Intervista a Shilpa Gupta, in mostra all’Aquila insieme a Marisa Merz

Il MAXXI L’Aquila ospita il dialogo fra le opere di Shilpa Gupta e quelle di Marisa Merz. Abbiamo chiesto all’artista indiana di fare il punto sul suo lavoro

Il ronzio del ventilatore fa muovere le pagine del quaderno, dove cento individui hanno disegnato a memoria la mappa d’Italia. L’opera, dal titolo 100 Hand Drawn Maps of Italy (2021), fa parte del progetto 100 Hand Drawn Maps of My Country, iniziato nel 2007 e tuttora in corso, in cui le persone sono invitate da Shilpa Gupta (Mumbai, 1976) a disegnare a memoria la carta geografica del proprio Paese, tracciando una sorta di memoria collettiva in cui la percezione dei confini assume una valenza alquanto personale.
Un suono che sembra inseguire l’eco del rumore sordo delle due pietre che un dispositivo meccanico avvicina e poi allontana, non prima di averle fatte urtare energicamente. Anche nell’installazione Song of the Ground (2007), l’artista multidisciplinare indiana affronta il tema della fragilità dei confini creati artificialmente dalla mano dell’uomo, utilizzando le pietre che ha preso nel fiume Tista, al confine tra India e Bangladesh. Un altro suono è lo scatto automatico del tabellone che un tempo veniva usato per segnalare gli orari di partenze e arrivi nelle stazioni ferroviarie (24:00:01, 2010-12), in cui la casualità determina la scrittura di una sorta di “poema del quotidiano” fatto di numeri e parole che solo raramente si combinano in frasi comprensibili. Per il resto, nella mostra visibileinvisibile a dominare è il silenzio. La doppia personale, realizzata sotto la direzione artistica di Bartolomeo Pietromarchi e la curatela di Fanny Borel in collaborazione con la Fondazione Merz, che ha inaugurato la stagione espositiva del 2023 del MAXXI L’Aquila a Palazzo Ardinghelli vede le opere di Shilpa Gupta, nota al livello internazionale per aver esposto nelle più importanti rassegne d’arte (tra cui la 58esima Biennale di Venezia, la Biennale di Kochi-Muziris, la Biennale di Sharjah, la Biennale di Lione, la Biennale di Gwangju, la Triennale di Yokohama), in dialogo con quelle di Marisa Merz (Torino, 1926-2019), unica rappresentante femminile dell’Arte Povera e Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia nel 2013.
Un silenzio eloquente, pregno di significati, come nell’opera Rejected Sand Clocks (2023), dove lo scorrere della sabbia all’interno di clessidre di vetro soffiato segna il tempo indefinito dell’inconscio. Nell’esplorare concettualmente il continuo sconfinamento tra visibile e invisibile, Gupta affronta anche il tema della censura (recentemente è stato pubblicato il libro For, In Your Tongue, I Cannot Fit, di cui è coautrice con Salil Tripathi), del controllo e del potere, invitando lo spettatore a un confronto consapevole. Come nell’opera Untitled (From 6,10.3, 2 series), nata durante il confinamento della pandemia: riflettersi nel piccolo specchio che riprende la forma dell’occhio dell’artista significa forzare lo sguardo nella percezione di una parte di sé che entra nel tutto.

Shilpa Gupta, L'Aquila, 2023. Photo Manuela De Leonardis

Shilpa Gupta, L’Aquila, 2023. Photo Manuela De Leonardis

INTERVISTA A SHILPA GUPTA

Nella tua poetica dichiaratamente politica è centrale il tema della memoria. In che modo il subconscio si confronta con la percezione della memoria in sé?
Potrei fare un esempio, in relazione al concetto di nazione, parlando del fatto che sono nata e cresciuta a Bombay. A come ciò cambi sensibilmente, diventando sfocato, man mano che ci sposta fuori dalla città, dove invece è molto forte soprattutto associato all’idea di potere. Mi interessa il fatto che ci si aggrappi a una memoria che è molto soggettiva. Una memoria che cambia in base a chi la deve difendere, a chi ha il potere di pubblicare certe immagini o cancellarle, alla relazione con il luogo stesso. La stessa immagine può avere una diversa relazione nella proiezione delle cose.

Tornando a Mumbai (Bombay), quanto ha influito nel delineare il tuo immaginario l’essere nata e cresciuta in questa megalopoli, dove vivi tuttora?
Ha influito in molti modi, a partire dalla scuola che ho frequentato, la Sir J.J. School of Art. Una scuola Parsi cosmopolita che ha scelto proprio di difendere questa sua caratteristica di scuola mista. Bombay è una città molto diversa da New Delhi. È una città di migrazione. Ancora oggi quotidianamente arrivano centinaia di persone che scendono dai treni. Anche i miei nonni, sia materni che paterni, provengono tutti da diversi luoghi del Nord del Paese. Bombay è in continuo cambiamento. Nel quartiere dove vivo ci sono quattro chiese, alcune moschee e diversi templi. Camminando per strada si sentono parlare lingue diverse: è tutto mescolato, ibrido e ciò è andato a confluire nel dialetto Bombay Hindi. Nell’aria si percepisce sempre il desiderio di realizzare un sogno. Non nella città in sé, ma nell’idea di vicinanza e mescolamento di culture, d’interazione quotidiana con le persone a diversi livelli. Il mio sogno, in un certo senso, è stato distrutto con gli attacchi terroristici del 1992 e 2002.

“Arte di tutti i giorni” è una definizione che tu stessa hai dato al tuo lavoro. Come si combina il quotidiano con l’intersoggettività?
La definisco “arte di tutti i giorni” perché non amo che sia costretta all’interno di una sola definizione, come forse qualcuno vorrebbe. In questa maniera sono autorizzata a dire che è un’arte che appartiene a tutti. Non ha limiti. L’intersoggettività, in questo modo, dà forma al lavoro ed è dettata dalle nostre scelte, che certe volte sono casuali. La vita è costantemente fluida e anche noi cambiamo in relazione agli altri. Questo è il senso della relazione con l’intersoggettività: qualcosa che non è monolitico.

Shilpa Gupta, Untitled (From 6,10.3, 2 series), 2021. Courtesy Galleria Continua

Shilpa Gupta, Untitled (From 6,10.3, 2 series), 2021. Courtesy Galleria Continua

LE OPERE DI SHILPA GUPTA

A proposito di quotidiano, in mostra sono esposte alcune opere ‒ tra cui Untitled (From 6, 10.3, 2 series), Distance between two tears e Untitled (Feet cluster) ‒ che hai realizzato durante la pandemia. È stato un periodo difficile per te?
Nella mia famiglia ci sono molti anziani, in particolare mio suocero, e per proteggerli abbiamo dovuto seguire un rigido confinamento per non rischiare di essere contagiati dal virus. Un periodo di isolamento che è stato veramente lungo. L’opera Untitled (Feet cluster) esprime quel senso di impossibilità a muovermi. Trascorrevo il mio tempo nello studio. La tensione era quella di essere fisicamente in un luogo, ma con la mente altrove. Era come vedere se stessi da fuori. In quel periodo ho lavorato anche alla parte finale del libro For, In Your Tongue, I Cannot Fit, che pure parla di confinamento.

Distance between two tears è un’opera particolarmente poetica che, a mio parere, sintetizza la tensione di cui parli.
Hai presente il momento in cui piangi e poi noti le lacrime che sono scese? Quest’azione dà la possibilità di vedere la distanza tra se stessi e l’emozione che si prova nel piangere. È come trovarsi contemporaneamente in due posti diversi.

Un po’ come in Untitled (Shadow 3), dove l’ombra stessa dello spettatore diventa parte dell’opera?
Sono sempre interessata a ciò che vediamo con la costante insinuazione del dubbio. Inoltre, quando ho realizzato quest’opera, nel 2006-07, in India l’aspetto tecnologico ‒ il digitale ‒ era una novità. La forma dell’ombra, in Untitled (Shadow 3), indica che non siamo come appariamo. C’è sempre un insieme di diversi elementi e, come mi ha detto la psicologa Mahzarin Banaji, quando l’ho incontrata nel 2009, il 90% delle nostre azioni sono condizionate dal nostro inconscio.

Manuela De Leonardis

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Manuela De Leonardis

Manuela De Leonardis

Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Dal 1993 è iscritta all’Ordine dei giornalisti del Lazio e dal 2004 scrive di arti visive per le pagine culturali del manifesto e gli inserti Alias, Alias Domenica, ExtraTerrestre.…

Scopri di più