Ecco com’è l’ultima mostra del Centre Pompidou prima della chiusura  

Il Centre Pompidou saluta il pubblico con Paris Noir, un’esposizione che riporta al centro della storia artistica europea le voci e le visioni di 150 artisti afrodiscendenti attivi a Parigi nel secondo dopoguerra. Ultima mostra prima della chiusura per restauro quinquennale del museo

C’è un che di commovente e simbolico nell’addio del Centre Pompidou al pubblico prima della chiusura: Paris Noir non è solo una mostra ambiziosa, ma una dichiarazione di intenti. Aperta lo scorso marzo, chiude i battenti il 30 giugno 2025, lasciando dietro di sé una domanda chiara: quale storia vogliamo raccontare quando parliamo di arte contemporanea? 

Georges Coran, Délir et paix, 1954. Photo Gaia Rotili
Georges Coran, Délir et paix, 1954. Photo Gaia Rotili

La mostra Paris Noir al Centre Pompidou di Parigi 

La risposta, in questo caso, ha preso forma attraverso 350 opere di 150 artisti afrodiscendenti che, tra il 1950 e il 2000, hanno fatto di Parigi una capitale culturale globale. Non per concessione, ma per necessità. Lontani dai propri paesi, in fuga da colonialismi e segregazione, questi artisti hanno trovato nella città un nuovo linguaggio espressivo, dove arte, politica e identità si sono fusi. Molti di loro – da Beauford Delaney a Georges Coran, da Faith Ringgold a Afi Nayo – sono stati a lungo invisibili nei musei francesi. Con Paris Noir, il Pompidou li accoglie non solo come parte della storia dell’arte, ma come elementi fondamentali della sua trasformazione. Non è una retrospettiva rassicurante: è una riscrittura urgente, una mostra “mai vista prima” in Francia, come ha ricordato la curatrice Alicia Knock. 

Paris Noir, installation view al Centre Pompidou, Parigi, 2025. Photo Hervé Véronèse
Paris Noir, installation view al Centre Pompidou, Parigi, 2025. Photo Hervé Véronèse

Parigi, eco di un’arte esiliata 

Il percorso espositivo è stato costruito come un atlante, dove Parigi non è più il centro autoreferenziale della modernità, ma un nodo in una rete di connessioni che attraversano l’Africa, le Americhe e i Caraibi. Gli artisti in mostra non si sono limitati a rappresentare la diaspora: ne sono gli autori. Ted Joans accompagna i visitatori con la sua voce – versi, jazz, attivismo. Le immagini di Gerard Sekoto e Wilson Tiberio raccontano città e corpi segnati dalla lotta. Diagne Chanel fa esplodere la pittura occidentale, trasformandola in critica radicale. La libreria Présence Africaine, la Sorbona del primo congresso panafricano del 1956, La Revue Noire: tutto converge per restituire dignità a un racconto culturale mai davvero archiviato, solo rimosso. La mostra è riuscita a decostruire il mito di un dopoguerra dominato dall’asse Parigi-New York e rivela come la vera avanguardia sia spesso nata ai margini. L’arte non è solo rappresentazione, ma resistenza e Paris Noir lo dice chiaramente: la modernità europea senza i suoi artisti neri, è un racconto incompleto

Renzo Piano & Richard Rogers, Centre Pompidou, Parigi
Renzo Piano & Richard Rogers, Centre Pompidou, Parigi

Centre Pompidou: un arrivederci che guarda avanti 

Con la chiusura imminente per un restauro da oltre 260 milioni di euro, il Centre Pompidou si congeda da Parigi e dal suo pubblico. Ma lo fa con un gesto forte, più politico che celebrativo. Paris Noir non è solo la fine di una stagione espositiva, è il segno di una svolta. Nel suo lavoro decennale Knock ha portato alla luce opere mai esposte prima, molte delle quali saranno acquisite e si spera, esposte in modo permanente al termine dei lavori nel 2030. Un passaggio necessario per un museo che voglia riflettere davvero il mondo che lo circonda. In questo senso, Paris Noir non è un canto nostalgico, ma un prologo. Se la storia dell’arte è sempre stata scritta da chi ha il potere di scegliere cosa mostrare e cosa nascondere, questa mostra ha segnato una possibile inversione di rotta. L’ultima prima del silenzio, ma forse anche la prima di una nuova voce. 

Gaia Rotili 
 
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