Quanta libertà dietro la femminilità? Ne parliamo con l’artista Alba Zari, in mostra a Roma
Specchio delle mie brame chi è la più bella del reame? Mai come oggi il rapporto delle donne con la propria immagine è controverso. In occasione della sua mostra al Pastificio Cerere abbiamo intervistato l’artista Alba Zari

La questione del corpo e della percezione di sé è sempre stata di primaria importanza; ogni epoca storica è stata caratterizzata da specifici canoni di bellezza e regole del gusto a cui donne e uomini hanno tentato di adeguarsi con l’ausilio dei mezzi a disposizione. Oggi, con la democraticizzazione della bellezza il fenomeno ha assunto proporzioni colossali; perché da una parte, grazie alla produzione industriale, non sono più necessarie cifre astronomiche per essere alla moda; dall’altra, con i social network e Internet, i modelli del passato, aristocratici, talent, celebrities che erano pressoché mistificati e quindi percepiti come irraggiungibili, sono stati soppiantati da influencer che, spacciandosi per “persone della porta accanto”, pur essendo scientificamente costruiti, acuiscono il senso di frustrazione. Per approfondire ne abbiamo parlato con Alba Zari (Bangkok, 1987) che ha dedicato al tema gli ultimi due anni di ricerca, condotta nell’ambito di una residenza artistica a Roma all’interno del progetto europeo Intergalactica e oggi confluita nella mostra in corso al Pastificio Cerere, FEAR OF MIRRORS, a cura di Francesco Rombaldi.

Intervista ad Alba Zari
Come nasce l’interesse per questo tema così controverso, cosa ti ha spinta ad affrontarlo?
La ricerca è partita dalla domanda: come mi sento rappresentata? Dato che nasco come fotografa, digitale e social network fanno parte della mia quotidianità; quindi, il progetto è nato quasi come una sfida personale, per capire se anche io sono inconsciamente soggetta ai canoni di bellezza maschili. Poi c’è anche una ragione più profonda, la percezione di sé è legata alla questione dell’identità che per me è centrale dal momento che sono nata in Thailandia, non ho mai conosciuto mio padre e sono cresciuta da sola. Tuttavia, rispetto ai progetti precedenti, in questo la componente autobiografica retrocede a favore di una dimensione corale.
Quali le altre domande che hanno dato il via a “Fear of Mirrors”?
Mi sono chiesta se noi donne siamo veramente libere di autorappresentarci. E dato che non mi pare, ho cominciato a domandarmi perché siamo ancora soggette a canoni di bellezza maschili. E soprattutto quanto ancora dobbiamo lottare per emanciparci da questa visione sessista e patriarcale.
Come hai costruito il progetto?
Innanzitutto voglio precisare che è nato prima come libro, edito da Yogurt Editions e poi come mostra. Sulla base delle riflessioni di partenza ho impostato il percorso in tre parti: la prima molto estetica, con scansioni di corpi femminili oggettivizzati; un’opera performativa anche ironica, in cui invito il pubblico a farsi un selfie molto particolare; delle beaty mask… La seconda in cui espongo, letteralmente stesi, gli esiti di una ricerca, dal carattere antropologico, di come è cambiata la percezione del corpo femminile negli anni e di come Google la restituisce; insomma, un’esplorazione randomica del web, dalle veneri ad oggi. Infine, con un programma di Intelligenza artificiale ho creato una “fidanzata ideale”, che incarna tutti gli stereotipi dominanti sulla donna, tanto a livello fisico, quanto caratteriale.

Qual è stato il più grande cambiamento che hai notato nella percezione dell’immagine femminile?
Premesso che la visione della bellezza femminile è sempre stata soggetta allo sguardo maschile, penso che il terribile paradosso che caratterizza l’oggi sia l’inconsapevolezza delle donne. Come se la manipolazione avvenisse in modo talmente subdolo e inconscio da illudere le stesse di avere qualche potere decisionale in merito al modo di apparire e rappresentarsi; quando invece, il fatto stesso che lo specchio abbia ceduto il passo allo smartphone, evidenzia la necessità di adeguarsi a un modello patriarcale.
Secondo te, in queste dinamiche se e quanta responsabilità hanno le donne?
Mi pare evidente che le donne non abbiano molta voce in capitolo, in capitolo in quanto vittime di un sistema di cui, come dicevo, molte non si rendono proprio conto.
In base alla tua esperienza all’estero, ritieni che sia un fenomeno globale o solo occidentale?
Direi globale. Per quanto in Africa o in Cina gli stereotipi di riferimento possano essere diversi, ritengo che siano sempre aderenti a dei canoni maschili. Poi i social hanno contribuito alla diffusione dei modelli occidentali. Mi sembra una sorta di epidemia globale da cui nessuno può realmente sfuggire.
Al di là dell’apparire, entrano in gioco dinamiche psichiche profondissime?
Sì, l’apparenza è solo la punta dell’iceberg, poi la dinamica è profondissima.
Quale potrebbe essere un primo passo per impostare un cambiamento?
Secondo me, per quanto le donne cerchino di emanciparsi, servirebbe un cambiamento a livello culturale da parte degli uomini; solo allora lo specchio andrà metaforicamente in frantumi, lasciando libere le donne di vivere serenamente con tutte le loro imperfezioni.

Quanto conta il rapporto con i genitori?
Penso sia essenziale nell’impostazione del cambiamento culturale. I bambini di oggi saranno gli adulti di domani, quindi se li si cresce liberi da stereotipi, piano piano si formeranno generazioni davvero nuove.
Da qui la domanda sorge spontanea: a chi è rivolto il tuo progetto?
A tutti, uomini e donne. Con particolare attenzione ai giovani, per cui cerco di presentarlo nelle scuole.
È interessante notare la tua scelta di affrontare un tema di genere con due uomini…
Esatto, Francesco Rombaldi, curatore e Simoni Bioni, critico. Due uomini MBEB – Maschi Bianchi Etero Basic, che hanno risposto ottimamente, mettendosi molto in discussione.
Per concludere, si tratta di un progetto finito o in fieri?
Per quanto lo consideri concluso, sono interessata all’evoluzione tecnologica. Quindi, soprattutto per l’ultima parte realizzata con l’AI non escludo possibili evoluzioni.
Quali sono le prossime tappe?
Dopo Roma la mostra volerà in Olanda, dove inaugurerà il 18 luglio 2025 al Mu hybrid art house. Nel frattempo, il 10 giugno ho presentato alcune opere al Careof come finalista del Premio Mila per la Fotografia Contemporanea.
Ludovica Palmieri
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