Le opere cangianti di Valerio D’Angelo in mostra a Roma

Il materiale d’elezione di Valerio D’Angelo è lo stesso con cui si realizzano le visiere degli astronauti: la pellicola dicroica permette all’artista romano di realizzare opere dai colori costantemente mutevoli

Dopo avere scaldato i motori con una installazione nello Spazio Supernova a Trastevere, Valerio D’Angelo (Roma, 1993) è protagonista di una mostra personale alla galleria di Valentina Bonomo. La sua ricerca artistica è una combinazione di sperimentazione audace e precisione tecnica, che mette a frutto anche la sapienza acquisita nel campo del restauro.

La mostra di Valerio D’Angelo a Roma

D’Angelo utilizza con agilità il vetro riflettente e la pellicola dicroica (la stessa con cui sono fabbricate le visiere degli astronauti), sfruttando la luce per modellare lo spazio. Posta dietro superfici di vetro lisce o frantumate, bruciata, la materia riflettente è esplorata nelle sue potenzialità. Ma l’opera di D’Angelo non si esaurisce nel campo dell’arte materica, perché trova suggestioni e suscita interrogativi nell’ambito della filosofia della scienza. Di qui il titolo della mostra Too far for light to travel, che allude al limite fisico che può essere attraversato dai fotoni, pari a 15 miliardi di anni luce. Questo il confine dell’universo osservabile, e dunque della nostra conoscenza empirica. La sua installazione con sette grandi colonne trasparenti, rivestite all’interno dalla pellicola dicroica, rappresenta un esempio evidente di questo processo, in cui l’opera coinvolge lo spettatore, facendolo interagire con l’ambiente espositivo in modi sorprendenti. 

Valerio D'Angelo, Too far for light to travel, installation view at Valentina Bonomo, Roma, 2024. Photo ©Paolo Amadei
Valerio D’Angelo, Too far for light to travel, installation view at Valentina Bonomo, Roma, 2024. Photo ©Paolo Amadei

Le opere di Valerio D’Angelo da Valentina Bonomo

I quadri esposti alle pareti presentano una superficie dalle cromìe cangianti che può essere esplorata solo abbandonando la classica visione frontale dell’opera e modificando il punto di osservazione. Troviamo come la metafora di un mondo soggetto alla relatività e caratterizzato dalla continua evoluzione. La “sacralità” della luce, elemento attraverso cui l’universo si dà all’umana percezione, si manifesta in una composizione angolare di quadri riflettenti dai diversi colori che si riverberano sulle pareti, facendo pensare agli effetti luminosi delle vetrate nelle cattedrali gotiche. Lo spazio espositivo esce dai confini della galleria mediante la proiezione sulle pareti esterne di un’immagine che si forma ancora una volta dalla superficie manipolata della pellicola dicroica, ma su una scala così ampia da poter immaginare una costellazione ancora da esplorare.

Luca Vona

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