Ambientalismo ed empatia nella toccante mostra di Sheng-Wen Lo a Torino
Inserita all’interno dell’ultima edizione della rassegna fotografica Exposed, la mostra personale dell’artista taiwanese Sheng-Wen Lo apre un interessante dibattitto sull’indole prevaricatrice dell’essere umano parlandoci di antropocene, di educazione alla sostenibilità, e di tutela dell’ambiente

Il secondo giro di boa del festival torinese dedicato alla fotografia contemporanea, Exposed, si appresta a volgere al termine registrando un’edizione meno convincente e più sottotono e di quella precedente. Ad attestarlo sono sia il numero ridotto dei progetti selezionati, e delle relative sedi espositive (28 mostre temporanee in 23 location nel 2024 rispetto alle 12 ospitate in 7 luoghi specifici), sia la qualità complessiva degli allestimenti. In particolar modo ci si riferisce a quelli pensati per l’Accademia Albertina che, caratterizzati da un certo sapore naive – proprio di una classica mostra di fine anno accademico – hanno fortemente penalizzato il lavoro degli artisti invitati. Su tutte, Running Fast – Senses Off, di Lisa Barnard, e Décalquer di Georges Senga, in collaborazione con il museo MAO di Torino.
Perplessità e conferme di Exposed 2025
Che alla base di queste delusioni vi sia un impiego di fondi diverso da quello riservato alla prima edizione è purtroppo una constatazione palese: una decisione che, spacciata per scelta inclusiva di garantire accessi gratuiti per chiunque, ha di fatto risolto il “problema” dei costi di mantenimento delle biglietterie (e dei guardasala) stabilendo orari di apertura delle mostre particolarmente limitate e limitanti. Ciononostante, la rassegna ha per fortuna avuto modo di presentare esposizioni di un certo spessore come la sontuosa – e a tratti non priva di una certa retorica – retrospettiva che le Gallerie d’Italia hanno dedicato a Carrie Mae Weems, la mostra collettiva sulle intelligenze artificiali alle OGR, e il sorprendente contributo del taiwanese Sheng Wen-Lo (Kaohsiung, 1987) all’Archivio di Stato di Torino, in Piazza Castello.

L’incisiva mostra di Sheng Wen-Lo
Intitolata Not Bad Intentions. Attempts to Coexist, la personale di Lo interroga lo spettatore sulla possibilità di coesistere con gli altri esseri viventi restringendo sempre più quella visione antropocentrica che inevitabilmente caratterizza la nostra specie. Attraverso la selezione di tre progetti importanti, il giovane artista taiwanese (classe 1987) si è avvalso di medium differenti – dalla fotografia al video, passando per installazioni e approcci partecipativi – per porre l’attenzione tanto sulle conseguenze dello sfruttamento animale (nonché ambientale) da parte dell’essere umano quanto su quelle plausibili soluzioni alternative atte ad arginarne le criticità.
Il percorso espositivo della mostra di Sheng Wen-Lo
Curata da Daria Tuminas, l’esposizione invita lo spettatore ad addentrarsi dapprima all’interno di Matter of Scale: una sorta di antro nel quale videoproiezioni, contributi audio, e reti da pesca dismesse (donate dalla ONG italiana, Ogyre) svelano tutte le contraddizioni insite nell’hype dell’alghicoltura. Da qualche anno a questa parte, soprattutto in Occidente, la coltivazione delle alghe è stata infatti considerata come una pratica altamente green che ha attirato l’attenzione di scienziati, designer, imprenditori e attivisti. Seppure le alghe possano portare a benefici di un certo tipo (si pensi alla loro capacità di catturare e immagazzinare efficacemente il carbonio, o al loro alto valore nutrizionale), un certo tipo di coltivazione scorretta, su scala industriale, può implicare tutta una serie di alterazioni ecologiche non indifferenti. Attento alla sostenibilità, nonché alla tutela delle altre specie viventi, è anche Down, un lavoro di una certa nobiltà che suggerisce la percorribilità di una strada diversa per garantire la protezione dei nostri corpi senza però impattare sulla sofferenza animale. Al centro della serie di opere vi è infatti la decisione di Lo di produrre e autocostruirsi un piumino funzionale raccogliendo, e lavorando in step successivi, piume d’oca trovate in giro per i Paesi Bassi.

L’opera di Sheng Wen-Lo come pratica di educazione al rispetto dell’altro
A concludere la mostra è il progetto a lungo termine White Bear rivolto al penoso sfruttamento degli orsi polari da parte di zoo e di strutture di tutto il mondo. Tramite video documentativi, fotografie, e opuscoli vari, viene così rivelata la faccia oscura dell’intrattenimento turistico: un settore che fa leva sul fascino di certi animali per alimentare avvilenti processi capitalistici. In quest’ultimo progetto di Sheng Wen-Lo si ha modo di guardare con i propri occhi il forte disagio che segna tristemente la vita di quelle creature costrette a vivere in spazi artificiali del tutto inadeguati per il solo compiacimento di visitatori e di impresari senza troppi scrupoli.
Nel caso di Lo, l’approccio didascalico si fa strumento indispensabile per affrontare personalmente una problematica urgente nella speranza che possa insegnare qualcosa di utile e necessario per la salvaguardia di tutti coloro che, insieme a noi, vivono su questo Pianeta.
Valerio Veneruso
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