Il museo MACRO riparte da Roma: tutte le novità e le mostre per l’autunno 2025 raccontate da Cristiana Perrella

Il Museo d’Arte Contemporanea di Roma diventerà un luogo di partecipazione attiva e produzione culturale, dove le arti visive dialogano con cinema, musica, performance e la comunità locale. Parla la nuova direttrice

A partire dall’11 ottobre 2025, sotto la guida della nuova direttrice artistica Cristiana Perrella, il museo inaugura una stagione autunnale – promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e realizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo – interamente dedicata alla Capitale. Non solo una serie di mostre ed eventi, ma un vero e proprio ripensamento dell’identità del museo, che si propone di essere luogo vivo, quotidiano, accessibile e profondamente connesso alla città.

La programmazione autunnale 2025 del MACRO di Roma

A inaugurare sarà UNAROMA, mostra collettiva che vuole restituire la vitalità artistica di una città trasformata dall’energia dei suoi quartieri, degli spazi indipendenti e delle nuove generazioni. Curata da Cristiana Perrella con Luca Lo Pinto – direttore uscente del museo – l’esposizione ospiterà oltre 40 artiste e artisti, in gran parte con opere inedite, in un allestimento che si trasforma in paesaggio urbano e set in continuo mutamento, grazie al progetto dello studio Parasite2.0. Un’installazione “in piano sequenza”, come la definiscono i curatori, che cattura Roma nel suo presente, parziale ma immersivo, dove ogni elemento contribuisce a costruire un racconto collettivo. Performance, laboratori, conversazioni e interventi off-site completeranno l’esperienza. Da novembre 2025 a febbraio 2026, il MACRO ospiterà anche la mostra One Day You’ll Understand – Venticinque anni di Dissonanze, a cura di Carlo Antonelli, Lorenzo Castore e Valerio Mannucci. Un omaggio a uno dei festival più visionari della Roma dei primi Anni Duemila, che ha messo in relazione musica elettronica, cultura digitale e arti visive. Una narrazione costruita attraverso archivi sonori, video, grafiche e un programma pubblico che ricollega quella stagione alle ricerche artistiche contemporanee.

Macro Roma. Photo Luigi Filetici
MACRO Roma. Photo Luigi Filetici

Le novità del nuovo MACRO

Ma non finisce qui: il nuovo corso del MACRO con Perrella riattiva e amplia le sue funzioni museali. Riapre la biblioteca, nascono una sala video, una sala per l’ascolto, una project room e uno spazio per laboratori. A novembre, aprirà anche la sala cinema da 100 posti, con una programmazione d’autore dedicata ai registi emergenti romani, film indipendenti e d’essai, sempre in dialogo con le mostre. E il museo si trasformerà in un ambiente da frequentare anche al di fuori degli orari di visita. Inaugura, infatti, il nuovo ristorante Materia, affacciato sulla terrazza, con la riattivazione del bar interno.

Che cos’è e che cosa sarà il MACRO: parola a Cristiana Perrella

Perché partire da Roma?
L’ho fatto per due ragioni. Innanzitutto, perché il MACRO è il Museo d’Arte Contemporanea di Roma, ed era importante, bello e significativo partire proprio dalla città. In secondo luogo, perché negli ultimi sette-otto anni sono stata molto lontana da qui, vivendo e lavorando prima a Prato e poi a Milano. Tornando, ho trovato una Roma cambiata. Ho percepito un fermento che nasce dal basso, non promosso né dalle istituzioni né dal mercato, ma generato da artisti, curatori, operatori culturali. Un’energia che la rende unica nel panorama nazionale. Ho iniziato a guardare con attenzione gli spazi indipendenti — che negli ultimi anni si sono moltiplicati, molti dei quali nati durante il Covid — e ho notato un cambiamento di atteggiamento.Oggi si condivide molto di più: studi, mostre, progetti. È forte il desiderio di lavorare insieme, di creare reti, di attivare energie collettive. Questo cambiamento, questo spirito di apertura e scambio, mi è sembrato importante da riconoscere anche a livello istituzionale. Anzi, mi è sembrato fondamentale che fosse proprio l’istituzione a osservare, ascoltare e imparare da questo contesto.

Ha dichiarato di voler rendere il museo “invitante e radicale, generoso e all’avanguardia, accogliente e stimolante”. In che modo?
La storia del MACRO è stata segnata da discontinuità: ogni direzione ha portato una visione forte, ma spesso interrotta o sostituita da un’impostazione opposta. Mi sembrava importante rompere questa dinamica di “stop and go” e costruire invece un passaggio di testimone, un dialogo tra visioni. Ho stimato molto il lavoro di Luca al MACRO, sono stata una visitatrice assidua durante i suoi cinque anni di direzione e avevamo già collaborato con successo al Pecci per la mostra di Simone Forti. In generale, credo che oggi più che mai sia fondamentale coltivare il dialogo, la collaborazione. Personalmente, non sento più il bisogno di proteggere la mia individualità: mi interessa di più condividere, confrontarmi, imparare dagli altri. Sono convinta che l’intelligenza collettiva sia superiore a quella individuale. Vorrei che il MACRO fosse un luogo vissuto quotidianamente, non solo uno spazio espositivo. Per questo ripristineremo funzioni importanti: il cinema, la biblioteca (da tempo inutilizzata), e cureremo con attenzione gli spazi comuni — il foyer, la galleria vetrata, la terrazza — affinché diventino luoghi di incontro e quotidianità. La programmazione sarà aggiornata, sperimentale, di respiro internazionale ma attenta anche alla scena locale. Perché guardare alla scena romana non significa rinunciare a una visione internazionale. Lavoreremo su una proposta curatoriale di alto profilo, ma accessibile, investendo sulla mediazione culturale invece che sull’abbassamento dei contenuti. Vogliamo rappresentare le tante energie creative che oggi animano la città.

La mostra sul festival “Dissonanze” e la sua portata storica nella scena contemporanea.
Per quanto riguarda Dissonanze, è un progetto che sento molto vicino. Il festival fa parte della mia storia di formazione. Fin da subito ho avuto un rapporto molto stretto con Giorgio Mortari, ideatore del festival. Dissonanze è stato innovativo: per la prima volta si mettevano in dialogo musica elettronica, arti visive e cultura digitale, con una forte attenzione al contesto urbano. Giorgio aveva capito che era importante lavorare con l’architettura della città, scegliendo luoghi identitari — l’Ara Pacis, il Palazzo dei Congressi, il Chiostro del Bramante — cercando ogni volta una relazione nuova tra spazio e contenuto. Un altro aspetto cruciale del festival era il suo desiderio di mescolare i pubblici. La proposta era ampia, trasversale. Così si mescolavano linguaggi, generazioni e pubblici diversi, cosa rara allora. Giorgio era capace di mantenere una grande coerenza e precisione rispetto alla sua visione. A venticinque anni dalla nascita del festival, mi sembrava giusto raccontarlo a chi oggi ha vent’anni e non lo conosce. Ma anche a chi ne ha trenta e non l’ha mai vissuto. Dissonanze ha ancora oggi una grande freschezza e pone domande importanti: sul rapporto tra linguaggi, tra storia e contemporaneità e sulla possibilità di una convivenza tra pubblici differenti.

Caterina Angelucci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995) è laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oltre a svolgere attività di curatela indipendente in Italia e all'estero, dal 2018 lavora come…

Scopri di più