A Mantova Palazzo Te riapre al pubblico gli spazi delle Fruttiere per la mostra del regista Isaac Julien
Girata in parte all’interno della villa rinascimentale, l’installazione si articola in una sequenza di ambientazioni che attraversano secoli e latitudini: dal fasto manierista delle sale affrescate mantovane alle strutture architettoniche contemporanee come il padiglione progettato da Herzog & de Meuron per la Kramlich Collection

Assumono identità cangianti tra l’umano e il non umano le protagoniste – interpretate dalle attrici Sheila Atim e Gwendoline Christie – di All That Changes You. Metamorphosis, la nuova opera filmica del celebre artista e regista britannico Isaac Julien presentata in anteprima mondiale dal 4 ottobre 2025 a Mantova (e fino al primo febbraio 2026), a cura di Lorenzo Giusti. A Mantova perché sono proprio alcuni scorci del rinascimentale Palazzo Te a fare da sfondo alla narrazione, che si estende oltre la mitologia classica fino a trattare le urgenze del contemporaneo, legate al cambiamento climatico, alla crisi ecologica e alla necessità di nuove forme di coesistenza.





Isaac Julien e la riapertura delle Fruttiere di Palazzo Te a Mantova
E per l’occasione – data anche dalle celebrazioni per i cinquecento anni della villa, simbolo della visione architettonica di Giulio Romano – saranno riaperte eccezionalmente al pubblico le Fruttiere: situate all’interno del complesso monumentale di Palazzo Te, queste rappresentano uno degli spazi architettonici più affascinanti e meno noti del celebre palazzo. Costruite in epoca posteriore rispetto al corpo centrale dell’edificio, tra il 1651 e il 1655, le Fruttiere sono un esempio di architettura funzionale che si integra perfettamente con l’eleganza e la monumentalità del contesto. Infatti, pur non trattandosi di uno spazio residenziale nel senso stretto del termine, rientrano nella tipologia dell’architettura per la residenza, il terziario e i servizi. Nate con funzioni agricole e di deposito, nel tempo sono state riadattate per accogliere eventi culturali e mostre temporanee, diventando oggi parte integrante del percorso museale e delle attività culturali di Palazzo Te.

La storia delle Fruttiere di Palazzo Te a Mantova
La costruzione è attribuita a Nicolò Sebregondi, architetto attivo nel Ducato di Mantova nella seconda metà del Seicento. Successivamente, l’edificio fu oggetto di restauri e interventi di riqualificazione, tra cui quelli eseguiti da Paolo Pozzo, architetto e restauratore mantovano noto per il suo impegno nella conservazione del patrimonio architettonico della città.
L’edificio si presenta con una pianta rettangolare e un interno suddiviso in tre navate, scandite da dieci coppie di pilastri. Questo schema garantisce allo spazio un’impostazione modulare, tipica dell’architettura tardo-seicentesca destinata a funzioni pratiche. Le pareti in laterizio, posate con corsi regolari, conferiscono all’edificio un aspetto sobrio ma solido. Un elemento particolarmente interessante è l’assenza di strutture orizzontali di chiusura interna: il progetto originario prevedeva un soffitto in stuoie di canne, soluzione leggera e funzionale, che tuttavia non fu mai realizzata. Questo dettaglio lascia completamente a vista la struttura della copertura, offrendo oggi una lettura diretta del sistema costruttivo.

A Mantova l’opera “All That Changes You. Metamorphosis” di Isaac Julien
L’installazione multischermo si articola in una sequenza di ambientazioni che attraversano secoli e latitudini: dal fasto manierista delle sale affrescate mantovane, alla Cosmic House di Charles Jencks a Londra, fino alle foreste del Redwood National Park in California e alle strutture architettoniche contemporanee come il padiglione progettato da Herzog & de Meuron per la Kramlich Collection. L’impianto concettuale dell’opera, infatti, trae ispirazione da autori e opere fondamentali del pensiero critico e della narrativa speculativa. Tra questi, il saggio Staying with the Trouble della filosofa Donna Haraway, il romanzo Memoirs of a Spacewoman di Naomi Mitchison e Parable of the Sower di Octavia E. Butler, che informano le identità delle protagoniste e ne guidano i movimenti attraverso i paesaggi cinematografici. Julien, insieme ai collaboratori Mark Nash e Vladimir Seput, costruisce così una grammatica visiva che rompe con la linearità narrativa convenzionale, proponendo un linguaggio di immagini, coreografie architettoniche e frammenti poetici. Il risultato è una visione filmica articolata su dieci schermi, che sfida le modalità dominanti della rappresentazione e invita a immaginare futuri alternativi.
Caterina Angelucci
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