Sfidare la morte per creare un’opera d’arte : la  performing art estrema di Tehching Hsieh

Definito "Maestro" persino da Marina Abramovič, l’artista taiwanese Tehching Hsieh ha segnato la sua carriera di performance assurde. Dalla volta in cui passò un anno intero legato alla collega Linda Montano con ua corda di due metri e mezzo, ai 12 mesi trascorsi senza stare neppure per un momento in un luogo chiuso. Ecco tutta la sua storia

Gli Anni ’70 hanno visto un’ondata di opere d’arte che hanno spinto i limiti del corpo e della mente umana, talvolta mettendo gli artisti a rischio di pericolo mortale. Nel 1971, Chris Burden si fece deliberatamente sparare a un braccio in nome dell’arte, durante la sua azione Shoot. Nel 1973, Gina Pane si inflisse ferite con spine di rosa e lame di rasoio in un’opera intitolata Azione Sentimentale. L’anno successivo, Marina Abramović sconvolse Studio Morra — e il mondo dell’arte — con la sua famosa performance Rhythm 0, invitando il pubblico a utilizzare su di lei 72 oggetti (da una rosa, una piuma, miele, vino, a forbici, chiodi, una sbarra di metallo e una pistola carica con un proiettile) senza alcun rischio di conseguenze… si dice che lo stress le abbia fatto venire una ciocca di capelli bianchi.
Tra questa serie di performance audaci, nessuno, forse, ha portato questa forma d’arte a esiti più radicali e intransigenti di Tehching Hsieh. “La vita è una condanna a vita; la vita è tempo che passa, la vita è libero pensiero”, disse una volta l’artista di origine taiwanese, che, stranamente, rimane escluso dai principali testi e saggi sulla performance art, nonostante sia stato definito “il maestro” nientemeno che da Marina Abramović. 

Azione Sentimentale - Gina Pane (1973)
Azione Sentimentale – Gina Pane (1973)

Le performance estreme di Tehching Hsieh

Dal 1978 al 1986, Hsieh (Taiwan, 1950) intraprese una serie di performance estreme note come One Year Performances. Si chiuse in una stanza-cella senza alcuna attività né contatto con il mondo esterno, timbrò un cartellino ogni ora, visse per le strade di New York senza cercare riparo e si legò con una corda all’artista Linda Montano. Ciascuna di queste performance durò per un intero giro intorno al Sole.

I primi anni di Tehching Hsieh

Tehching Hsieh nacque nel 1950 in una piccola città del sud di Taiwan. Pur avendo abbandonato la scuola superiore e non avendo mai studiato arte formalmente, era un lettore appassionato e l’esplorazione delle opere di Dostoevskij, Kafka e Nietzsche influenzò la sua filosofia di vita e di lavoro fin dalla giovane età. Dopo un breve periodo di sperimentazione con la pittura, che abbandonò rapidamente, iniziò a realizzare quelle che chiamava le sue “azioni”. Le prime azioni di Hsieh a Taipei segnarono l’inizio della sua volontà di superare i confini fisici e psicologici dell’esistenza umana. Ispirato dal fotomontaggio di Yves Klein Leap Into the Void (1960), che mostra l’artista francese lanciarsi dal tetto di una casa di periferia a Parigi, Hsieh provò l’esperienza per davvero. Durante la sua ormai famosa Jump Piece (1973), si gettò da una finestra al secondo piano, rompendosi entrambe le caviglie.

Rischiare la morte per l’arte

Definendola un’“opera immatura”, sminuendone umilmente il significato, l’artista si allineò con coloro che si gettavano nell’arte rischiando infortuni o persino la morte. Questo infortunio auto-inflitto può essere visto come un riflesso della misura estrema a cui i giovani erano disposti a spingersi pur di evitare il servizio militare obbligatorio. Mentre Hsieh completò il suo servizio per il governo del Kuomintang, sopportando due anni di libertà limitata, molti altri ricorsero all’autolesionismo, compromettendo la propria salute e produttività pur di evitare l’esercito. Il salto nel vuoto di Hsieh sembra simboleggiare il suo primo tentativo di sfuggire alla società militarizzata e conservatrice dalla quale voleva emanciparsi.

Performare e vivere allo stesso tempo secondo Tehching Hsieh

Nel 1974, Hsieh si imbarcò su una nave come marinaio, finendo negli Stati Uniti. Fu un salto da un’identità all’altra, dal suo sé passato a quella di immigrato clandestino in una terra straniera. Catturato tra due mondi, si trovò di fronte al rifiuto e alla mancanza di riconoscimento sia dal suo paese d’origine che dal suo nuovo ambiente. Vivendo come immigrato illegale (fino a quando, nel 1988, ottenne la Green Card), Hsieh affrontò le dure realtà della vita a New York. Incapace di parlare inglese e costretto ad affrontare molte difficoltà, presto si disilluse. Dopo anni passati a svolgere lavori di pulizia nei ristoranti, l’artista ebbe un momento di svolta che avrebbe cambiato la sua vita e lo avrebbe liberato dalla sua miseria: invece di cercare mezzi esterni per produrre arte, sarebbe diventato egli stesso l’arte. Con le sue cinque One Year Performance, Hsieh sfumò il confine tra quello che chiamava “tempo dell’arte” e “tempo della vita”. Per l’artista, “fare arte” e “vivere” possono essere quindi riassunti in un’unica azione: fare tempo. Immergendosi completamente in queste performance di durata annuale, Hsieh si spinse ai limiti fisici e mentali, trascendendo al tempo stesso le modalità convenzionali di creazione artistica.

One Year Performances (1978–1986)

Cage Piece

La prima One Year Performance di Tehching Hsieh, comunemente nota come Cage Piece, si svolse nel suo studio al 111 di Hudson Street, a New York. In questa straordinaria impresa, l’artista costruì una gabbia di legno in cui si confinò volontariamente per un anno intero, senza alcun contatto con il mondo esterno né alcuna attività. Per tutta la durata della performance, Hsieh si astenne dal parlare, scrivere, leggere, guardare la televisione, usare il telefono o ascoltare la radio. Semplicemente esisteva, aspettando che il tempo passasse. Sebbene l’opera sia stata erroneamente interpretata come un’esperienza monastica religiosa, una prova di resistenza psicologica o una critica all’incarcerazione, l’essenza della performance risiede nel puro scorrere del tempo.

Clock Piece

In Clock Piece (1980-1981), Tehching Hsieh si impose un nuovo compito estenuante: timbrare un cartellino ogni ora e documentarlo con una fotografia. Per un altro anno intero. Ripetendo instancabilmente questa routine faticosa, l’artista si negò deliberatamente qualsiasi periodo prolungato di attività o riposo, simile a un moderno Sisifo costretto ad attendere impazientemente la successiva timbratura. Sebbene si possa interpretare questo gesto come una critica alla monotonia del lavoro industriale, è fondamentale sottolineare che l’intento di Hsieh va oltre il semplice commento politico. Egli invita gli spettatori a riflettere sulla sua totale accettazione dell’inevitabile scorrere del tempo.

Outdoor Piece

In Outdoor Piece (1981-1982), il performer visse all’aperto per un anno intero, con la rigida regola di non entrare mai in edifici o ripari al chiuso. Dormendo nei parchi e nei parcheggi (anche durante un inverno particolarmente rigido), ordinando cibo attraverso le finestre dei ristoranti e lavandosi nel fiume Hudson… Hsieh riuscì a rimanere all’esterno per tutta la durata della performance — con un’unica eccezione, quando trascorse 15 ore in prigione dopo essere stato arrestato per vagabondaggio.

Rope Piece

Per Rope Piece (1983-1984), Tehching Hsieh e l’artista Linda Montano firmarono il seguente manifesto: “Rimarremo insieme per un anno e non saremo mai soli. Saremo nella stessa stanza quando saremo al chiuso. Saremo legati insieme alla vita da una corda lunga otto piedi. Non ci toccheremo mai durante l’anno.” I due artisti trascorsero quindi un anno intero legati da una corda di 2,5 metri. Era un’opera di rara onestà, che costringe entrambi gli artisti a mostrarsi in una vulnerabilità estrema. Legati in questo modo, è impossibile nascondere qualsiasi lato negativo o debolezza di sé. Ogni attività quotidiana — andare a letto, fare la spesa, lavarsi — divenne un esercizio di negoziazione verbale e fisica.

No art piece

Un anno dopo aver completato Rope Piece, Hsieh si trovò incerto su quale fosse la sua prossima creazione. Decise quindi di intraprendere una nuova (non)azione: astenersi da qualsiasi coinvolgimento artistico per un anno intero, in No Art Piece. Durante questo periodo di 365 giorni, si impose di non creare arte, di non parlarne, di non pensarci e di non visitare musei o mostre. Questa performance — o meglio, l’assenza di una performance — solleva un interrogativo intrigante: tutto può essere considerato arte performativa? La decisione deliberata di Hsieh di non produrre arte mette in discussione le convenzioni su ciò che costituisce l’espressione artistica.

Il riconoscimento tardivo di Tehching Hsieh

Nel 2009, a un decennio dalla scomparsa di Tehching Hsieh dalla scena artistica, il Museum of Modern Art ha riconosciuto l’importanza del suo lavoro, esponendo la cella originale di Cage Piece, insieme a fotografie e documentazione. Inoltre, la documentazione di Time Clock Piece è stata esposta al Guggenheim nello stesso anno, in una mostra collettiva, e da allora è entrata a far parte della collezione della Tate Modern. Più recentemente, il lavoro di Hsieh è stato esposto anche alla Neue Nationalgalerie di Berlino. Ora in pensione, Tehching Hsieh è passato, come dice lui stesso, dal “tempo dell’arte” al “tempo della vita”; ma i suoi insegnamenti continuano a vivere. Il senso di assurdità evocato dal lavoro di Hsieh è stranamente rassicurante, poiché evidenzia il fatto che il modo in cui scegliamo di passare il nostro tempo è una decisione personale. Che si tratti delle routine quotidiane del lavoro, delle relazioni sociali o dell’interazione con la tecnologia, o di performance meticolosamente pianificate e documentate, ognuno di noi sceglie come vivere il proprio tempo. Il tempo scorrerà comunque. Sta a noi decidere come vogliamo impiegare questi preziosi secondi, minuti e ore.

Louise Des Places

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