Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo

Con una grande mostra allestita in un palazzo storico, il signor “Elenka” ha raccontato la sua passione per l’arte moderna e contemporanea. Una forma di condivisione, ma non solo. Centinaia di opere e artisti, circa la metà della sua collezione, per fare un bilancio e per guardarsi dentro. Puntando alle sfide di domani.

Un marchio immediatamente associato alla Sicilia e al mondo del food, tra materie prime e semilavorati per gelati e dolci: Elenka è una delle (poche) eccellenze industriali che Palermo ha visto prosperare a lungo, da un secolo all’altro, resistendo fin qui nel naufragio di decine di storiche imprese locali, soffocate da un sistema economico asfittico, da classi politiche inadeguate e dalla violenta cappa mafiosa. In un’isola che ha pur conosciuto stagioni liete di fermento, gli stabilimenti Elenka sono oggi custodi di radici robuste e testimoni di una gestione oculata: un marchio leader nel settore, che esporta in oltre 50 paesi nel mondo.
Negli anni ’50 partiva così questa vicenda di business e di sacrificio quotidiano, via via intrecciatasi con un racconto parallelo, privato e familiare. Francesco Galvagno, erede del piccolo impero costruito dal padre, è per tutti l’uomo dei gelati, ma è anche uno tra i maggiori collezionisti siciliani. Una figura di riferimento per il milieu artistico locale, al centro di una rete di relazioni coltivate nel nome di questa dolce “malattia”, condivisa con galleristi, operatori del settore, curatori, altri collezionisti, e soprattutto con gli artisti, spesso supportati e incoraggiati attraverso acquisti e scambi, sostenendo mostre, progetti, produzioni di opere.

pinacotheka palazzo santelia palermo veduta dellallestimento Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo
Pinacothek’a, Palazzo Sant’Elia, Palermo. Veduta dell’allestimento

La mostra a Palazzo Sant’Elia

La fine del 2024 segna un passaggio cruciale: la grande mostra realizzata nel settecentesco Palazzo Sant’Elia, contenitore espositivo della Città Metropolitana di Palermo, gestito dall’omonima Fondazione, è una sintesi ragionata della sua importante collezione, un percorso organizzato secondo criteri storici e scientifici, ma anche un forziere di passioni e di memorie personali. Pinakothek’a, curata da Sergio Troisi e Alessandro Pinto, raccoglie oltre 200 opere delle circa 400 opere possedute da Galvagno. 
Dalla bella ouverture concepita come un mini saggio sull’arte italiana a cavallo tra le due guerre, con alcune perle di giganti come Pirandello, Donghi, Cagnaccio di San Pietro, Sironi, de Chirico, Casorati, il percorso si articola poi, sala dopo sala, con le audaci sfide pittoriche degli anni ’40 e ’50, tra Forma Uno, il Gruppo degli Otto, l’Informale, e poi gli anni ’60 e ‘70, l’Arte cinetica, le estroflessioni di Simeti, Castellani e Bonalumi, i venti del Nuveau Realisme, il concettuale e le poetiche dell’oggetto con Isgrò, Kounellis, Pascali, e ancora Christo e Nitsch, gli anni ’80 e la Pop di Schifano, la Transavanguardia, la Scuola romana di San Lorenzo con Nunzio, Tirelli, Bianchi.


Dell’amato Bruno Caruso sono presenti alcune tra le opere più colte, come la visione apocalittica de La tempesta o il grottesco Trionfo della morte, gonfio di vis civica e di violenza simbolica, mentre ampio spazio è offerto al crudo realismo di Renato Guttuso, tra un’efficacissima raffigurazione delle Rovine di Gibellina (‘70), il postcubismo del grande ritratto di una Cucitrice (’47), fino al sontuoso Nudo sdraiato del ’60, istantanea dinamica restituita con un bruciante tachisme. Tra i maestri della figurazione siciliana anche Piero Guccione, di cui sono presenti alcune marine, placide finestre d’azzurro affacciate sull’infinito.

Via via si giunge alla sezione sull’attualità, costruita per assonanze territoriali o di linguaggio, strutturata più liberamente rispetto alla parte storica e chiusa con un’ampia quadreria in cui cronologie e nomi si confondono, aprendo molteplici significati e associazioni. Si concretizzano nel percorso alcuni dialoghi intensi, come quelli tra i pittori della scuola di Palermo – Francesco De Grandi, Andrea Di Marco, Alessandro Bazan, Fulvio Di Piazza – passando per esponenti della stessa generazione, che, in contesti e con linguaggi diversi, hanno vissuto momenti significativi per la ricerca italiana, da Stefano Arienti a Flavio Favelli e Luca Pancrazzi. E ancora star internazionali come Peter Halley o altri siciliani di talento come Daniele Franzella e Giuseppe Adamo, fino alla sezione fotografica, in cui spicca un maestro del calibro di Thomas Struth, circondato da autori di spessore come Domenico Mangano, Per Barclay, Regina Josè Galindo, Massimo Vitali.

thomas struth audience 09 florence 2004 Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo
Thomas Struth, Audience 09, Florence, 2004

L’intervista a Francesco Galvagno. Gli inizi

Quando e come nasce la curiosità per l’arte?
Sono cresciuto con l’arte intorno. Mio padre comprava opere, ma senza l’intento di diventare un collezionista. Lo faceva per un piacere personale, con il semplice scopo di avere delle cose belle in casa. Sono stato io a far diventare questi suoi acquisti, nel tempo, una collezione vera e propria. Lui iniziò acquistare soprattutto quadri dell’Ottocento siciliano, ma anche un paio di Guttuso oggi in mostra sono stati comprati da lui.

A un certo punto diventi un collezionista in piena regola, scoprendo una vocazione. Quando accade?
Ho iniziato quando mi sono sposato, avevo 29 anni. Le prime cose le comprai dalla galleria Prati, partendo da una tela di Mimmo Germanà. Da allora non mi sono più fermato. Ho un bellissimo ricordo di quel periodo con Franca Prati, che frequentai fino a quando è venuta a mancare: mi ha introdotto in questo mondo, mi ha aiutato a crescere, ad allenare l’occhio, mi ha dato consigli preziosi e grazie a lei ho conosciuto molti artisti, ma anche altre gallerie. Altra figura importante quella di Roberto Ceresia, che aprì la Galleria dell’Arco proprio sotto casa mia: con lui ho conosciuto Francesco De Grandi, Andrea Di Marco, Emilio Isgrò… Dopo l’inaugurazione della mostra di Isgrò lo portammo da me per una cena con altri collezionisti, ci raccontò cose interessanti sul suo lavoro, aneddoti della sua vita, fu una serata splendida. Alla fine volle allestire lui stesso due opere che avevo comprato in galleria, ci mise con le sue mani le sue formichine… Ricordi indelebili.

Da quel momento la passione è diventata dedizione quotidiana. Una priorità.
Mi sono immerso in questo mondo in maniera totalizzante, iniziai ad andare regolarmente alle fiere, alle mostre, via via la collezione si è ingrandita e tutto ha preso a ruotare intorno a questa cosa. Mi rendo conto che si tratta di orientare letteralmente la tua vita in funzione dell’arte: se ad esempio devi fare un viaggio di lavoro lo organizzi sapendo già che in quel posto lì e in quel periodo lì c’è quella tale galleria da visitare, quella fiera, quella mostra da vedere, quella persona che desideri incontrare. Diventa il perno, una ragione profonda e costante.

francesco de grandi allinterno del magazzino di elenka in uno dei momenti degli scatti dellopera inizianti 2021 1 Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo
Francesco De Grandi all’interno del magazzino di Elenka posa dinanzi alla sua opera Inizianti (2021)

Galvagno e l’arte in azienda

Quasi come chi lo fa di mestiere. E in effetti questo innamoramento l’hai portato fin dentro il tuo mondo professionale. In che modo e con quali risultati? 
Nella mia azienda ci sono circa 150 opere, distribuite tra uffici e spazi comuni. L’arte mi aiuta a stare meglio nel contesto lavorativo e la condivido con chi mi sta vicino. È uno strumento ulteriore per creare complicità tra le persone. Prova ne è che spesso, a partire da un’opera, nascono riflessioni, discussioni, scambi di idee che ci aiutano a conoscerci meglio. Sono convinto che l’arte aiuti a socializzare, che sia un ponte per generare confronto. Capita che vengano a trovarmi in azienda degli artisti, soprattutto tra i palermitani, con molti dei quali ho rapporti di amicizia: succede regolarmente che chi ha una determinata opera in ufficio approfitti per fare delle domande all’autore, per scambiare pensieri. È un fatto che inevitabilmente arricchisce tutti.

Un allenamento del pensiero creativo, anche. Utile per qualunque professionista, in qualunque campo.
Credo moltissimo a questa cosa. L’arte offre delle chiavi di lettura, degli strumenti di pensiero che servono sul lavoro, come nella vita. E poi va da sé, in un ambiente abitato da opere non si può che lavorare meglio. Se in una stanza priva di finestre appendi un grande quadro, magari con un meraviglioso paesaggio marino, diventa tutta un’altra cosa. Considera che il nostro è un lavoro stagionale, ci sono periodi dell’anno molto intensi: quando si è costretti a stare alla scrivania per molte ore di seguito avere un momento di gioia per gli occhi aiuta.

Oltre che negli stabilimenti Elenka, l’arte non poteva mancare nel bar-pasticceria che hai aperto quattro anni fa in centro. Il nome, Don Nino, è un omaggio a tuo padre.
Ci troviamo proprio nei locali in cui mio padre, Antonino Galvagno, avviò l’attività nel 1959. E sì, anche qui è pieno di opere d’arte. L’arte per me è convivialità, condivisione, piacere comune. L’incontro tra cibo e arte, in tal senso, significa molto. Anche partecipare a una cena in un luogo pieno di opere fa la differenza. È accaduto ad esempio al piano nobile di Palazzo Sant’Elia, tra le sale della mostra, dove ho organizzato una cena per 200 persone. C’erano almeno 20 tavoli da 10 e ognuno aveva il nome di un artista. Gli ospiti hanno cenato circondati da opere di grandi maestri, assaporando i piatti preparati da tre chef stellati giunti da diverse zone d’Italia. Un’esperienza straordinaria, per tanti mai vissuta.

Uno scorcio dello spazio espositivo Pinakothek'a di Eelenkart, a Palermo
Uno scorcio dello spazio espositivo Pinakothek’a Eelenkart, a Palermo

Tornando al modo in cui hai avvicinato la tua attività d’imprenditore con la passione per l’arte, anni fa hai creato il marchio Elenk’art. Di che si tratta?
È nata come una costola dell’azienda, una divisione specifica destinata ad attività con l’arte. Inizialmente era un progetto culturale, uno strumento attraverso cui sponsorizzare mostre, affiancare realtà in cui credevamo, supportare produzioni di artisti. Abbiamo sostenuto tantissime esposizioni e iniziative, finché a un certo punto è arrivata l’esigenza di dare una forma “istituzionale” a questa attività. Elenk’Art così è diventata una piccola srl, che tutt’ora continua a fare quello per cui è nata. Nel frattempo abbiamo aperto in via Vincenzo di Marco, a due passi da Non Nino, un nostro spazio espositivo, Pinakotecka Elenkart, inaugurato a fine 2024 in concomitanza con la grande mostra a Palazzo Sant’Elia.

E domani? Hai già delle idee su come far evolvere il progetto?
La strada tracciata è quella di un’ulteriore trasformazione: puntiamo a far diventare Elenk’art una fondazione. Ci sto lavorando. La fondazione continuerà a fare quello su cui ci stiamo già concentrando: promuovere il lavoro di alcuni artisti, sostenere mostre, produzioni, nuove opere, naturalmente senza alcuna finalità di vendita. Ci interessa incentivare il lavoro di artisti affermati ma anche di giovanissimi, contando sempre sul dialogo con le gallerie.

fausto pirandello bambina in piedi 1942 2 Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo
Fausto Pirandello, Bambina in piedi, 1942

Galvagno e i rapporti con le istituzioni

E il dialogo con le istituzioni pubbliche siciliane? Ci sono state delle collaborazioni?
La prima esperienza è stata proprio in occasione della mostra a Palazzo Sant’Elia, che è una sede della Città Metropolitana di Palermo, gestita dall’omonima Fondazione. Devo dire la verità, alla fine sono stato agevolato, ma non ho trovato quell’apertura che mi sarei aspettato. Magari è solo perché non mi conoscevano, non sapevano nulla di me, della mia collezione, del mio impegno nell’arte, per cui non è stato immediato darmi fiducia. È stato uno dei curatori, il prof. Sergio Troisi, a presentarmi all’istituzione e ad aprire un varco.

Non conoscevano te, ma la qualità delle opere e dei nomi era indiscutibile.
Certo, infatti abbiamo proposto il progetto credendoci molto, ma ci sono state mille titubanze. Diciamo che non è stato accolto subito benissimo. Poi la mostra ha avuto un enorme successo e allora finalmente sono arrivati riscontri positivi anche da quel fronte. Ma solo a cose fatte.

Avete ricevuto finanziamenti pubblici a supporto della mostra?
Assolutamente no, anzi. Non solo ho coperto io integralmente le spese, ma ho voluto che i 6 euro del biglietto fossero destinati totalmente alla Fondazione Sant’Elia, senza nessuna percentuale riservata a noi, come si usa di solito con chi propone delle iniziative. Lo spazio però ci è stato concesso gratuitamente e anche nel caso della cena di cui ti raccontavo mi è stato permesso di organizzarla senza oneri: in cambio abbiamo donato delle apparecchiature mediche a un ospedale di Palermo, come forma di restituzione, su invito del Soprintendente della Fondazione, Antonio Ticali. Abbiamo così dato una connotazione sociale all’evento, trasformatosi in una vera e propria cena benefica.  

A proposito di restituzione alla comunità, rispetto al contesto palermitano e siciliano, piuttosto povero dal punto di vista degli investimenti culturali, senti una qualche forma di responsabilità?
D’istinto ti dico di no. È una cosa che faccio per me, per il mio piacere personale. E spesso non mi accorgo di quanto questo impegno abbia invece una ricaduta collettiva: in tanti hanno interpretato la mostra a Sant’Elia come un dono per la città e mi hanno ringraziato per aver condiviso questo mio patrimonio. Mi ha fatto enorme piacere, ma io non l’avevo interpretata così, non ci avevo proprio pensato.  

“Pinakothek’a”, il senso di una collezione

Cosa ti ha spinto allora a trasformare in una mostra, dentro uno spazio pubblico, una fetta importante della tua collezione?
Il vero scopo, almeno all’inizio, era quello di dare un ordine. Sentivo il bisogno di organizzare questa mia collezione, di darle una forma. Con l’aiuto dei curatori ho avuto modo di ordinare tutto quello che ho fatto in questi anni, di osservarlo e ricostruirlo. Sergio Troisi in questo senso è stato fondamentale, perché mi ha consentito di offrire una lettura storica al mio percorso, cosa che c’era nelle mie intenzioni ed ambizioni: acquistando opere ho sempre puntato a delimitare dei periodi, a mappare movimenti. Anche la costruzione del catalogo mi ha permesso di guardare in maniera più distaccata tutto ciò che ho fatto, arrivando a trarne degli insegnamenti, a capire meglio, a orientare il mio percorso. È un’esperienza che mi aiuterà a maturare come collezionista.

A proposito di storia, la sensazione è quella di trovarsi dinanzi a una raccolta enciclopedica. Un viaggio tra le pagine di un manuale di storia dell’arte, di cui sfuggono, a volte, le tue predilezioni.
Come ti dicevo il tentativo di ricostruire delle fasi storiche c’è sempre stato, ma sulla base dei miei gusti, delle mie passioni. Un periodo che ad esempio che amo molto è quello di Forma Uno, dunque Accardi, Sanfilippo, Consagra… Non so perché ma ne sento il fascino in modo particolare: ho comprato opere di quegli artisti ma anche di altri che non appartenevano al movimento e che però operavano in quel momento, procedendo secondo i modi del tempo, risentendo di certe influenze.

Oltre a Forma Uno, dove vanno le tue preferenze?
L’Informale, certamente, quindi ancora gli anni ’40 e ’50, periodo che mi piace enormemente. E poi ci sono alcuni siciliani che prediligo, come Bruno Caruso e Renato Guttuso, a cui ho dedicato due stanze intere: sono artisti che adoro, continuo a collezionarli, a seguirli, a vedere mostre, a cercare notizie sul loro lavoro, cataloghi. Poi, tra i contemporanei siciliani, penso a De Grandi, a Bazan, a Di Piazza, e così sono molto amico di alcuni artisti di Gela, come Judice e Giuffrida. La Sicilia in generale ha tantissimo spazio.

carla accardi negativo arciere 1954 Intervista al collezionista e imprenditore Francesco Galvagno. Le sue opere in mostra a Palermo
Carla Accardi, Negativo (arciere), 1954

L’amore per la pittura emerge con vigore, visitando la mostra.
È vero, è un linguaggio che mi trasmette qualcosa di profondo, anche in maniera inconsapevole: mi piace soffermarmi sul tratto, sulle pennellate, sulle tecniche e i materiali. Apprezzo artisti con una vocazione più materica, in cui accanto al colore si distingue l’uso di sabbie, di terre, e in cui si percepisce il segno del pennello, così come l’uso diretto delle mani. Ma non solo. Allo stesso modo apprezzo artisti raffinatissimi, che sembrano produrre opere prive di materia per quanto sono lisce, delicate. È una forma di magia, un’alchimia, i pittori hanno qualcosa tra le mani, un potere che li porta a produrre da zero, a concretizzare dal nulla dei mondi capaci di farti sognare.

Con chi ti confronti quando ti accosti a un artista, quando pensi di acquistare un lavoro?
Sono diverse le persone diverse con cui dialogo, da Leonardo La Rocca, gallerista, al notaio Pusateri, collezionista, a Ezio Pagano, fondatore del Museum di Bagheria, e così Sergio Troisi, ma anche le gallerie con cui ho rapporti. E poi mia moglie. Anzi, soprattutto mia moglie. Ci confrontiamo di continuo. Quando sono convinto di qualcosa, e lei invece no, mi dà dei consigli, mi fa ragionare, frena l’istinto. Tutto è condiviso.

Tra gli artisti che non hai in collezione chi vorresti, se potessi?
Ce ne sono tantissimi. Tra i grandi nomi del passato mancano giganti come Fontana e Burri, che non sono arrivato a comprare perché costano davvero troppo. Mi piacerebbe averli, prima o poi. Troppi anche i contemporanei, su tutti potrei dirti Peter Doig, uno degli artisti internazionali che amo di più. Ma anche il concettuale mi interessa molto. E così la fotografia, a cui ho dedicato una piccola sezione della mostra.

Armodio, Battaglia di uccelli meccanici, 1967
Armodio, Battaglia di uccelli meccanici, 1967

Palermo e un’idea di futuro

Da assiduo frequentare del sistema dell’arte siciliano, che idea ti sei fatto? Come siamo messi, tra le difficoltà di sempre e le carenze attuali?
Magari averlo un sistema dell’arte in Sicilia! Sarebbe fondamentale come sostegno agli artisti e a chi lavora in questo campo. Ma in Sicilia ognuno procede per sé, in autonomia, in assenza di un sistema strutturato, di una regia istituzionale, di figure che aiutino a mettere insieme le forze, che sollecitino le collaborazioni, che svolgano un ruolo di coordinamento, con l’unico obiettivo di fare del bene per l’arte e la collettività, al livello delle singole città e dell’intera regione.

La famosa visione che manca, in fatto di politiche culturali.
Assolutamente sì. E dunque mancano progettualità comuni, di alto profilo e a lunga scadenza. Tutte cose che le istituzioni dovrebbero favorire. E invece i musei latitano, sono pochi e gestiti male. Anche quando capita una bella mostra non mancano i pasticci, la confusione con eventi senza qualità, le ambiguità. In assenza di una gestione ragionata.

E nel tuo futuro cosa vedi, via via che la fondazione prenderà vita? Nuovi grandi progetti a Palermo? Magari la possibilità di rendere permanente la fruizione delle tue opere?
Al momento sono sodisfatto, felice di aver mostrato questo mio lato così intimo, finora conosciuto solo da chi frequenta il mondo dell’arte. Oggi anche un pubblico ampio mi conosce più da vicino, grazie a questo percorso che, almeno per me, custodisce memorie, episodi affettivi, il senso di tante relazioni, di tanti incontri. È un grande diario, un racconto personale. Condividerlo in maniera permanente? Lo spazio espositivo che possiedo oggi è piccolo, ma poter disporre di un luogo idoneo, in cui far transitare le opere a rotazione, sarebbe bellissimo. Il Comune di Palermo potrebbe essere il soggetto giusto con cui ragionare della cosa, ma non mi pare che attualmente esistano simili premesse. Un giorno, in una fase diversa, chissà.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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