Giovani artisti e quarantena. Parola a Marco Vitale

Su cosa stanno lavorando da casa i giovani artisti in questa fase di transizione? Il virus della protesta brucia in America ma in Italia è solo un fuoco di paglia. Da Lecce abbiamo ascoltato Marco Vitale.

Quello di George Floyd è stato l’ennesimo omicidio razziale, aggravato dalla drammatica testimonianza andata in diretta sulle pagine di Facebook lo scorso 28 maggio. Quelle immagini, che in poche ore hanno fatto il giro del mondo, hanno cambiato il volto di Floyd in un’icona contemporanea, in un simbolo di lotta antirazziale alimentata dagli attivisti delle comunità afroamericane dei Black Lives Matter. Da New York a Houston al grido di “I can’t breathe” le prime e pacifiche manifestazioni si sono trasformate in atti di violenza, in una vera e propria guerriglia urbana diffusa, che ricorda le turbolente rivendicazioni civili e sociali portate avanti dal movimento rivoluzionario dei Black Panther Party, in quel fatidico 1968.
Mentre negli USA i razzi riprendono a volare, le disuguaglianze sono ancora ben radicate nella mente e negli atteggiamenti di molti, ma il virus della protesta non demorde e infiamma l’America di Trump. Passato il 3 giugno in Italia la politica riprende il suo palcoscenico e quella cittadinanza, che avrebbe dovuto manifestare e reagire per le violenze e i diritti negati di Carlo Giuliani e Federico Aldrovandi, ritorna in piazza con improbabili gilet arancioni, le ridicole magliette nere e i cori che inneggiano al negazionismo nei confronti del COVID. I nostri incontri terminano a Lecce con alcune riflessioni di Marco Vitale (Brindisi, 1992).

Marco Vitale, This Less is Gesture, performance, 2019. Photo Salvatore Pastore

Marco Vitale, This Less is Gesture, performance, 2019. Photo Salvatore Pastore

INTERVISTA A MARCO VITALE

Cosa ti ha lasciato questa quarantena?
All’inizio, rallentando il ritmo ristabilivo un’integrità, ma questa integrità doveva coesistere con la lettura di un numero nero che aumentava di giorno in giorno. Dunque, la prossimità di un senso di colpa: si crede inconcepibile rinsavire proprio durante una moria. La verità è che qualcosa, nel mondo, va parlandoci proprio per mezzo di queste antinomie. Poi, a un paio di settimane dall’inizio della quarantena, una mattina aprire le finestre e trovarsi al cospetto del più celeste dei cieli. Ricordo un pensiero venirne fuori spontaneamente: siamo di troppo; noi ci ammaliamo e lei, come risultato, esulta di vita. È stata una sensazione collettiva. Al sunto, ho visto ritornare una fortunata domanda contro la quale mi imbattei per la prima volta, per ragioni completamente diverse, alcuni anni fa, ovvero: come continuare a praticare arte pur essendo circondati dal deserto? E, tentando una risposta, non trovavo altra generosità che non coincidesse con la nostra corale riduzione al minimo.

A cosa lavoravi prima del blocco e quali sono i progetti futuri?
Avevo in piano un altro sopralluogo a Palazzo delle Esposizioni, dove in autunno presenterò una performance per la mostra a cura di Ilaria Gianni, parallela a La Quadriennale di Roma. Con Jamie Sneider organizzavamo una delle prossime residenze d’artista di Progetto, nella quale ospiteremo Aria Dean. Supportavo come tutor gli studenti di PIA, attività che ho continuato a svolgere dallo schermo. Ho curato, assieme ad Alice Caracciolo, la rassegna Starting Notes, che adesso ha preso la forma di libro. Lavoro inoltre a una pubblicazione nella quale vi è la felice conversazione con Giorgiomaria Cornelio.
Quel che più mi ha colpito, per sincronicità e incidenza, è stato immaginare una mostra-fantasma alcuni mesi prima della chiusura generale. Sarebbe stata la parte finale di una trilogia di performance iniziata a Milano, in Edicola Radetzky, curata da Like a Little Disaster e proseguita negli spazi di Progetto a Lecce. Dopo aver visto le gallerie chiudere con le opere addormentate all’interno, mi è stato impossibile non avvertire un che di sibillino in quell’intenzione di rendere la terza mostra uno spazio fantasma, chiuso al pubblico e alla documentazione, esperibile esclusivamente tramite la dovuta distanza e un preciso protocollo d’uso.

Marco Vitale, Iposex, installazione, video, 2020. Photo Raffaella Quaranta

Marco Vitale, Iposex, installazione, video, 2020. Photo Raffaella Quaranta

Qual è il tuo ambito di ricerca e come cambia il processo di formalizzazione da un’opera all’altra?
Se è possibile ricercare la scoperta del fuoco, questo è quel che ricerco. Non mi riferisco alla bruciatura o alla traccia; parlo della veglia: quel peculiare stato di vigilità della scoperta. Nella performance This Less is Gesture, leggevo dall’interno dell’Edicola Radetzky un lungo testo scritto fra il 2017 e il 2018, secondo un metodo che sarebbe qui dispendioso spiegare.
Dopo quasi due ore di lettura, giunto alla fine, ho improvvisato una breve clausola che vale – per sincerità – più di uno statement:
Come presentare una lettura come opera? Non importa: questo è quel che faccio. Se questa è arte, io mi occupo d’arte. Se questa lettura è altro, mi occupo d’altro. Per quanti secoli i testi sacri furono tramandati oralmente, a memoria, prima di essere trascritti? La stanza dedicata al racconto coincideva spesso con la stanza del fuoco. Mi piacerebbe appiccare una fiamma in questa edicola. Vederla bruciare”.
Ecco, caro Giuseppe, non vedo solo sventura nell’esito della pandemia. Vedo anche una possibilità di venuta per il fuoco con cui parlare. Confido in un’altra arte, non sono il solo. Spero nella primavera della misura. Nell’estate dello spirito. Nell’autunno della produzione. Nell’inverno del sistema.

Giuseppe Amedeo Arnesano

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Giuseppe Arnesano

Giuseppe Arnesano

Storico dell'arte e curatore indipendente. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali all'Università del Salento e in Storia dell'Arte Moderna presso l'Università La Sapienza di Roma. Ha conseguito un master universitario di I livello alla LUISS Master of Art di Roma.…

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