Ai Weiwei a Vienna. “Un omino piccolo così” alla ricerca dell’umanità

“Tutto è arte, tutto è politica”. Questo il motto che ha ispirato l’artista cinese in una retrospettiva mai così ampia, a volte poetica, a volte sorretta da dotte sfumature culturali. Tutt’altro di un déjà-vu

Un titolo affascinante come Ai Weiwei. In Search of Humanity, per una mostra ambiziosa; è la vasta retrospettiva in corso a Vienna proposta dal grande artista cinese, e curata da Dieter Buchhart Elsy e Lahner Works. Sono oltre 140 le opere in esposizione, grandi, gigantesche o piccole, installate a terra o a parete, massimamente eterogenee nei materiali, vincolate a una tematica esorbitante. Le opere non ripropongono ma rielaborano in compendio una buona parte degli storici eventi espositivi dell’artista. Opere analitiche e un vissuto autobiografico, per accentuare in ogni lavoro il punto focale sull’indagine umanistica.
Sostiene Ai Weiwei (Pechino, 1957): “Il mio lavoro riflette sempre la mia condizione di vita”. Precisando di voler esercitare “la comprensione filosofica di chi è l’uomo e di cos’è l’umano”. Concetti guida volti a processare la condizione umana al pari di una scienza fenomenologica. Traspare inoltre una certa attitudine a confrontarsi con la cultura tedesca, da lui ben saggiata, viste le sue numerose, importanti realizzazioni artistiche site specific in Germania e Austria, in particolare Kassel e Vienna, ma non solo. Non gli sono estranei, per esempio, certi punti di riferimento come Hegel, Goethe o Wenders.

Ai Weiwei, Assange‘s Treadmill, 2017, Metal, plastic, rubber, Private Collection, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio © 2022 Ai Weiwei

Ai Weiwei, Assange‘s Treadmill, 2017, Metal, plastic, rubber, Private Collection, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio © 2022 Ai Weiwei

AI WEIWEI. MOLTO PIÙ DI UNA RETROSPETTIVA

Non sembra esserci una ragione che giustifichi la presenza di un tapis roulant da allenamento, installato qualche decina di passi oltre l’ingresso della mostra. Si presenta come ready-made di uso sportivo, doppiamente inappropriato al profilo del titolare dell’esposizione. Basta però leggere la scheda che lo accompagna, fare per un attimo mente locale, e una scossa d’adrenalina te la senti arrivare! Ciò che ti sta a pochi centimetri – e che puoi cercare di toccare – è l’autentico attrezzo da ginnastica usato dal giornalista e attivista australiano Julian Assange, per ovviare all’inattività fisica nei cinque anni in cui è stato rintanato in una stanza dell’ambasciata ecuadoriana per scampare alla vendetta del governo statunitense per le arcinote rivelazioni. Al tempo stesso l’oggetto testimonia l’illusione di fuggire sulle proprie gambe, correre fino allo spasimo, senza avanzare neppure di un metro.
Che altro è un tale stato di cose se non un interminabile “falso movimento”? Che, per combinazione, fa eco al titolo di uno dei migliori film di Wenders. Non per nulla, il protagonista del plot era un omonimo del personaggio goethiano Wilhelm Meister, anche costui in cerca di una propria ragione esistenziale di fronte all’umanità.

Ai Weiwei, Dropping a Han Dynasty Urn, 1995, Black & white photographs (triptych), Private Collection, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio © 2022 Ai Weiwei

Ai Weiwei, Dropping a Han Dynasty Urn, 1995, Black & white photographs (triptych), Private Collection, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio © 2022 Ai Weiwei

LA VITA DI AI WEIWEI

Chi è veramente Ai Weiwei? Nato a Pechino nel 1957, artista visivo notissimo, ha alle spalle una carriera quarantennale durante la quale si è distinto come tenace attivista per i diritti umani, basando su di essi una buona parte del proprio lavoro. Nemico dichiarato del governo cinese, lui oggi vive esule in Europa. Il suo curriculum di perseguitato è iniziato già nell’infanzia, quando il padre Ai Qing, poeta e artista tra i più noti del tempo, critico verso il regime politico cinese durante la Rivoluzione Culturale di Mao, fu bandito insieme a tutta la sua famiglia, costretta così a vivere in condizioni umili in un campo di lavoro nella provincia dello Xinjiang.
Nel 1975, poco prima della morte di Mao, Ai Qing verrà riabilitato, potendo tornare a Pechino. Nel 1978 il figlio Ai, poco più che ventenne, s’iscriverà alla Beijing Film Academy. È l’epoca in cui per la Cina si apre la stagione di un nuovo corso politico di matrice capitalista, condotto dal partito comunista sempre saldamente al potere. Un momento che segna radicali trasformazioni economiche. Quindi ad Ai è concesso di andare negli Usa, ed è a New York che acquisirà una vera formazione artistica, attratto dalle tendenze dominanti e facendo dell’arte “uno stile di vita”.
Tornato in Cina nel 1993, ha davanti a sé un Paese cambiato, in preda a un’economica sfrenata che attua una indiscriminata distruzione di tradizioni millenarie. Ai reagisce impegnandosi a riscoprire il valore e la bellezza dell’artigianato, messi in pericolo dalla scadente produzione di serie. Comincia a raccogliere ceramiche neolitiche e mobili antichi, elevandoli ad esemplari concettuali, così inizia anche a incorporare nella propria produzione artistica le ataviche mitologie cinesi. Contemporaneamente, cura pubblicazioni clandestine favorendo il sorgere di un’avanguardia, il che significa mettersi automaticamente contro l’ortodossia del regime. Attraverso un blog aperto nel 2005, reclama la libertà d’espressione per il popolo cinese, denunciando la corruzione e la distruzione delle eredità culturali.

Ai Weiwei, Illumination, 2019, LEGO bricks, Courtesy of the artist, Photo_ Courtesy of the artist and Lisson Gallery © 2022 Ai Weiwei

Ai Weiwei, Illumination, 2019, LEGO bricks, Courtesy of the artist, Photo_ Courtesy of the artist and Lisson Gallery © 2022 Ai Weiwei

2011: AI WEIWEI ARRESTATO O SEQUESTRATO?

Quando oramai la sua carriera ha ricevuto riconoscimenti a livello mondiale, nel 2011 Ai subisce un agguato da parte di agenti politici cinesi, da lui stesso fotografati nel riflesso di uno specchio. Scena che in seguito l’artista ha ricostruito in un quadro di grande effetto cromatico, eseguito con i mattoncini Lego; titolo, Illumination. A margine, annotiamo che, con tale tecnica, in mostra ci sono altri quadri, tra i quali una virtuosistica riproduzione de Il ratto delle Leucippidi da Peter Paul Rubens, in cui Ai si è divertito a sostituire l’amorino – in alto a sinistra – con un piccolo panda.
L’arresto illegale dell’artista, in quanto privo di un’accusa formale, è stato probabilmente la causa della deportazione in una località segreta, senza diffondere notizie. Verrà liberato dopo 81 giorni solo grazie a una battente campagna internazionale contro i metodi repressivi dell’apparato governativo cinese.

Ai Weiwei, S.A.C.R.E.D. (i) S upper, 2013, 1 of 6 dioramas in fiberglass and iron, Courtesy of the artist and Lisson Gallery, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio and Lisson Gallery © 2022 Ai Weiwei

Ai Weiwei, S.A.C.R.E.D. (i) S upper, 2013, 1 of 6 dioramas in fiberglass and iron, Courtesy of the artist and Lisson Gallery, Photo_ Courtesy Ai Weiwei Studio and Lisson Gallery © 2022 Ai Weiwei

GLI 81 GIORNI DI PRIGIONIA DI AI WEIWEI

L’architettura scenica con cui l’artista racconta la segregazione del “prigioniero” – se stesso – emana un’atmosfera da teatro dell’assurdo, o del terrore. Con un’imponente installazione, Ai ha ricostruito il suo isolamento dal mondo attraverso sei diorami, ovvero ambientazioni tridimensionali in scala ridotta. All’interno di ognuno c’è il medesimo luogo di reclusione, in cui vi si rappresentano sei differenti rituali della detenzione. S.A.C.R.E.D. è il titolo dell’installazione dall’acronimo dei sei momenti solennemete eseguiti: Supper, Accusers, Cleansing, Ritual, Entropy, Doubt. Sono fermi-azione, per così dire, i cui figuranti sono cloni dei personaggi reali in dimensione ridotta: l’artista e i suoi guardiani in divisa verde, sempre in numero di due, che mantengono permanentemente e assurdamente sull’indiziato una distanza al di sotto di un metro, perfino nelle ore di sonno e durante le altre esigenze personali.
Ciò che è concesso al visitatore della mostra è di guardare all’interno delle celle tramite pochi e piccoli riquadri di vetro incastonati sulle pareti perimetrali. Altri carcerieri, naturalmente, possono monitorare l’ambiente dall’esterno mediante telecamere di sorveglianza. Strumento, che in altra sala Ai sarcasticamente “monumentalizza” in marmo, connotandolo come eroica sentinella del potere.

Ai Weiwei, In Search of Humanity, Exhibition view at Albertina Modern, Vienna 2022, Photo © Franco Veremondi

Ai Weiwei, In Search of Humanity, Exhibition view at Albertina Modern, Vienna 2022, Photo © Franco Veremondi

FUCK PERSPECTIVE: AI WEIWEI E L’OCCIDENTE

Destinata a restare impressa nella retina del visitatore c’è un’opera composita che beneficia, tra i vari elementi, di un’appariscente sequenza di lettere luminose al muro, a comporre la parola “Fuck”. Un’ installazione indubbiamente carica di acredine. Verso chi o cosa? Pare di capire, verso ogni istituzione politica che nel corso della storia abbia elaborato ideali che hanno funzionato anche come griglie di controllo rispetto all’istinto della libertà umana. La trama è introdotta da due beffarde sculture poggiate su basamento, identiche nella forma, differenti nei materiali. Sono il profilo umano di spalla e braccio proteso in avanti, culminanti con il pugno chiuso ad eccezione del dito medio.
Il gesto è rivolto verso la parete di fronte su cui sono esposte foto di edifici simbolo delle civiltà più emancipate, come la Tour Eiffel, la Basilica di San Marco, la Casa Bianca, e perfino Piazza Tienanmen. Il gesto irriverente ricompare poi in primo piano in ciascuna delle immagini fotografiche, ma, ambiguamente, come a volersene servire per dare proporzione e profondità ai monumenti sullo sfondo. Quando in realtà, il dito medio in sostituzione del pollice, è uno scherno alla tradizionale tecnica di rappresentazione dal vero. In ultima analisi, tali foto possiedono l’astuzia di poter essere lette come acida critica alla tematica del noto saggio panofskyano, La prospettiva come forma simbolica.

Ai Weiwei, Zodiac (Dragon), 2019, LEGO bricks, Private Collection, Photo_ The ALBERTINA Museum, Vienna _ Lisa Rastl & Reiner Riedler © 2022 Ai Weiwei

Ai Weiwei, Zodiac (Dragon), 2019, LEGO bricks, Private Collection, Photo_ The ALBERTINA Museum, Vienna _ Lisa Rastl & Reiner Riedler © 2022 Ai Weiwei

LO ZODIACO DI AI WEIWEI

L’etica e la creatività di Ai Weiwei marciano di pari passo nell’affrontare il campo di tensioni tra potere e individuo o gruppi etnici e sociali. Ai torna per esempio a rievocare il suo “grido umanitario”, lanciato a Vienna nel 2016 con l’opera galleggiante F Lotus, in memoria di quei tanti migranti che trovano miseramente la morte annegando nelle acque del Mediterraneo. Qui, riconverte l’installazione originaria semplicemente in una grande sfera di cristallo, trasparente come acqua, gravante su un accumulo di logori giubbetti salvagente. Un’opera compatta e drammatica, quanto poetica e ariosa è la costruzione di un grande albero “fittizio”, assemblato con svariati pezzi di alberi già morti, recuperati in vari luoghi. Così come appare pieno di aurea vitalità il “suo” fantastico zodiaco cinese, evocando visivamente e spiritualmente l’antichissimo patrimonio di tradizioni, miti e allegorie dei popoli che da millenni abitano la Cina.

– Franco Veremondi

Vienna // fino al 4 settembre 2022
Ai Weiwei – In Search of Humanity
ALBERTINA MODERN
Karlsplatz 5
https://www.albertina.at/

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Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

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