La mostra che mette in dialogo l’artista Nicola Samorì e il Sassoferrato

Dieci dipinti inediti dell’artista secentesco detto il Sassoferrato sono accostati alle opere dell’artista contemporaneo Nicola Samorì nella mostra allestita al Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato, in provincia di Ancona

Non vi è segno che come un rosario non chiami una intera categoria di segni a svelare la geologia dei nostri gesti”, confida ad Artribune Nicola Samorì (Forlì, 1977), in occasione della settantunesima edizione della Rassegna Internazionale d’Arte | Premio G. B. Salvi, che inaugura ‒ a Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato, in provincia di Ancona ‒ la mostra SALVIFICA, Il Sassoferrato e Nicola Samorì, tra rito e ferita. Si tratta del premio italiano più longevo dopo il Michetti di Francavilla al Mare e la Biennale di Venezia, ideato dai cittadini nel 1951 per rilanciare l’arte del secondo dopoguerra.

Nicola Samorì, La logica del sasso, 2022, olio su onice, 40x30 cm. Courtesy l'artista

Nicola Samorì, La logica del sasso, 2022, olio su onice, 40×30 cm. Courtesy l’artista

LA MOSTRA A SASSOFERRATO

La rassegna, a cura di Federica Facchini e Massimo Pulini, fa dialogare le opere di Samorì, con dieci dipinti inediti di Giovanni Battista Salvi, (Sassoferrato, 1609 – Roma, 1685).
Il confronto tra Samorì e Salvi, detto il Sassoferrato, è stato suggerito dalla comune vocazione per la ripetizione, l’estasi moltiplicatoria delle figure, l’elevata tenuta stilistica, una vaga indifferenza per lo scorrere del tempo, l’attenzione per i soggetti sacri.
Di qui in poi, il colloquio muta in duello: Salvi è detto l’imperturbabile, Samorì il perturbante. Salvi fu filosofo della pittura ove Samorì nasce saggiatore della scultura. Salvi fu l’eccezione del suo tempo: minimalista fra i grandi del Barocco, trascorse la propria vita nel “tentativo di potare tutte le ramificazioni enfatiche delle forme” (Pulini). Samorì va oltre. Come egli stesso afferma, fa i conti con “un virus ricorrente, che accompagna le forme stabili verso una crisi di identità”.

SALVIFICA – Il Sassoferrato e Nicola Samorì tra rito e ferita, exhibition view at Palazzo degli Scalzi, Sassoferrato (AN). Ph. Michele Alberto Sereni

SALVIFICA – Il Sassoferrato e Nicola Samorì tra rito e ferita, exhibition view at Palazzo degli Scalzi, Sassoferrato (AN). Ph. Michele Alberto Sereni

SAMORÌ E SASSOFERRATO A CONFRONTO

Salvi può dirsi solare, quanto lunare Samorì. Nulla di più netto e lineare in Salvi, nulla di più tacitamente contorto in Samorì. Salvi prepara le sue tele ad accogliere la visione, Samorì lancia al fruitore un’affilata sfida gettando il guanto. Il dialogo si complica con la percezione che, pur conscio dell’impossibilità di sfuggire dal presente, Samorì ha uno sguardo retrospettivo, teso proprio a quel Seicento italiano dal quale sorse anche Salvi, con il Guercino, i Carracci, Guido Reni e quel suo maestro impossibile che fu Giuseppe Maria Crespi.
A un occhio ignaro, poi, gli oli su onice di Samorì appaiono ben più antichi delle tele di Salvi. Frammenti affiorati da un altrove ignoto. Crepe e fenditure sono invece volute, ma non per questo beffarde. C’è la ricerca di uno stato di grazia che miri a vincere il turbamento della pietra. E, se in Salvi accade quella resurrezione dei volti mancanti in Samorì, in questi il dissolvimento contemporaneo ha qualcosa di grave e di ulteriore da dire: lungo l’iter un Busto di Vergine con mano al petto di Salvi è incalzata dalla stessa Vergine sfigurata dell’artista emiliano. Lo scavo sotto a quel volto rivela, in Samorì, una lacrima salvifica che Salvi, forse per seicentesco decoro, tacque.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma, completando i propri studi con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design di…

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