La mostra di Daniele Sigalot in una fabbrica metalmeccanica piemontese

Inaugurata in una fabbrica metalmeccanica a Ornavasso, sul Lago Maggiore, la WEM Gallery accoglie l’ironica riflessione di Daniele Sigalot, che per la prima volta si cimenta pure con la performance

S’intitola Out Of Place la mostra di Daniele Sigalot (Roma, 1976) nel nuovo spazio espositivo WEM Gallery sul Lago Maggiore. Si tratta di un dialogo tra la produzione concettuale dell’artista e la start-up dell’imprenditore Marco Bracaglia di MEW ‒ Magistris & Wetzel SpA, specializzata nella produzione di assemblati metalmeccanici, nonché direttore della galleria.
Un sodalizio che dura dal 2017, da quando Sigalot realizza in fabbrica le opere per la mostra Tutto è già Vostro alla Reggia di Caserta, e nasce così l’idea dell’imprenditore di investire in progetti di arte contemporanea, tra produzione e promozione, come il programma di residenze d’artista. Out Of Place, letteralmente “fuori luogo”, dal momento che la mostra è allestita in una fabbrica metalmeccanica attiva da settant’anni, rappresenta allo stesso tempo anche la celebrazione di un percorso condiviso che consente al visitatore di comprendere (e magari di osservare) le fasi di produzione di un’opera fino al prodotto finito. Un modus operandi in cui la visita diventa esperienza.

Daniele Sigalot, Clearly not a paper boat. Ph. Zima Studio. Courtesy the artist, WEM

Daniele Sigalot, Clearly not a paper boat. Ph. Zima Studio. Courtesy the artist, WEM

LA MOSTRA DI DANIELE SIGALOT A ORNAVASSO

La mostra di Daniele Sigalot, a cura di Sonia Belfiore, si estende lungo i 1000 metri quadrati della WEM Gallery. A partire dall’ingresso, si scorgono le prime opere, tra cui alcune novità nella produzione dell’artista romano. Alcuni origami, infatti, emblemi di fragilità e bellezza, ripropongono uccelli, unicorni e barchette, anche all’aperto, come a sfidare la fragilità della “carta” contro gli agenti atmosferici. Non molto distante c’è la serie fotografica Superficial, in cui l’artista associa performance e fotografia in Fine Art Print; si tratta di shooting realizzati in vari luoghi d’Italia in cui il colore vivo del fumogeno che emerge dal mare contrasta i colori del paesaggio circostante, suscitando così interpretazioni disparate.
La main room ricorda un white cube in cui si alternano alcune opere di punta della produzione di Sigalot. Centinaia di paper plane si perdono improvvisamente in volo sulle pareti della galleria, mentre una serie di fogli di alluminio prendono forma armonicamente per Inconsistently Logical, mandala giganti dalle sfumature cromatiche che vanno dal blu al bianco. Già esposta lo scorso febbraio alla Galleria Nazionale di Roma, Master of Mistakes, posta al centro della main room, è un catalizzatore di idee solitarie abbandonate su fogli bianchi di alluminio in scala 1:1.
A rendere il percorso ancora più ironico e paradossale, in fondo alla sala c’è un’opera piccolissima: un post-it rosso che recita “Nothing Really Meaningful Here” (Non c’è nulla di importante qui), affisso su una parete bianca lunga circa 11 metri. Confondendo ancora una volta lo spettatore, con Bipolar Colors alcuni neon colorati affissi in una sala dedicata gli ricordano di non prendere seriamente il lavoro dell’artista.

Daniele Sigalot, Inconsitently Logical and Master of Mistakes. Courtesy the artist e WEM. Photo Zima Studio

Daniele Sigalot, Inconsitently Logical and Master of Mistakes. Ph. Zima Studio. Courtesy the artist, Williams Tattoli e WEM

SIGALOT E LA PERFORMANCE

A conclusione del percorso si incontrano due produzioni che delineano il lato più riflessivo e nomade di Sigalot: le 12 mappe di 12 città incise al laser su lastre di acciaio lucido realizzate nel 2021 in occasione della mostra A Portrait of Everyone, Everywhere all’Aeroporto di Milano-Malpensa, in cui chiunque può riflettere la propria immagine che trova nuova forma nella mappa di turno. E poi l’opera Enough, un countdown di 1000 anni, irreversibile, con cui Sigalot sfida umilmente la durata di un’opera. Infine, con Writer’s Block, per la prima volta l’artista si cimenta nel ruolo di live performer: in una sala attigua alla main room adibita a studio, lo scrittore resta inerme, incapace di trovare ispirazione per scrivere il prossimo progetto. L’artista viene così sopraffatto man mano dalle idee sbagliate, nonostante sia incitato in qualche modo da simboli, scritte e colori. Ma è quella stessa fase di apparente stallo la chiave di volta che gli permetterà di realizzare paradossalmente opere inattese e geniali.

Daniele Sigalot nello spazio WEM, main room, white cube. Courtesy the artist e WEM. Photo Zima Studio

Daniele Sigalot nello spazio WEM, main room, white cube. Ph. Zima Studio. Courtesy the artist, Williams Tattoli e WEM

L’INTERVISTA CON DANIELE

Con Writer’s Block ti sei lanciato nel mondo delle live performance. Come mai questa scelta?
Molti dei miei lavori tendono a giocare con la pomposità del mondo dell’arte e mi sembrava di cattivo gusto escludere il settore della performance. La scelta di affrontare il blocco dello scrittore ha una natura duplice: la prima è autobiografica, visto che da sempre mi piacerebbe cimentarmi con la scrittura, ma, essendo forse la più faticosa delle arti, preferisco accartocciare 3000 fogli di alluminio e appagare i miei disturbi ossessivo-compulsivi con le installazioni. La seconda, invece, è una riflessione su come tutti oggi siamo in qualche maniera costretti a esercizi di creatività che spesso inibiscono e per i quali, magari, non siamo mai stati portati. Vogliamo postare una foto, ma non ci viene una frase adatta per accompagnarla, e quello è un micro-blocco dello scrittore secondo me. L’esposizione universale che i social ci danno costringe tutti a essere brillanti.

Sottende in qualche modo alla paura di essere giudicati?
Sì, questo lavoro racconta anche questa paura, di essere giudicati anche in un minuscolo esercizio di scrittura che può essere quello di un post. E poi ovviamente mi andava di condire il tutto con un ambiente strampalato, carico di dettagli: dalla tenda con gli incipit di 35 capolavori letterari da Cent’anni di solitudine a Fantozzi, la tazza piena di caffè sulla quale viene ripetuta ossessivamente la parola “pressure”, la texture di lampadine sul muro pazientemente realizzata con uno stencil dalla mia compagna, o dal grande tappeto con la mega-lampadina altrettanto pazientemente realizzato dalla sorella della mia compagna. Tutti elementi volti a reiterare la costante necessità di dover essere brillanti, simpatici, intelligenti, profondi. Sempre. Una fatica, no?

Oltre alla storica produzione che delinea la tua cifra, le performance saranno parte del tuo processo creativo anche in futuro?
Ti confesso che con questa forma di espormi nascondendomi, mi ha molto divertito! Non sentivo nulla perché avevo la musica di Thelonious Monk nelle orecchie, e non vedevo nulla, coperto con 27 chili sulle spalle per più di un’ora. Quest’ultimo aspetto infatti, mi preoccupava, ma il tempo è scivolato via sorprendentemente meglio di quanto avessi sperimentato durante le prove nei giorni precedenti. Quindi non escludo di esplorare più in là questa frontiera che ho appena attraversato. Intanto tra i progetti futuri oltre a dormire una settimana, dopo tutto questo lavoro, parteciperò con WEM ad “Arte in Nuvola” a Roma, e poi per il 2023 dovremmo esporre con il patrocinio del Parlamento le mappe di acciaio a Palazzo Valdina, uno spettacolare chiostro che fa da costola a Montecitorio. Spero di poter esporre anche a Napoli, dove teoricamente ancora vivo e lavoro. Ma su questo punto la scaramanzia locale mi impone un silenzio assoluto!

Fabio Pariante

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Fabio Pariante

Fabio Pariante

Docente e giornalista freelance, è laureato magistrale in Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea con tesi in Studi Interculturali dal titolo "La Primavera Araba nell’era del web 2.0: il ruolo dei social network". Nel 2011, con il patrocinio della…

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