Antropocene e realtà virtuale. Intervista a Barney Steel

In che modo le tecnologie immersive possono aiutarci a comprendere il mondo animale e naturale? Lo abbiamo chiesto al co-fondatore del collettivo londinese Marshmallow Laser Feast, che esplora altre vie rispetto alla percezione umana

L’essere umano è un tutt’uno con l’ecosistema che abita. Lo sa bene l’artista inglese Barney Steel, co-fondatore e direttore creativo del collettivo londinese Marshmallow Laser Feast, che sfida la percezione umana con delle pionieristiche installazioni in realtà virtuale, rendendo visibili le invisibili connessioni che uniscono gli esseri viventi.

Marshmallow Laser Feast, We Live in an Ocean of Air, Saatchi Art Gallery Londra. Installation view, 2019. Courtesy of MLF
Marshmallow Laser Feast, We Live in an Ocean of Air, Saatchi Art Gallery Londra. Installation view, 2019. Courtesy of MLF

Cos’è il Marshmallow Laser Feast

Quelle create dai MLF sono esperienze cosiddette di embodiment: il loro primo lavoro in VR, In the Eyes of the Animal (2016), permette di assumere il punto di vista di un animale; Treehugger Wawona – premiato al Tribeca Storyscapes Award del 2017 – lascia entrare lo spettatore all’interno di un’antica sequoia, mentre l’ultima opera, We Live in an Ocean of Air (2018), mostra l’interconnessione tra uomo e natura attraverso il ciclo dell’ossigeno, tra albero e uomo. L’obiettivo è quello di innescare un cambiamento di prospettiva, abbracciando una visione meno antropocentrica, più orientata al rispetto della rete complessa di relazioni umane e non-umane che compongono l’ecosistema. Le loro installazioni, in tour mondiale senza sosta, sono attualmente in mostra al Museum WAVE di Seoul (fino al prossimo 17 settembre), al BBK Klima di Bizkaia, in Spagna (fino al 31 ottobre) e al Musée de la civilisation di Quebec City in Canada (fino al 4 gennaio 2024).

Barney Steel, ritratto. Courtesy of the artist
Barney Steel, ritratto. Courtesy of the artist

Intervista a Barney Steel

Con We Live in an Ocean of Air e le altre esperienze VR avete sfidato la sensorialità, mostrando che la convinzione di essere individui separati è in realtà un’illusione intrinseca alla percezione umana. Come possono le tecnologie immersive favorire la decentralizzazione dell’uomo nell’era dell’Antropocene?
È una bella domanda. In qualche modo la “percezione naturale” ci posiziona all’interno del nostro corpo, e per questo si può avere l’impressione che il mondo esterno sia separato da noi: non a caso, il più forte “confine visivo” è il confine della nostra pelle. In fondo, l’idea di essere un sé separato, da quella prospettiva, è completamente logica. Ma anche se la percezione naturale dà l’illusione della separazione, in realtà quando si guardano le cose attraverso la lente della scienza – a seconda di come si definiscono sé e gli altri – ci si inizia a rendere conto che tutte le cellule separate sono in realtà ecosistemi nidificati. Quindi si applica questa lente al proprio corpo e si inizia a zoomare: in realtà, dentro di te collaborano altre forme di vita, che hanno i loro piccoli confini di “sé”, è proprio come un ecosistema nidificato. Hai organi che funzionano quasi come una città. Per questo penso che le cose vadano osservate non attraverso la separazione, ma attraverso il modo in cui si connettono, attraverso le relazioni.

Il respiro è il filo rosso di We Live in an Ocean of Air: anche il buddismo tibetano trova nel respiro, il prana, il nucleo della “forza vitale”. Vedi molti punti di contatto tra il buddismo o altre filosofie orientali e la ricerca che svolgi con tecnologie immersive?
Sì, penso che ci siano numerosi paralleli. C’è un aneddoto del monaco buddista vietnamita Thích Nhất Hạnh che aiuta a rispondere a questa domanda. In pratica, sto parafrasando, se guardi una nuvola e gli dai un nome – diciamo che chiami la nuvola Jeff – poi quando la nuvola si trasforma in gocce di pioggia e scompare, dov’è andato Jeff? Si può seguire l’idea di Jeff in un fiume, che scorre attraverso il terreno, forse attraverso le radici di un albero e fino in una mela, e poi, quando si mangia la mela, allora è interessante chiedersi “beh, dov’è Jeff?”. Queste idee possono essere comunicate attraverso il linguaggio, o attraverso una sorta di “meditazione a occhi aperti”, portando le persone in un’esperienza multisensoriale.

Marshmallow Laser Feast, We Live in an Ocean of Air, Saatchi Art Gallery Londra. Installation view, 2019. Courtesy of MLF
Marshmallow Laser Feast, We Live in an Ocean of Air, Saatchi Art Gallery Londra. Installation view, 2019. Courtesy of MLF

La realtà virtuale e i limiti del linguaggio

In che modo la realtà virtuale può superare i limiti del linguaggio?
Quando cerchi di descrivere il sapore di una mela, è davvero difficile: non puoi ridurre la sensazione in parole. il linguaggio attiva l’immaginazione senza mai avvicinarsi del tutto alla “cosa reale”.
In questo caso, la relazione tra scienza e meditazione è fondamentale, perché più si scopre la scienza, più si va in profondità, più puoi iniziare a costruire l’immagine nella tua mente. Se, come in We Live in an Ocean of Air, si inizia a esplorare il viaggio del respiro – o cicli dell’acqua o cicli di nutrienti – come un ecosistema in cui tutto si connette, si può essere in grado di avere una visione più ampia, che spesso manca nella processo riduzionista della narrazione scientifica.

Quindi pensi che sia possibile promuovere un’empatia post-antropocentrica, tra uomo, natura, e animali, attraverso le esperienze immersive?
Penso all’empatia e alle relazioni come se fossero la stessa cosa: ad esempio, se ho un legame con il mio cane, ovviamente non lo mangerei mai, ma perché mi preoccupo del mio cane e non di quello di qualcun altro? È perché siamo uniti da tutte le esperienze che abbiamo avuto insieme. E questo avviene perché il legame non si crea sulla base di ciò che non vediamo o non percepiamo, ma grazie a ciò che sperimentiamo in prima persona. Probabilmente, se vivessimo in una società in cui si ha un contatto diretto con tutto ciò che consumiamo, vivremmo meglio.

La narrazione dell’interconnessione nella cultura contemporanea

Il sistema capitalista tende a considerare l’indipendenza come un valore assoluto. In realtà, a un’osservazione più attenta, l’interdipendenza è alla base di ogni individuo. Secondo te, qual è il ruolo dell’interconnessione nella società contemporanea?
La narrazione dominante all’interno di una cultura crea un filtro attraverso cui osservare il mondo e la infarcisce di “ipotesi invisibili”: una di queste è il mito della separazione. Se vedi il mondo da un punto di vista materialistico, allora percepirai te stesso come un individuo separato in competizione per le risorse. Di conseguenza, l’idea di agire nell’interesse personale significa agire nel miglior interesse (ovvero nel tuo, di quello della tua famiglia e delle persone a te più vicine). È su questo che si basa il punto di vista soggettivo, fatto delle storie che raccontiamo a noi stessi. Ma nella narrazione dell’interazione, “agire nel miglior interesse” si estende ai fiumi, agli oceani e al resto della biosfera. E in questo caso, “sentirlo” è molto diverso dal “saperlo”.

Quale direzione vedi per i prossimi sviluppi della tua ricerca? Hai qualche progetto che vorresti anticipare?
Abbiamo iniziato a esplorare questa idea di come sia essere una zanzara o una rana, o un’ora, o un albero. C’è molto da divertirsi con l’embodiment in realtà virtuale. Il punto è arrivare a capire che quello della percezione umana è solo uno dei modi per osservare il mondo, e nel momento in cui ne esci, puoi entrare nel corpo di un albero, di una cellula all’interno dell’albero, o nel micelio e nel regno fungino. Attraverso la realtà virtuale si ottiene davvero un senso di embodiment della vita non umana: ad esempio, come cambia la percezione del colore tra un essere umano e una libellula? E come cambia il tempo se la libellula percepisce la realtà a circa trecento fotogrammi al secondo rispetto alla nostra specie, che elabora sessanta fotogrammi al secondo? La nostra sensibilità al suono e al tempo è davvero fluida, e dipende dal nostro corpo. Esplorare questi temi rivela che le percezioni umane sono minuscoli spicchi all’interno di uno spettro enorme.
C’è un altro progetto che stiamo finendo in questo momento: un viaggio “fuori dal corpo”  all’interno del proprio corpo. La struttura è invisibile, ma come il respiro colpisce il flusso sanguigno, si ramifica in tutte le direzioni attraverso i vasi sanguigni principali e poi fino al cervello, e giù alle braccia e nelle dita.

Laura Cocciolillo

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Laura Cocciolillo

Laura Cocciolillo

Laura Cocciolillo (Roma, 1997), consegue la laurea triennale in Studi Storico-Artistici presso la Sapienza di Roma. Si trasferisce poi a Venezia, dove consegue la laurea magistrale in Storia delle Arti, curriculum in Arte Contemporanea. Specializzata in arte e nuove tecnologie…

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