cercare nel segno il senso profondo della pittura
Nell’attuale doppia mostra intitolata L’altra pittura, nelle due rassegne cioè che si svolgono in contemporanea ad A Arte Invernizzi e alla Galleria Artra, a cura di Lorenzo Madaro, possiamo cogliere lo snodarsi della parabola pittorica di Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955) dagli Anni Ottanta ad oggi. Proprio nel momento in cui in Italia stava per affermarsi la Transavanguardia e tutti i fenomeni nostalgici e citazionisti collaterali ad essa, Asdrubali si getta nella pratica della pittura partendo da tutt’altro presupposto, schivando la narrazione compiaciuta e l’indugio nostalgico per rintracciare il senso più profondo di questa disciplina nel momento impregiudicato della sua origine. Il suo motto potrebbe essere: “La pittura comincia dove io non dipingo”, così si era infatti espresso in una dichiarazione del 1988, mentre Lorenzo Mango, in un illuminante scritto del 1994, parlerà di “pittura in bilico, sospesa sull’abisso del confine dell’arte”.

La mostra di Gianni Asdrubali negli spazi di Artra a Milano…
Da Artra campeggia nella parete di fondo Diodiavolo (1980), un grande dipinto che, nell’arco di questa doppia carrellata di lavori, potremmo considerare il big bang da cui si irradia tutto il successivo svolgersi del percorso di Asdrubali: un esplodere in bianco e nero di sagome carbonizzate, di arborescenti schegge di buio che, più che attraversarlo, vulcanizzano lo spazio, predisponendolo a una lunga stagione di esperimenti ed esplorazioni. Di fondazioni, anzi, perché la pittura non occupa uno spazio, ma lo crea, lo inventa, lo fonda; e diventa la trama incessante di un discorso il cui inarrestabile tessersi e ritessersi anticipa ogni costituzione di significato: come dipanato sotto l’impulso di un horror vacui in cui il vuoto non cessi però di risuonare.
…e in quelli di A Arte Invernizzi
Da Invernizzi, tra le opere Nemico (1987) e Chamorras, rispettivamente la più antica del percorso e un dipinto murale site specific, c’è una linea di continuità tale che si potrebbe parlare di un unico lavoro dagli esiti ancora aperti. Non è la forma del segno che importa – sia esso curvilineo e artigliato o diritto e incrociato – né il suo colore, ma la sua energia, il suo originarsi da una primordiale assenza.
La ricerca artistica di Gianni Asdrubali tra A Arte Invernizzi e Galleria Artra
Non è questo il luogo per enumerare i riconoscimenti internazionali della ricerca di Asdrubali, che passando attraverso la porta stretta dell’Astrazione Povera, teorizzata da Filiberto Menna nel corso degli Anni Ottanta, ha raggiunto un’originalità di linguaggio che la distingue da qualsiasi altro sviluppo della pittura astratta in Italia. Si può forse dire che già allora la povertà fosse il risultato di un’apnea derivata da un voler troppo dire, un singhiozzo del segno che deborda da sé stesso, che tracima dalle coordinate di un discorso compiuto, che slitta nell’indicibile, che anela a disperdersi nel vuoto da cui ha tratto origine. E poi, come ci fa notare l’artista, possiamo veramente definire astratta la sua pittura? Come suggerisce una citazione di Madaro in catalogo, si attaglierebbe allora in modo più preciso al modus operandi di Asdrubali la definizione che ne dette a suo tempo Flavio Caroli, quella di astrazione eroica; che noi possiamo rilanciare con l’intendimento che la figurazione che balena nell’istante in cui il segno prende vita ed esplode ergendosi sul vuoto della superficie promettendo un racconto fluviale, epico, enciclopedico, in questo stesso istante rinnega un senso figurativo stabilizzato, per farsi pura energia potenziale, virtualità di un raccontare che si sfigura strada facendo, come un grido che si strozzi in gola all’infinito perché un altro ancora più potente lo azzittisce in continuazione.
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La “cattiva infinità” nel procedere pittorico di Gianni Asdrubali in mostra a Milano
È un flusso indomabile che si ribella a ogni tipo di ordinamento fossilizzante, di stasi classificatoria. C’è questo tipo di feconda “cattiva infinità” nel procedere pittorico di Asdrubali, nella sua astrazione che si afferma sempre a posteriori; nel suo racconto concitato, fremente, esplodente, ma sempre non ancora detto, sempre non ancora raccontato: un segno selvaggio, un segno-belva che l’artista, e questa è la sua scommessa, tiene a freno scatenandone subito un altro a ridosso del precedente, come un infinito cominciamento, un’origine che slitti su se stessa per ricongiungersi al punto di partenza. L’impressione di trovarci di fronte a ciò che, secondo una classificazione scolastica e ormai desueta, potremmo definire come “astratto”, sembra così risultare dalla somma complessiva degli intervalli tra un conato di figurazione e il successivo, che lo subissa e lo azzera. “L’universo è figurativo o astratto?”: questa è la domanda che ci pone Asdrubali, e la risposta che possiamo darne vale anche per la sua pittura.
Alberto Mugnaini
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